16
Ott
2014

Legge di stabilità: quel che ci piace, e quel che ci fa fremere

La legge di stabilità varata ieri dal governo è una sfida: all’Europa, ai mercati, e in chiave interna soprattutto alle imprese italiane. E’ una sfida che in parlamento non avrà vita facile, come si è visto già dal singolo voto di margine con cui è stata approvata la nota di variazione del DEF. Ma per Renzi è la sfida complessiva del suo governo. Vedremo presto se l’Europa – la vecchia commissione Barroso, la nuova Juncker – accetteranno il criterio avanzato ieri da Renzi e Padoan. Quanto ai mercati è un’incognita vera, come si è visto dalla traumatica giornata di ieri. Per le imprese, al contrario, l’occasione c’è. Ma bisogna stare attenti a non sopravvalutarla. In più, la legge di stabilità ha una buona scelta di fondo – sull’IRAP – condita da una debolezza strutturale sulla spesa, e da alcuni seri aggravi d’imposta proprio sba-glia-ti.

Il problema con l’Europa è che la sospensione unilaterale adottata dall’Italia della riduzione del deficit per mezzo punto annuo, e di un ulteriore margine di quasi 2 punti di Pil per ridurre il debito pubblico – che continuerà ad aumentare – si fonda su un criterio statistico di identificazione dell’ouput gap, cioè del divario tra andamento reale del Pil e quello potenziale effetto della perdurante recessione italiana, che è diverso da quello europeo. (Chi volesse approfondire, trova qui la miglior spiegazione, alle pagg 12-20 e Allegato 1 dell’audizione parlamentare del neocostituito Ufficio Parlamentare di Bilancio sulla Nota di Aggiornamento del DEF).  Il criterio condiviso sin qui tecnicamente in Europa ci metteva al riparo da interventi su un deficit 2014 che sarà superiore al 3% (come si desume dai dati ISTAT rilasciati ieri sul primo semestre, il deficit viaggia verso il 4% del Pil) , ma non da quelli richiestici nel 2015. Com’è ovvio, il problema non è tecnico, ma politico. La scommessa di Renzi e Padoan è che la Francia sta peggio di noi, visto che noi rinviamo al 2017 l’azzeramento del deficit corretto per il ciclo mentre la Francia fino al 2017 non scende sotto il 3%. Ma il problema resta. Se l’Europa ci farà obiezioni dure, non a caso il governo si tiene a disposizione un fondo di riserva quantificato in 3,4 miliardi di euro, nella legge di stabilità varata ieri. Ma la scelta forte è di rinviare il ritorno a manovre incisive antideficit incisive al 2016-2018, mentre nel 2015 ben 11 miliardi dei 36 di spesa della manovra sono finanziati in deficit. Se non basterà neanche il fondo di riserva, Renzi e Padoan terranno duro: pronti a dire che l’Europa – e naturalmente la Germania, dipende tutto da lei – sbagliano, e l’Italia no. A costo di farne un cavallo di battaglia elettorale, drenando il terreno sotto i piedi degli anti euro, da Grillo alla Lega al resto della destra. In questo, la linea deficista in Italia non si può definire “di sinistra”: la condividono e invocano tutti.

La scommessa sull’Italia è di un ritorno delle imprese ad assumere e a investire. Per questo la manovra è cresciuta nei giorni, e domenica scorsa Renzi ha convinto Padoan della necessità di aggiungere ai poco meno di 10 miliardi necessari a confermare – senza estendere – il bonus 80 euro, anche i 5 miliardi di totale abbattimento della componente IRAP che tassa gli occupati (e che le imprese pagano anche quando sono in perdita), e i quasi 2 miliardi necessari per l’azzeramento dei contributi per tre anni ai nuovi assunti a tempo indeterminato. Va riconosciuto che l’abbattimento integrale della componente-lavoro dell’IRAP è una scelta pro-crescita senza precedenti, con l’eccezione della diminuzione di 7,5 mld di cuneo fiscale da parte di Prodi nel 2007 (allora per il 60% a imprese e per il 40% a lavoratori). La sinistra si è inventata l’IRAP, in Italia, e alla sinistra tocca pezzo a pezzo rimangiarsela.  Ma se questa scelta è il cuore della scommessa della legge di stabilità, c’è anche un rischio, insieme alla grade occasione. L’abbattimento dell’IRAP aiuta le imprese ad alta densità di occupati, dalle banche alle multiutilities pubbliche ai grandi gruppi, ma non è detto che la ripresa dei margini che consente (per alcuni di un paio di punti percentuali, per altri fino al 4-6%) davvero si traduca subito in investimenti e assunzioni. Come nel caso degli 80 euro ai lavoratori dipendenti ( e del Tfr che ora i lavoratori dipendenti privati, non pubblici, potranno ora chiedere in busta, garantito dallo Stato e dall’Inps e anticipato dalle banche), per larga parte ricostituirà margini pesantemente erosi, più che alimentare nuovi consumi. La differenza vera può farla solo un quadro diverso della domanda interna ed estera, ogni entrambe per ragioni diverse differentemente sofferenti. La scelta di reiterare il maxi incentivo alle assunzioni a tempo indeterminato per tre anni rischia invece il bis del flop già realizzato col decreto Letta-Giovannini: è il prezzo da pagare al fatto che il governo debba tener buoni sinistra Pd e sindacato, convinti di decidere loro al posto delle imprese quali contratti siano preferibili. (Anche Prodi effettuò a sua volta una maxidecontribuzione pro tempo indterminato, e fu flop anche allora. Eppure ogni volta insistono, a voler “pilotare” dall’alto…).

