Le infrastrutture in Italia: quale ruolo per i privati. Live blogging
A Roma oggi viene presentato il nostro primo “Rapporto sulle infrastrutture”. E’ un lavoro ampio e credo molto interessante, con un forte impianto comparato. Il fuoco è il sistema autostradale in Italia. Il convegno è coordinato con la consueta abilità dal direttore di questo blog ed è stato aperto da un intervento di Carlo Stagnaro, che ha riassunto la sua introduzione al rapporto e i suoi risultati più significativi, già presentati qui. Riassumo qui alcune delle cose che stanno dicendo i diversi partecipanti. Va da sé, la scelta dei temi più rilevanti toccati è assolutamente discrezionale.
Castellucci (AD, Autostrade) traccia un bilancio: il piano d’investimenti di Autostrade copre 1100 km, quest’anno investiremo 1 miliardo e mezzo. I privati investono il quadruplo della società Autostrade quand’era pubblica. Quando la società venne privatizzata, non aveva neanche la capacità finanziaria per la quarta corsia sulla Milano-Bergamo. C’è una grande concentrazione dell’investimento laddove c’è traffico: questo porta ad un “riequilibrio territoriale” (per anni gli italiani del Nord hanno pagato le autostrade del Sud). Fluidità migliorata, grazie agli investimenti e ad una oculata gestione di cantieri. Importanti risultati in termini di sicurezza (asfalto drenante e tutor). Autostrade ha il minor debito di tutto il settore: i ritorni per gli azionisti sarebbero stati molto più alti, se si fosse fatto più leverage. Il cash-flow è stato utilizzato per gli investimenti più che per gli investimenti. La preoccupazione degli investitori internazionali è che prima o poi si debba di nuovo, discrezionalmente, modificare il contratto di Autostrade: “l’incertezza costa per tutti” (domanda, mia, un po’ scontata: ancora una volta, un problema di credibilità del nostro amato Paese?). Gli investitori sono disponibili a prendere il “rischio traffico” e il “rischio investimento”, non il “rischio regolatorio”.
Castelli (Vice Ministro, Trasporti): c’è un problema di credibilità del Paese. Al di là delle buone enunciazioni di principio nelle tavole rotonde, investitori internazionali ne vengono poco. Non bisogna riscrivere i contratti, per non minare la credibilità della controparte pubblica. Poi però il Vice Ministro cambia rotta: se arriva una grande tempesta finanziaria, un evento davvero eccezionale, qualche correzione si può fare (?). Castelli difende le tariffe: sono un’equazione. Castelli prende coraggiosamente le distanze da Alemanno (per questa polemica). Non è possibile che nel nostro Paese non si capisca che i cittadini debbono pagare per i servizi di cui usufruiscono. Serve un “contributo ai privati sempre più massiccio”, in linea con un trend mondiale, ed è imprescindibile a causa dei vincoli di finanza pubblica. E’ giusto il momento di far costare meno le opere. Basta alle opere compensative. E’ giunto il momento di porre mano alla legge obiettivo perché non è possibile avere progetti definitivi che costano tre volte i preliminari. E’ giunto il momento di snellire oneri amministrativi. L’intervento dei privati è indispensabile sotto ogni punto di vista, per incentivarlo serve più certezza del diritto.
Paolo Costa (ex Ministro dei Trasporti, economista del ramo, ora all’autorità portuale di Venezia): la privatizzazione “vista da dentro” è stata effettivamente un successo. Il tema vero è quello della stabilità della regolazione: il rapporto IBL insiste su di essa come il cuore del problema. L’impianto concettuale è legato all’idea che vi sia una gara iniziale, e poi pacta sunt servanda. In Italia sfortunatamente “gare iniziali” non se ne fanno. A parte la privatizzazione di Autostrade (pure atipica), le altre concessioni in Italia sono “quasi-imposte”. C’è un problema di storia e di prassi. Siamo di fronte a concessioni date quando ancora la concessione era considerata un istituto pubblico. L’assenza di gare in senso proprio apre la strada alla imprevedibilità e alla discrezionalità dell’attore pubblico. Il regolatore è “catturato” dai concessionari, quasi di norma in questo Paese. Ci vogliono gare effettive, trasparenti, sulla base delle quali venga aggiudicata la costruzione di una singola opera, non di un “pacchetto” di opere. Ogni tanto i patti non sono stati adempiuti per influenza del privato, non “contro” di esso!
