Le donne prendono quota anche senza quote
Oggi è stato approvato il disegno di legge sulle quote rosa negli enti locali e consigli regionali, mentre a livello europeo è stata formalmente adottata la proposta di direttiva sulle quote rosa nei consigli di amministrazione delle società quotate, dove dovrebbero esserci almeno il 40% di donne entro il 2020.
Senza più entrare nel merito sulla dubbia efficacia e potenziali distorsioni di questi strumenti, già discussi in più occasioni, è però possibile fare qualche riflessione sui trend relativi alle posizioni occupazionali femminili.
Secondo una recente indagine Eurispes, la classe dirigente è attualmente costituita in prevalenza (85%) da uomini. Tuttavia, si osserva che negli ultimi venti anni il numero di donne ai vertici è raddoppiato, passando dal 7,8% nel 1992 al 15% di oggi. Uno studio di Manageritalia rivela, poi, che il numero di capi donna è ulteriormente aumentato dopo la crisi.
Le differenze di genere tendono inoltre a ridursi con l’età: se la discrepanza uomo donna nella fascia over 65 è del 15,8%, nella fascia 51-65 anni lo scarto si riduce al 3,1%. Addirittura, tra i 36-50enni le donne sono il 13,7% in più degli uomini e, tra gli under 36, il 7,5% sono donne, a fronte di un modesto 2,3% di uomini.
Questi risultati sembrano suggerire che il differenziale di genere tende spontaneamente a ridursi nel tempo, e la maggior presenza di donne nelle fasce più giovani lascia supporre che in futuro una maggior partecipazione femminile al mondo del lavoro sarà accompagnata da un più elevato numero di donne anche ai vertici delle aziende.
Una simile ipotesi trova conferma nei dati OECD: nel tempo, infatti, il rapporto tra il numero di donne e di uomini impiegati tende ad aumentare, rivelando quindi una maggior presenza femminile sul totale. All’aumentare del numero di donne nelle fasce d’età più giovani, cresce anche quella nella fascia 55-64.
Fonte: elaborazioni su dati OECD
È soprattutto tra i 25-54enni che si osserva una più marcata riduzione delle differenze di genere.
Fonte: OECD
Poiché tale cambiamento è avvenuto anche in assenza di interventi normativi e poiché si osservano risultati maggiori nelle nuove generazioni, si può supporre che la discrepanza dipendesse da una questione culturale che scoraggiava molte donne a dedicarsi alla vita professionale. In questo caso, è da ingenui pensare di poter ridurre le differenze di genere imponendo le quote rosa: una donna che si sentisse in colpa se scegliesse di lavorare anziché prendersi cura della famiglia non deciderebbe comunque di dedicarsi al lavoro, tanto meno uno time-consuming come quello ai vertici.
In ogni caso, sia che in passato la minor presenza femminile fosse giustificata da una libera scelta sia da necessità, attualmente tali motivazioni sembrano assumere un peso minore così che le donne si sentono sempre meno vincolate dal ruolo familiare.
La scelta di optare per le quote rosa sembra dunque una forzatura inutile, tanto più se si considera che lasceranno dietro di sé gli effetti di decisioni economiche e politiche prese da persone ai vertici in virtù di decisioni normative, piuttosto che di merito.
A livello pubblico, poi, sostituire i già presenti amici e parenti vari – tanto nei comuni e nelle regioni (si pensi, a riguardo, al caso piemontese), che nelle partecipate – con amiche e parenti varie non dovrebbe essere particolarmente difficile.
Perchè le donne, in maggioranza nel paese, non hanno adeguata rappresentanza nelle istituzioni? Semplice, erchè le donne non votano per le donne. Come mai, nonostante l’evidenza statistica di talento e capacità, le donne non assumono incarichi direzionali in adeguate proporzioni? Facile (anche se scomodo), perchè le donne non solidarizzano con le altre donne, non fanno lobby, non si difendono come genere, anzi, si distinguono per particolare astio e litigiosità proprio con le altre donne. L’uscita? Il cambio di mentalità, peraltro già in atto, che porta le donne a prendersi ciò che la società deve loro, senza aspettarsi ipocrite attenzioni dai maschi e senza avanzare ipocriti vittimismi. Chi vale, a fatica, avanza.
Ci sono delle inesattezze. 85% è la percentuale di uomini nei cda, ma se si contano quelli con potere esecutivo ( ovvero quelli che detengono il potere) gli uomini sono oltre il 91% e la percentuale non è in diminuzione.
Quella del 40% è una proposta per i consiglieri societari senza potere esecutivo di tutte le società ue quotate in borsa, ma non riguardano anche quelli con potere esecutivo. Ecco perché è una proposta simbolica che non comporta alcuna reale rivoluzione di genere (ammesso e non concesso che Germania e Gran Bretagna la facciano passare come normativa di legge).