Sul fronte delle entrate i 18 miliardi di meno tasse, a cui il governo tiene molto, dimenticano di sottrarre i 3,6 miliardi di entrate aggiuntive da risparmiatori, previdenza integrativa meno agevolata e fondazioni bancarie, il miliardo previsto dalle slot machine, i 3,8 miliardi contabilizzati ex ante dall’evasione fiscale.  Osservazioni in pillole: capisco voler stimolare i consumi, ma la stangata alla previdenza integrativa, con l’aumento dell’aliquota dall’11 al 20% per i fondi complementari e dal 20 al 26% per le casse professionali integrative, vista la voragine dei conti INPS è profondamente sbagliata, oltre che rozzamente travestita da “lotta alla rendita”, giusto per dare un tocco di Piketty alla manovra. Sui 450 milioni di prelievo aggiuntivo dalle fondazioni bancarie non piango, ma è un pizzo di Stato: in cambio del fatto che il governo neanche questa volta obbliga le fondazion a dismettere il controllo bancario, gli estorce mezzo miliardo con la pisto9la sul tavolo. Quanto ai proventi della lotta all’evasione assunti come copertura di spesa ex ante, è una patente violazione di due princìpi: il primo riguarda i criteri della sana e prudente gestione contabile, il secondo riguarda l’impegno – da sempre non  rispettato – di restituire gli incassi da evasione ai contribuenti che di tasse ne pagano troppe, non di utilizzarli a copertura di nuuova spesa.

Ma dall’altra parte il governo prevede anche 800 milioni di sgravi alle piccole partite Iva, e mezzo miliardo di aumento delle detrazioni alle famiglie, per i carichi familiari numerosi. Ed è un bene. Tranne scoprire che, allo stato, l’intervento in favore delle partite Iva in regime “minimi” ha l’aspetto positivo di non avere più la ristretta durata tenmporale triennale e di età del titolare, ma per il resto si traduce in un AUMENTO dell’aliquota attuale dal 5 al 15%, e al posto del tetto di ricavi eguale per tutti a 30muila euro sostituisce la facoltà delo Stato di stabilire lui, attività per attività, quale tetto sia compatibile per il regime di vantaggio fiscale: il range che viene indicato va dai 15 ai 40 mila euro, cosicché di siocuro c’è chi ci perderà rispetto a oggi, sia per l’aliquota più alta, sia per uil tetto di ricavi più basso…

Veniamo alla nebbia su molte poste di spesa da tagliare. Mentre i 4 miliardi di risparmi dei ministeri sono credibili, e altrettanto i 3 da procedure centralizzate sugli acquisti, i 6 da Regioni, Comuni e Province sommati sono invece tutti da verificare. Alle Regioni si chiede nel 2015 cioè in un solo anno un taglio di spesa che equivale al 62% degli aumenti del fondo sanitario nazionale che le Regioni stesse avevano convenuto col governo a luglio, spalmati tra 2014 e 2016. Sulla riduzione drastica delle partecipate locali e sulla riduzione dei Comuni, promesse quest’estate nella legge di stabilità, al momento sembra non esserci nulla. Idem dicasi anche per le famose 35 stazioni appaltanti e di acquisto al posto delle 35 mila in cui gli uomini dei partiti fanno malaffare con le imprese che preferiscono lo sgambetto delle relazioni alla concorrenza. Il rischio molto forte è di un deficit 2015 non solo fuori linea rispetto agli impegni europei, ma oltre il 3% che il premier tanto invece smentisce. L’esperienza dei commissari alla spending review si chiude maluinconicamente: destra, tecnici e sinistra li hanno usati per perder tempo. Che errore. Cottarelli proponeva di intervenire sul perimetro dello Stato: meno Comuni (io direi anche meno reguioni), meno partecipate pubbliche, meno centri di spesa. Senza intervenire sul perimetro pubblico ( e sul patrimonio, che resta intatto perché la politica non dismette niente), semplicemente continueremo con sia pur utili interventi a margine di sgravio fiscale, mentre serve una riduzuione drastica. Per dire: l’IRAP che saggiamente si abbatte oggi NON entra nelle statistiche del cuneo fiscale perché è componente tributaria, ergo restiamo cion 30 mld di cuneo in più rispetto alla Germania sia pur abbassando il total tax rate sulle imprese…