Nicola Rossi (economista e senatore PD): quello che è stato fatto nella seconda metà degli anni Novanta (privatizzazione Autostrade), non poteva non essere fatto ed è stato un bene per il Paese farlo. E’ stato un processo non completato, però. Processi non completati di apertura del mercato possono essere pericolosi, creando un effetto boomerang. Lo sforzo deve essere completato: abbiamo ancora tratte significative gestite da un operatore pubblico, e bisognerebbe lavorare perché questo non sia più il caso; resta debole l’impianto della regolazione a causa dei conflitti d’interessi (lo Stato concedente è anche concessionario ed è anche regolatore); il finanziamento delle nuove opere dovrebbe essere lasciato al mercato. Tre problemi da porre all’ordine del giorno: (a) semplificazione delle procedure, anche se sono quindici anni che ci si prova invano. Problemi legati alla tendenza connaturata della PA ad evitare che vi sia un centro di responsabilità riconosciuto come tale; (b) stabilità delle norme è fondamentale, non si cambiano le regole del gioco a partita iniziata, i contratti non possono essere “formati progressivamente” o “modificati in corsa”. Ma come meravigliarsi, in un Paese in cui da destra e sinistra si prendono provvedimenti fiscali “retroattivi”, cosa che ovunque farebbe scendere la gente in piazza? (c) C’è anche un problema di qualità della legislazione: la norma sul pedaggiamento del raccordo anulare era “scritta con i piedi”, la legge elettorale gioca un ruolo, ma c’è il guaio che in provvedimenti “blindati” da governi di destra o sinistra non si può correggere neppure l’ortografia. Il risultato sono norme inapplicabili o folli, che il Paese nella sua infinita saggezza consapevolmente ignora.
Enrico Morando (senatore PD): i governi cambiano ma i problemi restano. I governi italiani alla domanda: perché non si fanno infrastrutture? hanno risposto, destra e sinistra: perché mancano i soldi. Il rapporto dell’IBL dimostra che così non è: in un’economia globale non mancano capitali, il problema è come attrarli, nel settore della costruzione delle infrastrutture, al fine di aumentare la capacità competitiva del Paese. Noi non riusciamo ad attrarre capitali privati non per assenza di capacità pubblica, ma per problemi che riguardano il funzionamento del sistema-Italia nel suo complesso. Ci sono questioni che travalicano il settore: giustizia e relazioni sindacali “impattano” l’attrazione di capitali per il settore autostradale, molto più della regolazione di settore. Una punzecchiatura a Ciucci: apprendo con stupore che non vi sarebbe un conflitto d’interessi in capo all’Anas.
(Subentra cs perché am ha il pollice dolente)
Morando si chiera a favore del coinvolgimento delle regioni nella regolazione e vigilanza sulle autostrade, purché restino ben distinti questi compiti dall’ingresso in campo come concessionari. Di fatto approva il “modello lombardo” che vede un coinvolgimento dell’Anas assieme alla regione per incentivare la realizzazione di infrastrutture utili.
Giannino si aggancia a quest’ultimo punto per passare la parola a Enrico Musso, senatore del Pdl ed economista dei trasporti che precisa di parlare più da economista che da politico. Musso sottolinea le parole di Morando sulla non pertinenza dei problemi di finanza pubblica: oggi il privato non è più un “esecutore efficiente”, ma può giocare in prima persona, sia per virtù sia per necessità. Il privato, cioè, non è più un mero amministratore (o realizzatore) di redditività, ma un investitore che si assume dei rischi. Quindi, la platea dei privati interessati deve essere necessariamente aperta allo scenario globale: se vogliamo buone infrastrutture, dobbiamo essere in grado di attrarre investimenti. Quali condizioni vanno rispettate? Anzitutto, prosegue Musso, creare vera contendibilità attraverso gare vere e concessioni di durata rapportata all’entità degli investimenti. Un secondo elemento è la flessibilizzazione degli elementi tariffari: il trend è sempre più quello di far pagare la viabilità specie in relazione alla congestione. Dunque il pagamento non è solo corrispettivo della costruzione e gestione, ma riflette anche il valore d’uso, quindi si potrebbero immaginare pedaggi variabili in funzione della domanda. Conclude Musso: la redditività, specie nel trasporto merci, si colloca su un ciclo che spesso è intermodale, non sta sul singolo segmento. Dunque il ruolo del privato può essere valorizzato su interi archi intermodali come i grandi corridoi europei? Infine, ribadisce che le opere devono essere “utili”, e anche allo scopo di discriminare quelle utili da quelle inutili è essenziale che le regole e le norme siano certe. In Italia abbiamo un paradosso per cui il regolatore pubblico è rigido nell’adeguarsi ai cambiamenti ma estremamente volubili all’opinione pubblica e questo contribuisce a creare confusione dannosa. “Il rischio di cattura del regolatore non c’è perché il regolatore non esiste: l’Anas dovrebbe essere abolita e superata da un’autorità indipendente e dalla riassegnazione delle concessioni a soggetti privati”.