Per concludere: non capisco per quale strano motivo si propongano tali quote. Se le donne sono sicure di essere più brave degli uomini, semmai dovrebbero mettere le quote azzurre. Anzi, dovrebbero eliminarle per tutti e a priori. Si dovrebbe scegliere in base al cervello e non alla tipologia dei genitali, mi pare ovvio. Se le donne riescono a districarsi meglio con le nuove tecnologie informatiche e la meccanica delle grandi aziende odierne, ben venga che occupino anche la totalità dei seggi, ma non si può venire meno alla meritocrazia imponendo delle ridicole quote. Parliamo di donne, non di panda.
@Riccardo, il suo commento è davvero fuorviante. Non c’è alcun bisogno di alcuna “lobby” o di “attenzione dei maschi”. Guardi il calendario: siamo nel 2012, a breve nel 2013. Gli anni delle suffragette sono morti e sepolti, adesso va avanti chi vale, aldilà del genere o dell’etnia. Ma pare che molti ancora debbano fare questo cambio di mentalità… e non mi rivolgo solo a lei, ma anche a questi pseudo-saccenti e finto-perbenisti che propongono leggi che massacrano la meritocrazia.
Sono una donna e penso che si debba riconoscere il merito a chi ha le qualita’ indipendentemente dal sesso di appartenenza ma devo riconoscere che oggi ancora tra un uomo e una donna di pari valore viene sxelto un uomo! Peccato quante possibilita’ sprecate di cambiare questo mondo cosi’ sterile che chiede un cambiamento. Solamente la sensibilita’ e la tenera fermezza di una donna puo’ cambiare il mondo!
eppure ci sono settori professionali (magistratura, avvocatura, insegnamento) dove la presenza femminile è preponderante e spesso inquietante.
Ma smettiamola con questa sciocchezza delle quote. E’ sicuramente vero che le donne sono “costrette” ad una scelta tra figli/famiglia e professione ma sull’altro piatto c’è la pretesa di avere tutto a scapito di tutto, specie proprio della famiglia che si sta distruggendo.
Ognuno faccia le sue scelte ma nessuno pretenda dalla società di avere tutto e il contrario di tutto
Non ritengo sia necessario per legge regolamentare una QUOTA ROSA, ma si devono mettere regole chiare e usufruibili, affinché non vi siano discriminazioni sia a livello di incarichi che di stipendi tra uomini e donne.
Paolo ha colto nel segno. Questo tipo di famiglia non è conciliabile con la carriera e le pochissime eccezioni,confermano la regola. Non si conciliano marito, figli, carriera e spazi di realizzazione personale. al massimo se ne fanno bene due di queste, ad una si rinuncia in parte e la quarta va tagliata del tutto. Individualmente ogni donna sceglierà quali perseguire, cosi come fanno gli uominida sempre. la differenza è che per le donne fino a ieri la scelta era obbligata oggi siamo libere di scegliere.
Non vorrei sembrare sessista e per questo dico giusto a piu donne in tutti i settori e nelle “camere dei bottoni”, però vorrei far riflettere su alcune cose :Fornero,Cancellieri,Camusso; donne al comando , stanno facendo danni a non finire (non che i loro predecessori maschi abbiano fatto di meglio).Non è forse che il problema donne si donne no o quote rosa sia solo un finto problema ,ma che invece dovrebbe essere un problema di competenze, capacità e buonsenso (vale anche per gli uomini)? Per quanto riguarda il mondo del lavoro bisogna effettivamente pensare di dare più garanzie e possibilità a più donne di quanto non si sia mai fatto sino ad ora.
Io sento rumopre di unghie sui vetri… il tempo dell’opportunismo sessista non è affatto passato e i problemi culturali che confinano le donne alla seconda fila sono tutti in piedi. Ma la soluzione è in mano alle donne. Spiace ripetermi ma quella politica è una metafora perfetta: sono proprio le donne a non votare per altre donne e magari, poi, a lamentarsi per la scarsa rappresentatività.
Sono d’accordo con Giorgio. In Italia, sia le attuali donne di potere sia quelle che ci gravitano attorno, non stanno per niente dando una mano alla soluzione del problema, piuttosto pare stiano aggiungendo ulteriori problemi assieme ai loro colleghi con alto tasso di testosterone. Anziché dimezzare i problemi, li stiamo raddoppiando. Adesso è sbucata pure la genialata delle quote rosa, che non ha nessun parametro legato all’efficacia/efficienza… ovvero, dell’unica cosa di cui il Paese dovrebbe aver bisogno e non ha.
Altra verità è quella di Paolo. Se è vero che le donne vogliono equilibrare il potere economico, a quando si darà più rappresentatività al genere maschile nelle scuole e nell’ambito giuridico? Chiediamo le quote azzurre a discapito del punteggio nei concorsi?
caro Riccardo, sono d’accordo con lei. Mi piacerebbe avere colleghe come la Dr.ssa Quaglino, peraltro premiata per Sudditi. Complimenti alla Dottoressa, attendiamo editoriali sempre più mordaci.
Andate in tribunale a Milano poi tornare a parlare di donne e potere.
Quote rose, inutili. Politiche serie invece servono a favorire la maternità anche nel settore privato: è quello il punto dove le donne vengono spesso fatte fuori dalle aziende, cioè dal mercato, alla faccia del merito.