Le proposte di Niskanen e Rossi a confronto
Dall’America arriva una lezione importante per l’Italia, se il nostro paese prenderà sul serio la sfida del pareggio di bilancio.
William Niskanen, recentemente scomparso, è stato tra i consiglieri economici di Ronald Reagan, oltre che presidente del Cato Institute: allievo di Milton Friedman, si è sempre distinto, come ha scritto Richard W. Rahn sul Washington Times, per la sua testardaggine nel non voler adattare i suoi pensieri e punti di vista a ciò che ci si sarebbe politicamente aspettati da lui. Aveva inoltre saputo individuare da subito la debolezza fatale dell’Unione Europa, su cui scriveva: “il maggior problema, comunque, è che è difficile per il governo unirsi a tale area senza sopportare una porzione dei costi di tutte le attività EU … Se io fossi un funzionario del governo Europeo, una delle mie priorità sarebbe quella di ripristinare o mantenere l’appartenenza in una libera area di scambio europea senza richiedere necessariamente anche l’appartenenza all’Unione Europea”.
Studioso attento alla realtà empirica, questa lo convinse che il livello ottimale di spesa pubblica dovesse aggirarsi intorno al 10% del PIL: in caso contrario, l’economia dovrebbe sopportare costi maggiori rispetto a un incremento della spesa diretta per i medesimi progetti. Sulla base di queste osservazioni, propose un emendamento costituzionale (di sole 125 parole) che limitasse la spesa pubblica e il prelievo fiscale:
- Il Congresso non può aumentare il limite del debito pubblico degli USA senza l’approvazione di tre quinti dei membri di ogni camera [nota: negli Usa esiste un tetto all’indebitamento pubblico che può essere cambiato solo con un voto del Congresso].
- Il Congresso non può imporre una nuova tassa o aumentare l’aliquota o la base imponibile di una tassa esistente senza l’approvazione di tre quinti dei membri di ogni camera.
- Amministrazioni statali e locali devono essere compensate per i costi addizionali di ogni nuovo mandato federale specifico a tali governi. In assenza di tali compensazioni, lo Stato e i governi locali non devono implementare tali mandati.
- I tre precedenti articoli devono essere sospesi in qualsiasi anno fiscale in cui è in vigore una dichiarazione di guerra.
Anche a chi prima di oggi non conosceva questo brillante economista d’oltreoceano tali misure non appariranno una novità, dato che ormai se ne sente parlare quotidianamente in Italia. In particolare, per superare la crisi attuale, è stato il senatore Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, a proporre l’adozione di cinque misure, tra cui quella di mettere in Costituzione il pareggio di bilancio:
- Articolo 23: principio dell’ “equità intergenerazionale” nelle materie economiche-finanziarie.
- Articolo 81: costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, affiancato da un tetto alla spesa pubblica complessiva pari al 45% del PIL. Il ricorso all’indebitamento a gli aumenti di spesa maggiori del 45% devono essere approvati a maggioranza qualificata dai due terzi del parlamento.
- Articolo 117: prevede “l’armonizzazione dei bilanci pubblici ed il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” fra le materie di esclusiva competenza dello Stato, sottraendola alla concorrente competenza legislativa delle Regioni.
- Articolo 119: garantisce la coerenza fra l’operare del vincolo a livello aggregato ed il comportamento dei singoli enti.
- Norme transitorie che fissano al 2015 l’anno di entrata in vigore del principio del pareggio del bilancio (e delle norme conseguenti) e al 2020 l’anno di entrata in vigore del limite di spesa.
È quindi evidente che il principio di base, il pareggio di bilancio, è il medesimo nelle due proposte: non si può aumentare il debito pubblico e la spesa pubblica deve avere un tetto, che non può essere sforato se non in circostanze eccezionali e attraverso un voto “rafforzato”. Entrambi i limiti sono infatti corretti per il ciclo economico (il rientro deve avvenire entro i tre anni successivi), affinchè sia sostenibile anche in caso di recessione. Vincolando poi gli aumenti all’approvazione della maggioranza, diventa necessario il consenso e, quindi, la responsabilità, anche dell’opposizione. Gli articoli 117 e 119, invece, impongono le stesse condizioni anche agli enti locali decentrati, similmente al punto 3 di Niskamen.
Se si confrontano tali progetti ci sono almeno ancora due elementi su cui riflettere: innanzitutto un’ulteriore misura sarebbe necessaria in Italia, ossia l’imposizione di un limite all’aumento della pressione fiscale; in secondo luogo, il tetto alla spesa pubblica potrebbe (per non dire dovrebbe) essere posto sufficientemente in basso: anche senza scendere al 10% suggerito dall’economista statunitense, Vito Tanzi e Ludger Schuknecht ritengono che potrebbe essere pari al 30-35%.
