L’economia è un surplus — di Gerardo Coco
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.
Nella storia i progressi non avvengono secondo una linea retta ascendente ma seguono un movimento a spirale interrotto da ritorni retrogradi. Nella nostra epoca viviamo uno di questi ritorni. Il pensiero economico è ripiombato al livello di quattrocento anni fa, ai tempi del peggiore mercantilismo, quando si sviluppò “l’analisi scientifica” degli affari pubblici che stabiliva prima di tutto che l’economia era troppo importante per essere lasciata solo nelle mani dei privati. Questo concetto oggi si è di nuovo imposto generando lo stesso arsenale programmatico di divieti, restrizioni, legislazioni minuziose e farraginose, pratiche redistributive e sussidi con il corollario di un apparato pianificatore, una burocrazia ufficiale parassitaria, il cui sostentamento richiede una tassazione oppressiva. E’ il modello dello stato interventista, oggi diventato europeo e che ha finito per fare dei governi i comproprietari dei nostri beni visto che la pressione fiscale reale è quasi ovunque del 50%. Jean-Baptiste Colbert ministro delle finanze di Luigi XIV, che avrebbe voluto stabilire cosa e come si doveva produrre (“le politiche industriali”) fino ad arrivare a prescrivere ai fabbricanti la foggia dei loro tessuti, era, comunque, in confronto agli attuali reggitori dell’economia, un modello di comportamento liberale: non si sarebbe mai azzardato a mettere le mani direttamente nei conti bancari come è avvenuto di recente in Europa e come probabilmente si ripeterà in futuro. Per quanto riguarda la teoria, l’analogia con il periodo mercantilista sta nel considerare “primum mobile” dello sviluppo l’espansione monetaria sempre confusa con quella del capitale, equivoco che impedisce di capire perché, ad un certo punto, il sistema non funzioni più, entri in crisi e ci rimanga. Oggi poi, col denaro prodotto direttamente dai governi, il problema si è enormemente aggravato rendendo le crisi, una volta periodiche, ora strutturali.
La circolazione del capitale
Fortunatamente per i nostri antenati del Settecento, il mondo entrava nell’Età della Ragione spazzando un regime oppressivo. I primi demolitori del sistema furono gli economisti francesi chiamati fisiocrati (da physis, natura; kratein, governi) che per primi diedero una nuova rappresentazione del progresso economico scoprendo che il primum mobile dello sviluppo era, non il denaro, ma il surplus produttivo. Il loro caposcuola, François Quesnay nel Tableau economique (quadro economico) pubblicato nel 1758 schematizzava per la prima volta il processo di circolazione della ricchezza individuando nell’eccedenza della produzione, il “prodotto netto”, il problema essenziale della teoria economica. Il prodotto netto (che non va assolutamente confuso con quello della moderna contabilità nazionale) rappresenta la caratteristica generale permanente di qualsiasi attività economica: il surplus.
Anticipando Adam Smith, Quesnay chiama produttivo solo ciò che è in grado nelle attività economiche di dare un’eccedenza o sovraprodotto rispetto alla ricchezza consumata permettendo così di perpetuarle.
L’errore dei fisiocrati fu di credere che l’origine del surplus fosse solo nella produzione agricola e non in quella industriale considerata “sterile” o improduttiva in quanto non creava valori ma li trasformava senza dare prodotto netto. Il motivo di questo errore è dovuto al fatto che a metà del secolo XVIII non essendo ancora avvenuta l’espansione capitalistica, l’economia francese era ancora prevalentemente rurale e l’industria artigianale. Inoltre mancava una teoria del valore per estendere il fenomeno del surplus a ogni tipo di attività diversa da quella agricola dove il concetto di eccedenza appariva immediato. Se infatti si pensa all’attività che produce grano e che fa uso di questa merce come unico mezzo di produzione da impiegare per le semine e retribuire lavoratori, la quantità finale di grano che darà il raccolto dovrà essere tale da recuperare la quantità di semente, quella di grano pagato come salario e lasciare un’eccedenza. Solo in campo agricolo, in cui c’è identità merceologica tra prodotto e capitale impiegato il surplus è rilevabile in termini di accrescimento materiale, come differenza tra due quantità. Quesnay, tuttavia, nel Tableau, fa riferimento ai valori come costi di produzione ma pensa che i beni industriali diversamente da quelli agricoli, si scambino come beni equivalenti e quindi senza nessun profitto.