I mercati sono sopravvalutati, ha detto ieri Padoan. Sorprendendo molti, perché non tocca a un ministro dirlo. I mercati ieri hanno ricordato a tutti che basterà una sorpresa negativa sugli stress test bancari, una debolezza greca, una sorpresa negativa italiana, perché il rallentamento della crescita tedesco e americano, sommato a quello cinese e brasiliano, alla crisi mediorientale e a quella russo-ucraina, rifacciano innalzare il premio al rischio del debito dei paesi eurodeboli. Non solo l’Italia può ritrovarsi a quota 300 di spread in men che non si dica. Ma, soprattutto, Draghi e la BCE a differenza del 2012 e 2013 hanno oggi le polveri bagnate. Padoan e Renzi queste cose le sanno benissimo, eppure hanno deciso di rischiare forte. Forti del fatto che sono soli in campo, attualmente, nella politica italiana.

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9 Responses

  1. Valerio

    Caro Oscar, il problema è il coraggio dei nostri politici. Rischiare forte? Forse rispetto al Governo Monti, il più pavido della storia della Repubblica, ma certo non classificherei questa legge come rivoluzionaria.

  2. LucaS

    Caro Oscar,

    Non capisco perchè tu continui a perdere tempo ad analizzare questi provvedimenti! Finchè non tagliano pensioni, concumi intermedi e qualche centinaio di migliaio di statali è tutto inutile…. Ha senso fare commenti solo quando ci saranno (cioè mai!) questi provvedimenti. Tutto il resto è filosofia!

  3. Bobcar

    Mi scusi Giannino, lei scrive ” il maxi incentivo alle assunzioni a tempo indeterminato per tre anni rischia invece il bis del flop già realizzato col decreto Letta-Giovannini” ma sulla base di cosa fa questa affermazione? a me (ed alla voce.info, che a differenza sua cita anche le fonti) risulta invece che gli incentivi alla stabilizzazione dei precari abbiano funzionato, se ha fonti alternative la prego di esplicitarle. questo il link: http://www.lavoce.info/funzionano-i-sussidi-stabilizzazione-dei-precari/

  4. paolo mariti

    Giannino: si può essere d’accordo o non sullo specifico intervento, come lei. A me pare che si tratti di tanti “spezzoni” di una manovra mirante più che altro a conseguire consenso a dritta ed a manca. Assente un “verso” preciso. Chi è in grado di dire quale sarà davvero l’effetto complessivo, eccezione fatta per l’aumento in deficit della spesa?

  5. adriano

    Tempo variabile,con piogge.Prima si dice “l’abbattimento della componente lavoro dell’IRAP è una scelta pro crescita” e subito dopo “non è detto si traduca in investimenti e assunzioni” ,per finire con “la differenza vera può farla solo un quadro diverso della domanda”.La diminuzione dell’IRAP è un regalo agli industriali forse doveroso ma che riguarda la gestione aziendale non certo la dinamica del personale.Se la domanda non parte a questo non serve.E la domanda non partirà mai se i redditi si riducono.Un mio caro amico ha una pensione di mille euro e una piccola rendita sui risparmi di una vita.La prima è ferma da anni,la seconda erosa dai rendimenti in continuo calo e dall’aumento spropositato delle tasse.Con che cosa aumenterà i suoi consumi?Come anche lei dice i favolosi ottanta servono a coprire i buchi di ieri e a proteggersi da quelli di domani.Chi ha un reddito di 1500 euro ha già le risorse per i bisogni fondamentali e per il resto guarda al futuro che promette tempesta non al bel tempo che non c’è.Fino a quando non si dà un reddito a chi oggi non ce l’ha i consumi non aumentano.E con questo il cerchio si chiude perchè l’occupazione non si crea per decreto.Anche il TFR in busta paga è un’illusione.La maggioranza non lo vorrà perchè gli italiani sanno fare bene i propri interessi,quando possono.Quando non possono rimangono nell’euro in balia dei mercati che a loro discrezione ci ricordano che se vogliono possono metterci nelle condizioni di essere insolventi.Un bel vantaggio.Anche chi era favorevole all’euro ormai ammette che la simpatica moneta andava bene quando tutto andava bene.Ora che tutto va male,e continuerà così fino a quando non si sa,la ragione suggerirebbe un ripensamente ma si sa questi antieuro sono disfattisti.