Interviene Luigi Grillo, presidente della commissione trasporti del Senato. Grillo ripercorre le principali tappe degli anni recenti: svalutazione della lira nel 92, legge Merloni nel 93 che ha l’effetto – secondo lui – di paralizzare gli investimenti in opere pubbliche fino al 2001. La ragione è che le procedure sono talmente macchinose da impedire la realizzazione delle opere. Le cose cambiano con la nomina di Lunardi a ministro. Quindi legge obiettivo, legge delega e legge 166 che modifica la Merloni. Grazie alla riforma del 2002 che ha sbloccato il project financing gli investimenti sono ripartiti. Cita statistiche sulle gare e l’investimento di capitali privati per dimostrare che effettivamente una modifica ha potuto liberare forze importanti, stoppate dall’intervento a gamba tesa di Di Pietro che cancella il diritto di prelazione. I project riprendono quando, nel 2008, il centrodestra re-introduce il diritto di prelazione. Dunque, dice Grillo, se fai norme appropriate ottieni i risultati: “abbiamo poche risorse pubbliche, molte risorse private e il sistema bancario più forte d’Europa”. Grillo critica il veto Tremonti sul project di terza generazione, che avrebbe consentito una serie di investimenti senza onere per il pubblico. Il PF di terza generazione consente ai privati di prendere l’iniziativa per un investimento, senza che la decisione debba nascere in prima battuta dagli enti pubblici. In sostanza si tratta di una evoluzione della normativa esistente per esaltare il ruolo dei privati, che sarebbe molto efficiente specie al nord dove la PA funziona. Grillo propone la tariffazione delle superstrade (circa 6.600 km) per consentire investimenti necessari in capacità e sicurezza. Tutto questo, secondo Grillo, funziona o può funzionare: cosa non funziona? Certo, la macchinosità delle procedure. Ma l’anno scorso una norma ha sbloccato 11 concessioni autostradali. Pochi mesi dopo si è ritenuto che queste concessioni già sbloccate dovessero essere riportate al Cipe, che le ha riapprovate nelle condizioni precedenti alla norma: siamo al punto di partenza e sono ancora bloccate, con ingenti investimenti in attesa. Altro grande problema è responsabilizzare il ruolo dei magistrati per curare le patologie della giustizia. Sull’Anas, Grillo ritiene che il controllo andrebbe assegnato ad altri soggetti, separandolo dal ruolo di concedente e concessionario. A differenza di Musso, però, Grillo ritiene che il controllo non dovrebbe essere assegnato a un’authority ma al ministero.
Giannino lascia la parola a Francesco Ramella per le conclusioni.Ramella parte con due buone notizie: (1) non ci sono più i soldi perché abbiamo capito che né il debito né le tasse sono utili. (2) I soldi pubblici non servono. Quali opere servono? Servono opere dove c’è congestione, cioè sulle tratte più redditizie. Il sistema, se lasciato a se stesso, si auto-equlibra. Il problema è che continuiamo a fare opere che non servono, o perché non ci sono abbastanza persone che la usano, o perché non sono disposte a pagare abbastanza. Poiché gran parte del traffico è locale, prosegue Ramella, finanziamo le opere pubbliche a livello locale: è un modo per discriminare tra opere utili e no. Conclusione: lo stato più che fare dovrebbe lasciar fare e smettere di fare le cose sbagliate.