Comunque il punto essenziale del Tableau è che se si vuole condurre un’attività economica e perpetuarla, è indispensabile conseguire un surplus necessario a ricostituire il capitale anticipato e speso per pagare salari, materie prime e manufatti. In breve: il prodotto netto è quella parte della produzione sociale che eccede la ricostituzione dei mezzi di produzione. Il sistema economico funziona solo in questo modo, altrimenti produce perdite (il Tableau si riferisce ad una popolazione di 30 milioni di abitanti ed è il primo esempio di analisi macroeconomica.
Lo schema di riproduzione fisiocratico prevede che il prodotto circoli tra tre classi: quella dei proprietari terrieri tra cui lo Stato e la Chiesa (che riscuoteva le decime), la classe dei capitalisti o affittuari che impiegano i lavoratori per coltivare la terra e, infine, la classe degli artigiani o sterile che fornisce gli utensili e le materie per la produzione. Il processo di circolazione parte dal possesso di capitale degli affittuari che viene speso per pagare le materie e gli utensili degli artigiani, i salari dei braccianti e la rendita dei proprietari fondiari. Quest’ultimi che hanno investito nell’approntamento delle terre, spendendo la rendita nei prodotti dell’agricoltura, ricostituiscono insieme alla classe sterile che acquista i prodotti, il capitale degli affittuari che pertanto sono messi in grado di rinnovare il processo di produzione.
E importante notare che il processo di circolazione parte da un fondo capitale (gli anticipi o avances foncières) di cui dispongono gli affittuari e gli artigiani all’inizio del ciclo. In conformità al presupposto erroneo di considerare l’industria sterile, i fisiocrati identificarono il prodotto netto, cioè il profitto, con la rendita. Per superare questi errori bisognerà attendere David Ricardo che, riformulando correttamente il processo della circolazione del prodotto e la sua ripartizione tra proprietari fondiari, imprenditori e salariati alla luce della nuova teoria del valore, fornirà anche, inconsapevolmente, la prima illustrazione dettagliata dei contrasti di classe, aprendo in tal modo la strada a Marx. Ma questo è un altro discorso. Malgrado tutte le sue lacune, la scuola fisiocratica riuscì a dare la prima rappresentazione del processo capitalistico perché qualunque sia la distribuzione, il surplus, prima di tutto va creato e la legge universale che vale dall’età del Neolitico a quella di Internet è che per ottenere un surplus, il valore dei beni prodotti deve essere superiore a quello dei beni consumati.
Il concetto fu approfondito da A. R. J. Turgot, ministro delle finanze francesi, che sottolineando l’importanza del capitale scrive: “Prima di assumere un operaio bisogna che qualcuno finanzi con i suoi risparmi gli utensili e le materie prime di produzione; costui inoltre deve tenere in vita gli operai in attesa che la vendita del suo prodotto gli permetta di recuperare il capitale investito. Ora, siccome nessuna impresa è mai sicura del successo essa deve conseguire profitti sufficienti a equilibrare il rischio di perdere il capitale impiegato. E’ questo andirivieni del capitale che costituisce la circolazione del denaro, quella circolazione che dà vita a tutti i lavori della società e che viene giustamente paragonata alla circolazione sanguigna” (Réflexions sur la formation et la distribution des richesses, 1776).
Senza accumulazione non c’è futuro
All’idea che il capitalismo industriale si fonda sulla circolazione permanente del capitale, i fisiocrati aggiunsero l’idea assolutamente nuova per l’epoca della teoria della domanda: il potere d’acquisto dei consumatori deriva direttamente dall’impiego del capitale e dalla realizzazione dei profitti. E’ evidente che il potere d’acquisto non è altro che surplus circolante impiegato in consumi e investimenti. In termini moderni, la domanda aggregata (consumi e investimenti) è quindi funzione del capitale e può aumentare solo se il secondo aumenta. Si osservi, appunto qui, l’evidente contrasto con la teoria moderna che considera la domanda come categoria autonoma, dotata di vita propria, come se il capitale fosse un fondo sempre a disposizione e non andasse rinnovato.
A partire dai fisiocrati e per oltre un secolo, il problema centrale dell’economia fu dunque quello dello sviluppo attraverso l’accumulazione, cioè l’utilizzo del surplus per la formazione di capitale, teoria che superò definitivamente quella mercantilista e non a caso di lì a poco sarebbe iniziato il periodo di maggior prosperità della storia umana.
