Leggere le norme, prima di modificarle: l’ovvia lezione che viene da una proposta di riforma dell’art. 2043 cod. civ.
Un gruppo di parlamentari ha ritenuto che la unanimemente riconosciuta chiarezza dell’articolo di legge sulla legittima difesa sarebbe insufficiente e, pertanto, ne ha proposto una rilevante modifica. Ma è davvero un intervento necessario?
L’art. 2043 cod. civ. è una delle norme più “venerate” dai giuristi italiani: da quelli che, ancora studenti, affollano le lezioni di Istituzioni di diritto privato, a quelli che argomentano (e decidono) nelle aule di giustizia. È un articolo che esprime un principio cardine del diritto occidentale – spesso sintetizzato dal ricorso al celebre brocardo latino neminem laedere– e che, per la sua chiarezza e intellegibilità, merita di essere riportato per intero: qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Il cuore della norma è proprio l’ingiustizia del danno cagionato. Attenzione: non già e semplicemente un qualsiasi danno, ma un danno “ingiusto”; il che vuol dire che – semplificando – chi, in modo ingiustificato, fa del male a un altro (ledendo quella che i giuristi definiscono nei termini di una “situazione giuridica soggettiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento”) è tenuto a risarcire il danno che ne consegue. Dottrina e giurisprudenza sono sempre state concordi nel riconoscere la qualità della norma, che – con poche parole ed appena due proposizioni – è stata in grado di fondare un sistema di diritto di capitale importanza.
Qualche giorno fa, grazie alla segnalazione di un amico, ho scoperto che un gruppo di parlamentari della Repubblica ha ritenuto che la unanimemente riconosciuta chiarezza dell’art. 2043 cod. civ. sarebbe invero insufficiente e, pertanto, ne ha proposto una rilevante modifica. Il presupposto di fondo della novella è così espresso dai suoi promotori: «tale articolo costituisce la fonte da cui discende la possibilità per i rapinatori o per coloro che saccheggiano le case dei cittadini compiendo violazione di domicilio e furto di chiedere il risarcimento del danno in caso di reazione dell’aggredito». Incredibile: con un solo tratto di penna, la norma passa, da fondativa dell’intero sistema della responsabilità civile, all’essere ridotta a uno strumento di difesa che i ladri potrebbero usare contro gli onesti. Ed è per questo che se ne avanza la riforma, attraverso una lunga e claudicante integrazione: «salvo che il danno non sia stato originato o determinato da una reazione contestuale alla condotta dolosa illecita del soggetto danneggiato contro il soggetto che ha arrecato il danno, i suoi familiari o ausiliari, nonché contro il suo domicilio, i suoi beni o la sua attività lavorativa».
Si potrebbero fare, immediatamente, diversi e sostanziali appunti alla tecnica legislativa adottata: perché impiegare un inciso avente ad oggetto un’ipotesi così particolare, quale quella della legittima difesa, laddove gli illeciti “civili” si caratterizzano per la loro tendenziale atipicità, e non invece pensare ad aggiungere un secondo e distinto comma alla norma in parola o, addirittura, un nuovo articolo (un ipotetico art. 2043-bis)?
Oppure, ancora e per quanto sorprendente possa sembrare, perché non continuare a leggere il codice nella sua interezza, prima di proporne una modifica? Del resto, dopo l’art. 2043 cod. civ., viene l’art. 2044 cod. civ., il quale – anch’esso con pregevole chiarezza e intellegibilità – è rubricato “Legittima difesa” e così recita: «non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri». Non l’avreste mai detto, vero? Quello che i deputati di cui sopra vorrebbero ottenere, manomettendo il testo dell’art. 2043 cod. civ., è già legge nel nostro ordinamento: il legislatore che varò il codice civile (nel 1942) aveva già voluto escludere la risarcibilità del danno cagionato ad altri per legittima difesa. E non potrebbe essere diversamente, del resto: è possibile affermare che – poiché l’ingiustizia del danno va valutata alla luce delle indicazioni che vengono dall’ordinamento – anche in assenza di una norma sul modello dell’art. 2044, il giudice dovrebbe comunque escludere che un danno cagionato per legittima difesa (e dunque in risposta a una ingiustificabile azione altrui) sia “ingiusto”.
Discutere dell’opportunità o meno di ampliare i confini della legittima difesa (è un tema di politica del diritto assai controverso) non rientra tra i fini di questa breve nota: ciò che più preme è evidenziare, ancora una volta, il pressappochismo con cui il Parlamento si accosta alle riforme legislative. Se l’urgenza avvertita è quella di «salvaguardare da obblighi risarcitori chi non aveva alcuna preventiva volontà o previsione di assumerli, avendo semplicemente reagito d’impulso a un’altrui imprevista e imprevedibile, non voluta e non provocata, condotta dolosa illecita» (così si esprime la proposta in esame), allora la tecnica legislativa più corretta sarebbe stata, probabilmente, quella di agire direttamente (e non sarebbe la prima volta) sull’art. 52 cod. pen. (che disciplina la legittima difesa in sede penale), ovvero sul testo dell’art. 2044 cod. civ. (che, come abbiamo messo in luce, disciplina la legittima difesa in sede civile): non modificare, in modo superficiale e superfluo, una norma così importante e generale come l’art. 2043 cod. civ.
Nel più recente dei suoi editoriali settimanali, l’Istituto Bruno Leoni ha richiamato l’attenzione sul rischio normativo e regolatorio che grava sui cittadini, notando come i politici insistano nel trasformare la possibilità di rivedere questa o quella norma in un’occasione di comunicazione e creazione del consenso. In che modo porre un argine a questo malcostume legislativo, è – per usare il linguaggio dei giuristi – vexata quaestio: ma è vero che, come ci ha dimostrato la vicenda in commento, molto spesso sarebbe sufficiente, prima di proporre nuove leggi, limitarsi a leggere con attenzione quelle che esistono già.
L’articolo è chiaro. I riferimenti sono anch’essi precisi e chiari.
Credo che l’intervento del legislatore, anche se certamente collegato al momento sociale in Italia, derivi dalla propensione della magistratura a interpretazioni che storcono e addomesticano la norma a seconda del credo politico dei magistrati stessi chiamati a decidere.
Porto ad esempio quanto riportato dalle cronache di questi giorni. U agente di polizia è stato condannato a nove mesi di reclusione per aver sparato alle gomme dell’auto di un fuggitivo. Non conosco il dispositivo della sentenza pertanto la mia è certo una valutazione superficiale, ma l’impressione sulla “giustizia naturale” applicata è negativa.
Credo che il punto sia di impedire alla magistratura giudicante di fare sentenze interpretative lasciandole invece a Cassazione o Corte Costituzionale