Le contraddizioni della nuova PAC – 4: i ‘piccoli’
Il 12 ottobre la Commissione Europea ha ufficialmente presentato il pacchetto di iniziative volte a riformare la Politica Agricola Comune (PAC) da qui al 2014, quando la riforma entrerà in vigore. E’ una serie di misure molto complesse, che merita migliore approfondimento. Intanto vorrei dedicare alcuni brevi post alle contraddizioni più evidenti della proposta appena approvata, seguendo il canovaccio dell’efficace sintesi riportata sul periodico online “Agronotizie”.
Quarta puntata: i “piccoli”
In un’ottica di semplificazione dal punto di vista amministrativo, i piccoli agricoltori saranno oggetto di alcune facilitazioni: non dovranno sottostare alle regole del greening e riceveranno un pagamento fisso (tra 500 e mille euro), indipendentemente dalla dimensione dell’attività, azzerando così ogni onere burocratico
Quante volte ci siamo sentiti dire che la piccola impresa agricola è il fondamento di una gestione sostenibile del territorio ed in quanto tale andrebbe tutelata e sostenuta? Ebbene, andando al sodo, saranno proprio i più piccoli che potranno evitare di sottostare alle regole del “greening” di cui abbiamo parlato nella prima puntata: non dovranno diversificare le coltivazioni e potranno risparmiarsi la seccatura di dover dedicare il 7% della superficia aziendale a “fini ecologici”.
La diversificazione non è solo utile all’ambiente. E’ in primo luogo utile al profitto dell’impresa agricola. Come chi investe in titoli si protegge dai rischi diversificando il portafoglio, anche un agricoltore sarà meno soggetto tanto alle bizze del clima quanto alla volatilità dei prezzi investendo su diversi tipi di colture. Ma diversificare costa: significa acquistare macchinari diversi adatti alle diverse coltivazioni, e significa una gestione aziendale più consapevole e attenta. Cose che le microimprese agricole oggettivamente non sono in grado di fare, o che fanno con difficoltà. Per questa ragione è comprensibile che vengano esentate da certi obblighi.
Meno comprensibile è la pretesa di voler conservare uno status quo fatto di imprese piccole ed inefficienti, voler giustificare tutto ciò con la tutela del paesaggio rurale e della biodiversità, quando sono proprio le microimprese ad essere naturalmente vocate alla monocoltura. C’è qualcosa che non quadra.
E la cosa che quadra ancor meno è il pagamento fisso tra i 500 e i mille euro previsto per i piccolissimi. Un’altro forte disincentivo all’accorpamento fondiario. Il valore dei terreni agricoli dipende dalla loro redditività, ed è quindi strettamente legato all’ammontare dei sussidi per unità di superficie: d’ora in avanti, con ogni probabilità, il canone di affitto di appezzamenti di terreno agricolo di minuscole dimensioni potrà arrivare anche a mille euro annui, valore completamente fuori mercato, ma equivalente al sussidio, ed il prezzo di acquisto salirà in proporzione.
E mentre le imprese orientate alla produzione vedranno aumentare gli obblighi burocratici e i vincoli ambientali, vedranno ridursi le opportunità di ingrandire la loro attività e al tempo stesso diminuire gli aiuti, l’UE decide di disperdere in milioni di piccole e inutili rendite una bella fetta del budget della Politica Agricola Comune. Un capolavoro.
Non ne capisco l’utilità di una politica agricola comune (nel senso di finanziamenti all’agricoltura… dare soldi a pioggia non è mai stato efficiente, ed è semmai una stortura del mercato volta a compensare le differenza di concorrenzialità con le concorrenti extracomunitarie… ma quand’è così mettete un bel dazio e lasciate in pace, in tutti i sensi, i coltivatori) quando in europa di agricoltura semplicemente non capiscono una beata fava. Capiscono semmai di proteggere gli interessi di questa o quella categoria, in questo caso, di coltivatori, perchè?… è semplice, votano.. e pagano le tasse che poi servono a ripagarli, il ciclo si chiude e i politici riescono anche a mangiarci sopra. E’ tutto un magna magna, questa è la verità.
A Bruxelles hanno messo su un marchingegno complicatissimo e carissimo per l’agricoltura e infine per tutto.
Forse sarebbe meglio chiudere i finanziamenti,vedere che succede (come fecero in Nuova Zelanda) e aggiustare le cose in conseguenza.
Ma il fenomeno del nanismo delle aziende agricole non è tipicamente italiano ?