L’enfasi sulla accumulazione pose il problema dell’ottimalità del regime fiscale e qui i fisiocrati proposero la più radicale delle riforme. Poiché la forte tassazione impediva il rinnovo del capitale fisso e circolante necessari a garantire il mantenimento dei livelli di produttività, essi si batterono per un’imposta unica (impôt unique) sulla rendita che eliminava tutte le altre imposte sulla produzione e il diritto feudale alla esenzione fiscale di cui i proprietari godevano. Siamo nel periodo che precorre il liberalismo di cui i fisiocrati furono gli antesignani.
Che conseguenze dovrebbe trarne la politica odierna da questo insegnamento di 250 anni fa? Primo, che per stimolare l’economia e renderla competitiva bisogna detassare le attività produttive. Secondo che bisogna ridurre fortemente la spesa pubblica che, non potendo generare surplus perché consuma più di quello che viene prodotto, non può neppure “creare” nuovo lavoro. Coloro che la invocano sono, senza saperlo, a favore di politiche per la riduzione della ricchezza e la disoccupazione. Se la spesa pubblica fosse la soluzione, non si capisce come mai le economie collettiviste non abbiano prodotto miracoli economici. L’allargamento della base occupazionale, che oggi è il problema sociale più drammatico, può provenire solo da un aumento del surplus perché nella società non esiste altra fonte di lavoro. Tutte le misure destinate al sostegno del reddito, come gli ammortizzatori sociali, non sono altro che sottrazioni dal surplus ridistribuite, tramite il prelievo fiscale, per far circolare solo consumo. E infatti, come l’esperienza insegna, non servono a nulla se non a spostare nel tempo, aggravandoli, gli effetti della riduzione del “prodotto netto”.
In Italia, in occasione dell’inaugurazione del nuovo governo al principio di maggio, il Presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ha pronunciato una frase davvero insolita: “Senza risparmio e dunque senza accumulazione non è possibile realizzare gli investimenti necessari per lo sviluppo economico e per offrire un futuro alle giovani generazioni”. Mai si erano udite e mai furono pronunciate in questo paese parole più giuste. “Accumulazione” è la parola chiave per intendere il significato dello sviluppo: produrre più di quanto si consumi per generare un’ eccedenza, il capitale, che crei investimenti e vera occupazione.
E’ il surplus, come scriveva Turgot, che deve tornare a circolare nelle arterie dell’economia e per farlo bisogna rimuovere le ostruzioni create dal nuovo mercantilismo. Ma ci vorrebbe l’avvento di una nuova Età della Ragione che cambiasse la psicologia collettiva che dopo generazioni di interventismo si è permeata della convinzione che i governi, nonostante evidenti prove del contrario, rimangono, in ultima analisi, gli strumenti di provvidenza universale. Solo demolendo questo dogma che legittima il loro potere, i governi moderni finiranno di saccheggiare le risorse con una tassazione degna delle antiche satrapie orientali. Altrimenti l’economia, come una candela, si consumerà da sé e sarà il buio. Ma anche la fine della società come l’abbiamo conosciuta.
Mah io interpreterei la visione dei fisiocrati storicizzandola, e in tal caso noterei che non sbagliavano proprio nulla: per loro prodotto vero era solo quello agricolo, mentre tutto il resto era fuffa, era “narrazione”, per usare un termine, chiarificante, contemporaneo. Loro che avevano ancora contatto con i fondamentali della vita, avevano a loro modo ragione, il valore del cibo non e’ sindacabile, e’ oggettivo, mentre quello di tutto il resto, invece, e’ sindacabile e soggettivo.
Figuriamoci cosa potevano pensare del valore effimero pesato nei mercati finanziari di oggi che forma le sbarre, virtuali, della prigione onirica in cui ci siamo rinchiusi da soli.
Quindi se dovesse arrivare “una nuova eta’ della ragione”, non sarei cosi’ sicuro che sarebbe quella che possiamo noi pensare e/o sperare.
Purtroppo, se in Europa la Storia è tornata alla metà del XVIII secolo, in Italia la spirale ci ha portati più indietro nel tempo, a quello della Controriforma. Il vigore della contestazione antiscientifica (vedi sentenze de L’Aquila et altri casi di vero e proprio oscurantismo e superstizione), le campagne anti OGM, antinucleari e NO TAV, visti come il “diavolo”, le teorie della “decrescita felice”, ecc., sono indicatori di un ritorno a tempi in cui la Penisola aveva perso lo slancio innovativo, intellettuale e mercantile del Rinascimento. La mentalità che si sta diffondendo è una conseguenza delle campagne martellanti a sostegno di una visione iper-statalista, iper-burocratica e iper-proibizionista nei confronti di ogni iniziativa fuori da rigidi schemi prefissati per legge o per sentenza. Anche la scuola, soprattutto quella pubblica, contribuisce a formare uomini con una mentalità antitetica alla conoscenza scientifica e tecnologica ed ostili all’innovazione ed allo sviluppo economico. Eppure senza idee e capitali per realizzarle non ci può essere altro che decadenza. Il ruolo negativo della Chiesa di Roma oggi è ricoperto dalla sinistra estrema, dalla burocrazia pubblica e da diverse corporazioni che traggono vantaggio dalle posizioni di privilegio raggiunte e non in grado di resistere in un regime di reale concorrenza
Il problema è che se non si contrasta questa mentalità non è possibile riformare profondamente la nazione.