  6. francine

    Caro Giannino,siamo alle solite..tanta aria fritta come da 25 anni a questa parte.Sono gli altri(chi???cosa???)a doverci fare uscire dai problemi,a farci arrivare la ripresa,a risolverci il debito pubblico,l’eccesso di spesa etc etc..Noi non si cambia nulla.Si continua imperterriti come quegli asini con le paratie agli occhi.Io spero che ci siano altre sedute di Borsa come quelle dei giorni scorsi che finalmente ci suonino l’ultimo giro..Saranno gli altri finalmente a dirci che il re e’ nudo,che siamo dei poveracci che da decenni viviamo sopra le nostre possibilita’,che il nostro debito e’ insostenibile e non piu’ rimborsabile etc etc..Cosi’ almeno la finiremo con l’andare sempre piu’ a fondo,con l’erodere piano piano tutto il capitale umano e non messo da parte da generazioni di gran lavoratori che ci sono stati in questo Paese prima di noi.Ci rimboccheremo le maniche sulla tabula rasa che ci sara’ e smettendola di piangerci addosso, di accusare mezzo mondo di cospirare contro di noi solo perche’ non ci lasciano indebitarci di piu’,ci tireremo finalmente su DA SOLI le famose mutande che ormai da anni ci facciamo tirare su da altri.Sogno questo momento..

  7. Paolo

    piccola correzione. Si fa confusione con i regimi agevolati. L’aumento dal 5 al 15 probabilmente si riferisce alle agevolazioni per giovani e disoccupati

  8. roberto

    Egregio,
    tutto vero.
    Ma sono considerazioni da fase iniziale di una crisi, o in previsione di affrontare un problema imminente.

    Non sono manovre da azienda in fallimento: non c’è più tempo per analisi e azioni di mediazione che accontentino tutti.

    Il dire che nessuno l’ha mai fatto è un palliativo che non risolve il problema, che non è più politico m adi nudi e crudi numeri.

    Non abbiamo i conti che possono sostenere ancora un periodo di stagnazione e a causa degli umori della borsa,nessuno osa parlarne.
    le azioni da fare sono drastiche e inesorabili:

    – riduzione della spesa pubblica nelle sacche di rendite di posizione entro ieri. ( vitalizi,dipendenti in eccesso,erogazioni alle regione, costi ministeri etc) e risorse dirottate al taglio delle tasse.
    – tagli della pressione fiscale di 20 punti
    – riforme strutturali veloci e forti orientate e pragmatiche

    La politica non può più risolvere niente a questo punto, utilizzando i soliti sistemi.
    Poi possiamo accontentarci delle azioncine prese come oro colato, ma accontentandosi siamo arrivati a questo punto.
    Non capisco se gli Italiani ci fanno o ci sono.
    Saluti
    RG

  9. Marco

    Più che una sfida è una baggianata.
    Per umiliarci ai commissari basterà osservare che si finanzia a debito una riduzione settorialemente ingiustificata delle imposte e che il suo presunto scopo di aumentare i consumi è penosamente insulso in quanto anche le pietre sanno che il sistema migliore è ll’innalzamento della no tax area che oltre a far emergere un po’ di sommerso porta al consumo una massa di indigenti che non possono permettersi il lusso di risparmiare.
    Inoltre la provvidenza gli aveva mandato un segno abbastanza esplicito per convertire quel debito con un gesto da apprendista statista con le numerose alluvioni e relative vittime UTILIZZARE I DIECI MILIARDI PER IL RECUPERO DEL DISSESTO IDROGEOLOGICO
    1- la commissione europea sarebbe stata moralmente inibita ad intervenire anche se l’operazione era a debito
    2- si sarebbe abbassato il numero di disoccupati+esodati+in mobilità+cassintegrati
    3- si sarebbero addolciti i rapporti con le rappresentanze sindacali con una misura keinesiana
    4 last but first SI SAREBBE FINALMENTE DATO UN SEGNO CHE LA POLITICA VUOL SERVIRE I CITTADINI cominciando col rispetto delle loro vite

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