L’economia non è solo ciclo
Riceviamo da Leonardo Baggiani (IHC) e volentieri pubblichiamo
C’è un punto della visione austriaca dell’economia che credo sia ogni tanto mal interpretato dagli esegeti più moderni, ed è la “sistematicità” delle distorsioni operate da volontà esterne al mercato. Non capire dove finisce il ciclo e cominciano altri eventi, magari connaturati ad una naturale assunzione di rischi imprenditoriali, può portare a reclamare soluzioni su tutto ciò che devia da un qualche, fondamentalmente arbitrario, percorso ideale. Benché le menti storiche dell’austrismo siano state chiare, l’imperante cultura interventista e positivista che ci circonda ha un po’ “distorto” anche le aspettative di un ideale mondo austro-liberista, facendolo immaginare “piatto”.
Il business cycle austriaco è causato dal sistematico disallineamento tra necessità di funding degli investimenti e risparmio realizzato. Questo discende da una remunerazione del risparmio (il tasso di interesse) insufficiente e forzatamente tenuta sotto al rendimento del capitale. La fase di recessione è un modo per l’economia di riequilibrarsi e può conseguire da un comportamento sistematico delle Banche Centrali (oltre una certa crescita dei prezzi si alzano i tassi – sotto una certa crescita dell’economia si abbassano). Il ritorno alla volontà espansiva esterna farà ripartire il ciclo. Tutto questo accade perché non si ha di fronte un evento isolato che dà una “scossa” al mercato, bensì un processo strutturato che crea un disallineamento (sui tassi) e lo mantiene a scapito delle forze riequilibratrici spontanee (domanda e offerta di fondi). Gli operatori realizzano comportamenti coerenti con i segnali che vedono ma sistematicamente sbagliati rispetto alla situazione reale (che non vedono). Da qui segue un accumularsi di errori che verranno risolti più o meno drammaticamente con una recessione. Un sali-scendi dell’economia causato da una azione sistematica.
Credo che ogni tanto l’avverbio sistematicamente venga confuso con sistemicamente: la distorsione esterna è spesso sistemica cioè estesa immediatamente a tutta l’economia (come la forzatura sui tassi di interesse), ma non lo è necessariamente (la creazione di Base Monetaria tocca nell’immediato solo alcune grandi banche, i primary dealer, e solo dopo alcuni passaggi si diffonde a tutti scaricandosi sui tassi), mentre per qualificare un ciclo economico deve essere sistematica cioè perseverante e strutturata affinché altre forze non ne ridimensionino gli effetti.
Da queste precisazioni discende che un singolo evento (un terremoto, un’eruzione vulcanica, una nuova tecnologia, una nuova risorsa, un’ondata di immigrazione…) non crea un ciclo economico. Il singolo evento è uno shock isolato. La vita economica è piena di shock, perché noi viviamo nell’incertezza: può succedere un po’ di tutto: possiamo cambiare idea da un momento all’altro e modificare i nostri comportamenti e preferenze; l’economia semplicemente si adatterà (verranno determinati nuovi prezzi relativi, nuovi tassi, nuovi pattern di consumo e produzione…) rendendo la propria struttura compatibile con le nuove condizioni, e così resterà finché un nuovo evento non richiederà un nuovo adattamento. In questo caso c’è uno shock ma non una distorsione sistematica (i vulcani non si mettono d’accordo per esplodere a catena secondo schemi temporali e geografici studiati a tavolino; il metano non si ritira strategicamente in profondità per farci un dispetto dietro l’altro; i consumatori non si mettono d’accordo a milioni per risparmiare tutto lo stipendio un mese e consumare l’impossibile il mese dopo; la fusione nucleare non decide di funzionare ad anni alterni…); questi shock sono una tantum, o come dicono quelli bravi “one shot”, cioè arrivano e segnano una discontinuità economica su cui il sistema adatta il suo equilibrio in modo coerente: se gli shock comportano una maggior produzione di alcuni beni il relativo prezzo si ridurrà e lì resterà (il contrario in caso di shock negativi); se i consumatori aumentano da soli la propria propensione al consumo il risparmio disponibile diminuirà, i tassi saliranno, e gli investimenti diminuiranno o ridurranno la durata del ciclo produttivo riequilibrando l’economia (la produzione si avvicina al consumo, con minori prospettive di crescita futura, perché è cambiata la preferenza temporale); in un sistema monetario aureo una improvvisa maggior estrazione di oro farà solo saltare di uno scalino i valori nominali.
Certamente durante la ricerca del nuovo equilibrio si creeranno dei disallineamenti sui prezzi relativi e sui tassi che potranno generare perturbazioni del sentiero economico per cui il riequilibrio non sarà “smooth”, ma con il dovuto tempo i fondamentali dell’economia imporranno il loro equilibrio che si espliciterà in nuovi prezzi relativi (se sono cambiate le caratteristiche della produzione), nuovi tassi (se è cambiata la preferenza temporale degli operatori), o livello dei prezzi (se lo shock è solo monetario). Arrivati al nuovo equilibrio non si avrà una spinta di segno opposto generata dal precedente movimento, quindi il percorso è “concluso”: un adattamento a nuove condizioni economiche è appunto un riequilibrio, non un ciclo. Una politica monetaria espansiva e mantenuta tale, l’inflazionismo, invece impedisce il riequilibrio, costringe l’economia ad una continua rincorsa “spostandole l’asticella” sempre più in alto (scavando fosse sempre più profonde tra risparmi e investimenti) finché questo gesto non causerà il suo crollo. Quindi in questo caso è lo stesso fattore che genera un movimento dell’economia e le condizioni di un successivo, necessario, movimento opposto. Entrambe le fasi dell’economia hanno una comune origine e la seconda è giustificata dalla prima: questo è un ciclo.
La coscienza di questa distinzione tra shock e ciclo, praticamente solo “austriaca”, un po’ è utile per prendere in giro i teorici del real business cycle (che appunto scambiano le reazioni ad un singolo shock con un ciclo economico, senza per altro considerare i legami possibili tra fasi successive che originerebbero cicli propriamente detti), ma soprattutto è utile per distinguere i campi della teoria del business cycle (fattori di perturbazione sistematica dell’economia e conseguenti catene di opposte fasi economiche) e quelli del più generale ambito liberista e libertario (adattamento, o riequilibrio, dell’economia su standard sub-potenziali).
In realtà non credo sia solo una differenza tra ABC (Austrian…) e RBC (Real…). Costruire modelli di equilibrio generale stocastici dinamici (DSGE) mossi da processi aleatori è anche la base dei modelli new-keynesiani, che differiscono dagli RBC non per l’uso del DSGE, ma per l’introduzione di frizioni extra per amplificare la ciclicità e generare inefficienze che in un modello GE standard per definizione non possono esistere.
Dunque direi che l’analisi del ciclo come ciclo è ormai una caratteristica austriaca, mentre realisti e new-keynesiani analizzano il ciclo come epifenomeno di dinamiche stocastiche.
Comunque che pizza tutti questi austriaci che vogliono rubarmi il lavoro. Sono io il legittimo figlio di Mises, Leonardo è Made in China! 🙂
Ah, ecco cosa signifcava la M.
@stefano
no, la M. sta per un’altra cosa… e non ha un buon odore.
@Pietro M.
non ho detto che ci si possa prendere in giro “solo” i RBCists, comunque ritengo che fosse buono puntualizzare a uso prima di tutto degli austrofili.
E comunque la Cina sta delocalizzando (eh non ridete, è vero!) , io sono Made in Vietnam.
@Pietro M.
Leonarod IHC = In Hayek Conceptum
(mi garberebbe)