Ho letto con interesse l’articolo che fornisce una eccellente descrizione del processo di formazione del capitale e quindi della crescita economica.
L’articolo fa appunto giustizia della visione keynesiana della domanda aggregata come un qualcosa di autononomo, esistente in quanto tale.
Peraltro un’osserrvazione al riguardo c’è comunque da fare.
La domanda è essa stessa comunque sorgente di accumulo.
E’ vero che la gente va in un ristorante in quanto il cuoco è bravo ma al tempo stesso il cuoco diventa bravo, cucina meglio e spreca di meno, quanta più esperienza fa e quindi quanta più gente va al ristorante.
E’ quindi errato allo stesso modo vedere l’offerta come entità autonoma.
“in Italia la spirale ci ha portati più indietro nel tempo”
Il tempo va sempre avanti, l’italia e’ piu’ avanti, non piu’ indietro. Cio’ che successe qui 5 secoli fa sta succedendo solo adesso altrove, il nostro declino sta solo anticipando quello altrui.
“una visione iper-statalista, iper-burocratica e iper-proibizionista nei confronti di ogni iniziativa fuori da rigidi schemi prefissati per legge o per sentenza”
Questa mentalita’ e’ frutto direttissimo della mentalita’ scientifica, anzi E’ la mentalita’ scientifica, perlomeno della “scienza normale” come la definiva Kuhn. Non dimentichiamo l’esperienza sovietica del “socialismo scientifico”. Quando la si prende, la si prende in blocco.
Se guardate spassionatamente alle teorie economiche di governo moderne, vedete che sono TUTTE basate sul modello comportamentistico Pavloviano, di schemi di stimolo/risposta, che infatti costituiscono la base di tutte le moderne, scientifiche, iperpositivistiche, numerologico/matematiche teorie psicologiche (comportamentismo) ed economiche americane che tanto aneliamo ad imitare. Salvo poi, visti i risultati e i costi nascosti di cui non ci eravamo preoccupati, lamentarci. Un po’ come “l’ingresso” in europa. Un po’ fessi pero’ lo siamo…
@firmato winston diaz
io credo che un’assicurazione contro le grandinate l’avrebbero trovata ben poco effimera, anche se avessero denominato il premio in chicchi di grano sarebbe rimasta pur sempre un’assicurazione e anche un’assicurazione può essere concessa solo a fronte di un precedente accumulo da parte di qualcuno
no non credo l’avrebbero trovata così fuffosa se devo essere sincero
Gent.mo professore Coco, si rigetta il mercantilismo perchè nuoce agli interessi della borghesia, bisognosa di libertà di circolazione, in forza di un dispotismo legale, ancorchè provenga da Dio, e di una razionalizzazione dello Stato. Da parte mia suggerirei una diversa prospettiva a proposito della generazione di ricchezza, che riguarderebbe i rapporti di dominio: da 5000 anni l’umanità è stata dominata dall’alleanza trono/altare, dal Cinquecento in poi l’alleanza dominante è quella fra stato e banca, che oggi ha gettato la maschera. Come proteggerci? Con una moneta solida -l’oro?-, con una costituzione civile, con le bollette reali. ossia tornado al passato. Che dire dell’accumulazione: per Smith era generata dalla recinzione dei campi; Marx parlava di accumulazione primitiva; si potrebbe parlare di accumulazione selvaggia sia pure nel quadro delle periodizzazioni di G.Arrighi? Da ultimo sono d’accordo con Lei quando scrive che il conflitto è tra modello oligarchico-orientale e modello repubblicano. Grazie della Sua attenzione.
@Carlo Ghiringhelli
Grazie a Lei. Appena ho un pò di tempo scriverò sulla “moneta solida”.