Entrambe le proposte analizzate, infine, si distinguono per la “flessibilità regolamentata”: richiedono infatti una certa rigidità, necessaria ad evitare sforamenti eccessivi, ma nello stesso tempo assicurano anche la flessibilità necessaria ad affrontare i cambiamenti e, soprattutto, i momenti di crisi.
Se la situazione attuale diventa ogni giorno più grave, per cominciare a porre rimedio basta cominciare con pochi, ma significativi, passi e soprattutto con impegni che siano credibili.
Io ritengo che il Governo dovrebbe adottare le seguenti soluzioni a breve e medio termine:
a) Effettuare un piano di riordino delle risorse umane in carico all’amministrazione pubblica intercettando gli eccessi di risorse umane e creando un sistema incentivante all’assunzione delle suddette risorse umane, affinché si riducano fortemente i costi dello stato.
b) Riduzione dei costi, riduzione delle tasse
c) Raccolta differenziata in tutta l’italia attraverso l’utlilizzo di risorse umane “gratis” dai carcerati (che si sono dimostrati volenterosi nel recupero sociale) con un premio di depenalizzazione della loro pena, quindi la liberta se la devono guadagnare.
d) Programma di riduzione dei costi della politica per i prossimi 5 anni con una legge speciale che ogni hanno diminuisca tutti i tipi di compensi del 5% e che ogni anno diminuisca il numero dei parlamentari, onorevoli, assessori, ecc ecc del 5% in forma numerica
e) Utilizzazione del risparmio dei costi della politica e della raccolta differenziata per rilanciare l’economia
f) L’economia và rilanciata con un serio programma, (manette ai truffatori e loro prestanomi), rilascio dei contributi attraverso il controllo, verifica, rilascio dell’approvazione da parte di (Notai o Funzionari Pubblici che rispondano di persona e cn i loro averi e la loro professione in caso di errori o raggiri)
g) Coltivazione di grano per riprendere la produzione di grano, e di colture per il biodisel a livello nazionale e liberizzazzione dei carburanti.
h) ecc ecc ecc ecc ecc ecc
Interessante, ma come si suol dire “fatta la legge, trovato l’inganno”.
Secondo me (toyota fan club) occorre capire come e perchè gli stati -tutti- si indebitano sempre più.
La butto “grezza”, ma mi piacerebbe che qualcuno approfondisse.
Storicamente il “primario” e “industria” sono private mentre gran parte dei servizi (trasporti, scuola, sanità, sicurezza…) sono o hanno una componente prevalente statale, all’incirca in tutto il mondo. I margini di profitto dell’agricoltura e industria “pagano” i servizi statali. Ma mentre i margini sull’unità di prodotto agricolo ed industriale sono scesi, con conseguente diminuzione degli occupati, ciò non è avvenuto nei servizi in cui i costi continuano ad aumentare.
L’unica soluzione è “privatizzare” vale a dire fare entrare nei servizi ove possibile anche attori privati. Ho più volte parlato della scuola paritaria; anche nell’assistenza ci sarebbero margini di azione.
@Roberto concordo con te sulla prima parte non concordo invece sulla seconda… pensa solo che in Italia 80 Mld all’anno vengono utilizzati per le forniture nella sanità? Ora non pensi che di questi 80 MLD la metà possano essere cancellati? Iniziamo a cancellare i “furbetti” della sanità ma cosi come quelli degli appalti ecc ecc e vedrai che il disavanzo calerà drasticamente.
@Luca Bertoletti
Perchè allora non privatizzare l’intero sistema sanitario nazionale?
Pare che siamo arrivati alla frutta….nessuno mai si e’ accorto che stesso i ministeri e non i politici,(loro sanno ma non fanno nulla) ma funzionari, hanno contribuito al debito pubblico,,come? Sapevate che per ogni gara che emette un ministero ad esempio una fornitura di 100000 camicie per la PS ,ci sono grosse ditte italiane, sempre le stesse, che aggiudicano,prendono la commessa,la fanno lavorare in Slovenia o in Cina,la stessa ditta che in Italia ha 200 operaie, si trovano in cassa integrazione ,che paghiamo noi tutti,risultato niente lavoro piu’ debiti….questa storia dura da circa 15 anni ,pensate quanti milioni e milioni di euro sono usciti dall’italia pensate quante ditte hanno chiuso e quanti disoccupati si sono aggiunti a quelli successivi
Tra le partite IVA esistenti (circa quattro miloni) probabilmente tre milioni non hanno un giro d’affari che supera i 150.000€. Per essere in regola con le normative attuali, il carico burocratico è tale che non è possibile fare a meno di una consulenza, associazione di categoria o studio di commercialista con una spesa tra i 1.500 e 3.000 euro annui. Molto spesso questo costo è ben superiore a quanto si versa allo Stato. Perché non semplificare il tutto forfetizzando Iva e Irpef facendo il calcolo sugli ultimi 3/5 anni?