@matteo barto
“e anche un’assicurazione può essere concessa solo a fronte di un precedente accumulo da parte di qualcuno”
L’accumulo del surplus delle derrate e sua successiva redistribuzione, per ricollegarsi indirettamente all’argomento proposto da Coco, credo risalga a poco dopo l’inizio dell’agricoltura e alla formazione delle prime citta’, attorno a 10.000 anni fa, con differenziazione delle classi sociali in sacerdoti, guerrieri e agricoltori, in ordine decrescente di importanza. Le assicurazioni vere e proprie risalgono a molto dopo, a ier l’altro, in termini storici.
Mi permetto solo di dire che questa spirale rende l’idea, ma è un argomento poco scientifico (G.Battista Vico) Possiamo rappresentare graficamente solo in una o due variabili (per lo più funzioni del tempo)
il cui andamento è del tutto imponderabile) Con gli strumenti dell’analisi possiamo individuare massimi e minimi relativi ed assoluti,punti stazionari,velocità e la durata di incrementi e decrementi.La spirale è un concetto fuorviante.Anche in tre dimensioni.
Di tutto il suo (come al solito) splendido articolo, su questa frase io andrei a baionetta: “Coloro che la invocano sono, senza saperlo, a favore di politiche per la riduzione della ricchezza e la disoccupazione.”
Cio’ per cui dovrebbe fischiare il “fix bayonets” e’ quel “senza saperlo”. Perche’ non e’ vero.
Lo sanno. E’ impossibile che non lo sappiano.
Ma forse e’ lei che non puo’ scriverlo. Anzi, ne sono sicuro.
Cordialmente
Gianfranco.
@firmato winston diaz
anche altre specie accumulano es. formiche api.. paradosso occidente oggi (DIVERSO da passato) è SOVRA-accumulo.. sorry riduzione SOVRA genererà altra disoccupazione nonostante debiti/stampe.. ma meno rispetto ad opzione default..
vedi grafico “grado saturazione impianti esistenti” e “ore lavorate procapite” Usa nel l.t.
http://tinypic.com/r/34dg9ch/5
@Piero from Genova
ben conscio di non essere in grado, come si sara’ gia’ evidentemente capito, di sostenere una discussione al colto livello proposto da coco:
sei sicuro che sia diverso dal passato? mia convinzione naive da dilettante e’ che la crisi del 1929, da conoscenza diretta con persone gia’ mature all’epoca, e’ che sia stata cosi’ grave perche’ la maggior parte della gente poteva ancora facilmente tornare all’orticello dietro casa e alla economia di baratto e sussistenza, con conseguente collasso dell’economia formale di scambio monetario, ritorno ora impossibile per ragioni evidenti. lo stesso keynes credo desse, e non a torto in quel contesto (bisogna contestualizzare!), poca importanza all’inflazione e molta allo stimolo statale in quanto era convinto che i tempi fossero prossimi al soddisfacimento totale dei bisogni delle persone e crollo della conseguente domanda, persone che quindi avrebbero smesso comunque di consumare ulteriormente, avendo gia’ tutto quello che potevano necessitare e desiderare. La inaspettata spinta potentissima all’innovazione seguita alla guerra, se non altro con la motorizzazione ubiquitaria e generale, per un po’ di decenni ha sostenuto di nuovo la domanda ma ora siamo forse di nuovo alla saturazione, grazie anche alla demografia, con l’aggravante che ormai la maggior parte della spese delle famiglie, anzi la quasi totalita’, e’ spesa obbligata da leggi e norme che soverchiano l’arbitrio del singolo: moderando quegli obblighi penitenziali che ci massacrano la vita, e sono economicamente preponderanti, il collasso sarebbe immediato: un cul de sac non dappoco, che un cedimento psicologico non piu’ cosi’ improbabile potrebbe esplodere in una reazione a catena incontrollata.
Potrebbe essere che tutti i castelli di carta delle pericolanti sovrastrutture finanziarie pur leggeri comincino a tremare per queste, storicamente ricorrenti, ragioni di fondamenta che han solo voglia di scrollarsi il loro peso di dosso.
@Piero from Genova
Per quanto concerne la capacità di utilizzo degli impianti negli USA occorre fare riferimento alle statistiche della Federal Reserve denominata G17 ( http://www.federalreserve.gov/releases/g17/ ). L’ultimo documento disponibile è quello pubblicato il 15 maggio ( http://www.federalreserve.gov/releases/g17/Current/g17.pdf ). Attraverso i grafici è possibile vedere l’andamento della produzione e della capacità produttiva su base storica e suddiviso per i principali macro settori.
L’indice di utilizzo della capacità produttiva è definita metodologicamente a pag. 19.
La delocalizzazione della produzione industriale è probabilmente il principale fattore che ha determinato un calo dell’indice di utilizzazione degli impianti negli ultimi decenni. Un altro aspetto di cui bisogna tenere conto è la rapidità dell’innovazione. L’innovazione richiede nuovi impianti e genera sovracapacità negli impianti obsoleti riducendone il grado di utilizzo (elementare, si vende meno il vecchio del nuovo). purtroppo non sempre è possibile chiudere gli impianti diventati meno profittevoli, ma non ancora in perdita. Entrambi questi fattori hanno contribuito ad abbassare la pendenza della crescita da inizio secolo. Come si nota osservando il grafico a pag. 5, la pendenza della curva della crescita è diminuita da inizio secolo persino negli anni di “vacche grasse”.
La spinta innovativa richiede capitali: capitali per fare ricerca, per ingegnerizzare i nuovi prodotti, per avviare la produzione negli impianti nuovi o rinnovati e per fare marketing. Purtroppo il capitale sta diventando merce rara per le imprese non solo in Italia, dove viviamo una situazione catastrofica. L’immensa liquidità immessa dalle banche centrali in modo diretto (FED, BOJ, ecc.) o indiretto (BCE) viene drenata dai debiti pubblici di tutto il mondo. Risultato: si accumula di meno e si investe molto meno.
@Francesco_P
“L’immensa liquidità immessa dalle banche centrali in modo diretto (FED, BOJ, ecc.) o indiretto (BCE) viene drenata dai debiti pubblici di tutto il mondo. Risultato: si accumula di meno e si investe molto meno”
Pero’ mi pare che i debiti privati non e’ che sono da meno, e che l’unica cosa che si riesce a fare e’ spostare un po’ di questi debiti ora da una parte ora dall’altra, vedendoli sempre inesorabilmente aumentare nella somma in valore assoluto.
Non e’ che tutta questa presunta liquidita’ che viene messa in circolo e’ debito e solo debito, e il fatto che sia pubblico o privato e’ un problema che viene dopo, dato che spostarne l’ammontare da una parte o dall’altra e’ solo gioco dei tre bussolotti che conviene solo ad alcuni attori in posizioni di privilegio, en passant gli stessi che pagano i migliori economisti e controllano i piu’ grandi giornali? A me pare cosi’. Tutta questa liquidita’ che io vedo messa in circolo e’ dichiaratamente a prestito a scadenza, e ad ogni contrazione dell’economia io vedo che l’unica leva su cui si agisce e’ il calo di interesse dei nuovi prestiti, ma sempre di prestiti a interesse e a scadenza si tratta. Data la mia incompetenza, gli economisti potrebbero gentilmente spiegare come sara’ mai possibile restituire questi prestiti che crescono esponenzialmente grazie al gioco dell’interesse, mentre le economie reali calano di prestazioni, in senso prima relativo, ora assoluto? Lo so che il differenziale di interesse nei vari passaggi crea surplus di moneta “reale” nelle tasche degli intermediari al posto giusto, ma quest’ammontare mi pare che sia comunque una goccia in un mare di nuovi debiti. Qualcuno potrebbe rispondere chiaramente e argomentatamente a questa questione senza menare il can per l’aia e dare del signoraggista (giustamente nei casi piu’ estremi) a chi la sostiene?
Se il debito totale, pubblico+privato cresce sempre di piu’ e sempre piu’ in fretta, che cazzo di nuova moneta puo’ essere mai stata creata, e se si’, chi e’ che se l’e’ intascata per poi prestarla, a strozzo, a stati e persone?
Credo sia importante rispondere chiaramente e in fretta a queste domande prima che esploda qualcosa, come accade a scadenze caoticamente puntuali nel nostro mondo occidentale.
(@piero from genova: ovviamente con “conscio di non essere in grado” intendevo me stesso 🙂
@firmato winston diaz
mia opinione: differenza vs 1929 è che ormai abbiam tutti lavatrici auto telefoni pc e ci limitiamo a rinnovarli (spesso con obsolescenza programmata e/o mode).. quando nasce qualcosa veramente nuovo ed apre un mercato nn genera più domanda investimenti sufficienti come in passato a compensare espulsioni.. in passato c’erano praterie aperte ed efficienza tecnologica nn era a questi livelli.. mia opinione è simile a quella di economista Jeremy Rifkin che pubblicò anni fa La fine del lavoro..
differenza tra me ed altri è che io cerco di ricordarmi che anche la mia è opinione tanto più che siamo nel campo delle scienze sociali.. tanto più che un certo Godel dimostrò inconoscibilità coerenza anche in sistemi puramente formali (matematica / logica).. figuriamoci qui.. nel Regno (Apparente) delle Quantità..
@Francesco_P
noto con piacere 2 cose: la tua risposta è educata ed informata..
grafico l’ho costruito proprio con dati Fed.. mia opinione :
1) tuo ragionamento delocalizzazione condivisibile ma “parziale” considerando trend copre 50 anni.. nn solo 90 in cui Usa avevan paura Jpy (che peraltro spesso apriva fabbriche in loco e nn delocalizzava occupazione, spostavano quote di mkt, ma solo utili) ed i 2000 con accelarazione Brics..
2) ragionamento su Innovazione è anch’esso condivisibile ma “parziale” vedi mia rispo #15 a Wiston Diaz.. cui aggiungo distinguo tra Innovazione PRodotto (che “sempre meno” apre veri mercati e sempre più fa Ruotare mkt maturi) ed di PRocesso ovviamente auspicabile ma che sappiamo tutti essere ulteriore fattore espulsione forza lavoro.. in passato si riciclavano.. oggi troppo saturi (Grassi in media) nn più..
riassumendo 1+2): oggi c’è un qualcosa di più strutturale vs concetti Delocalizzazione/Innovazione, in sè rilevanti, da te evidenziati..
postilla Liquidità.. innanzitutto nn confondiamo Moneta (sia essa Oro Bit Carta Derivati) con Capitale (Impianti = Capacità Produttiva Installata)..
espansione Moneta nn implica Espansione Capitale perchè siamo già in Sovra..
tentativo Stampisti (fra un pò anche Bce farà un nuovo round) nn è espandere I Reale già in Sovra (salvo quota marginale Innovazione) ma espandere C (alias Attivare I Pre-Esistenti).. e soprattutto evitare fallimenti catena settore finanziario e statale con effetti 1929 al quadrato (come disse Vincenzo) anche su imprese/occupazione.. pazienza se qualcuno col debito fisso continuerà pagar “come prima” senza trarne vantaggio (“costo di opportunità”) sul lato passivo.. è un effetto collaterale..
leggo solo ora tuo ragionamento su Restituire Stampate.. quello che le BC nn possono ovviamente dire è che anche quando rialzeranno Tassi come vuole Coco (pare da fine 2015) in realtà nn dreneranno liquidità (la Esit Strategi è una foglia di fico che mai avverrà).. alias tutti debiti Pubblici + Privati (su questo hai ragione: Francesco vede solo metà bicchiere) che stanno Assorbendo verranno Rinnovati ad 00 cioè “di fatto” spariranno.. per esempio nostri Lro scadono fine 2014 e naturalmente Piigs nn ce la faranno a restituirli e verranno rinnovati e poi rinnovati e poi rinnovati cioè Ex Debiti Impagabili Diventeranno Moneta Senza Scadenza e Senza Tasso..
EXIT STRATEGY
Dall’inizio della storia ” E’ evidente che il potere d’acquisto non è altro che surplus circolante impiegato in consumi e investimenti. In termini moderni, la domanda aggregata (consumi e investimenti) è quindi funzione del capitale e può aumentare solo se il secondo aumenta. Si osservi, appunto qui, l’evidente contrasto con la teoria moderna che considera la domanda come categoria autonoma, dotata di vita propria, come se il capitale fosse un fondo sempre a disposizione e non andasse rinnovato.” Tutto il resto sono speculazioni, parole in più, BALLE per perditempo.
@Piero from Genova
“differenza vs 1929 è che ormai abbiam tutti lavatrici auto telefoni pc e ci limitiamo a rinnovarli (spesso con obsolescenza programmata e/o mode).. quando nasce qualcosa veramente nuovo ed apre un mercato nn genera più domanda investimenti sufficienti come in passato a compensare espulsioni.. in passato c’erano praterie aperte ed efficienza tecnologica nn era a questi livelli.”
nel 1929 non avevano di quei bisogni, perche’ erano abituati a vivere ma senza bisogno di tutta quella roba, il pc poi non potevano nemmeno immaginare che potesse esistere.
la gente che era adulta in quel tempo era cresciuta nell’ottocento in un’economia quasi totalmente priva di scambi, in cui il ricco era quello che possedeva un po’ di terra e 4 vacche, e in cui quasi tutta la popolazione viveva di autoproduzione in campagna.
hai mai conosciuto un contadino giovane in quel periodo? eta’ a parte, era in grado di vivere senza bisogno di nulla che arrivasse da fuori casa, a parte 4 attrezzi in metallo (coltello e piccolo erpice e aratro) che si tramandavano di generazione in generazione, e passava l’intera vita senza mai allontanarsi oltre qualche km dal luogo di nascita. Dalle mie parti (e vivo vicino ad una citta che gia’ un millennio fa commerciava col mondo allora conosciuto) ce ne sono ancora. TUTTO il resto era autoprodotto. Fino al 1929 la gente d’occidente era cresciuta in un mondo cosi’, lo sviluppo “serio” parte da quel momento in poi, e forse (e anche senza forse) proprio per correre dietro ai bisogni della finanza, guerra compresa, stessa cosa del resto che accade oggi. Bisogna contestualizzare, non ha senso trasferire lo stile di vita odierno a 100 anni fa, in questi cent’anni e’ cambiato TUTTO nella vita degli uomini (afghani a parte), in un modo che cent’anni fa non immaginavano neppure i piu’ visionari scrittori di fiction, e’ cambiato piu’ in cent’anni che in svariati millenni precedenti.
Siamo nel bel mezzo di un esperimento mai tentato prima.
Il problema e’ che poiche’ la storia si scrive sui libri e in citta’, il popolo delle campagne, che in realta’ era talmente assolutamente preponderante da poter essere considerata singolarita’ l’eccezione opposta, e’ come non fosse esistito. Errore che continuiamo a fare: cio’ che non si inquadra nei nostri schemi (peraltro sempre piu’ astratti), lo ignoriamo.
E, per far tornare meglio i conti, lo bombardiamo.
Analisi chiara dell’involuzione attuale, forse varrebbe la pena di considerare quello che solo Marx aveva intravisto, come pericolo per ogni sistema economico basato sull’aumento costante della produzione e sulla creazione del plusvalore: la presenza e l’espansione del lumpenproletariat, classe sociale avulsa dal sistema produttivo e non integrabile nello stesso. E’ la nostra situazione attuale, diciamolo chiaramente la massa dei disoccupati europei non e’ riassorbibile dall’attuale sistema produttivo, nei secoli scorsi il problema fu risolto dall’emigrazione di massa e in parte dalle guerre, oggi questa massa di non impiegabili rappresenta un costo fisso, da cui non si puo’ prescindere.
@firmato winston diaz
Con Internet qualcosa è cambiato.
Anche la Provincia ha voce. Del resto in Pavese (dicotomia città-campagna) era già presente la coscienza del problema.
Volendo osservare da altra angolazione e ricordando che in genere gli Usa anticipano di qualche anno il cambiamento dei costumi nella nostra Società (una volta di venti anni, ora probabilmente non più di cinque) è interessante osservare come si vada formando una coscienza incarnata da una generica e un pò informe “country class”.
Qui si può trovare qualcosa:
http://www.chicago-blog.it/2012/02/16/classe-dominante-di-angelo-m-codevilla-recensione/
http://www.scuoladieducazionecivile.org/2012gallotta01.htm
Il primo link è un post di Chicago dello scorso anno.
Il secondo è una recensione del lavoro di Codevilla.
@giuseppe
Molto interessante, ma fuorviante: a mio parere la rivoluzione americana e’ una rivoluzione illuminista, La rivoluzione illuminista per eccellenza, costituita in Stato (1779 vs. bastiglia 1789, non dimentichiamo), sviluppata su base massonica, quindi anti-confessional-clericale. La “country class” descritta da Codevilla mi pare uno strano ircocervo, come del resto sono strani ircocervi gli strascichi, i coacervi di potere da lui criticati, della rivoluzione stessa: nessuno dei due mi pare incarnare i principi fondatori, e entrambi mi sembrano, in qualche modo, traditori, e ormai “personaggi in cerca d’autore”. Non abbiamo piu’ neppure quel modello, cui ispirarci.
@paolo
da questo punto di vista il lumpenproletariat dei nostri giorni e’ la burocrazia di stato, comprese le libere professioni, che stanno allo Stato come i sottufficiali stanno agli Eserciti. Altro fallimento di marx: tutto sommato, mi pare non siano quelli che stanno peggio, nelle statistiche dei suicidi per motivi socio-economici di questi anni non ce ne e’ nemmeno uno di loro, credo… ecco, questa e’ una cosa che andrebbe soppesata: se non ce ne e’ uno, e’ perche’ sono causa e non effetto.