Le cause della crisi finanziaria
Si sente spesso dire che la crisi finanziaria è colpa del “libero mercato”, in quanto si ritiene che l’eccesso di liberalizzazioni abbia liberato gli “animal spirits” fino a portare alla crisi subprime nel 2007 e allo sfacelo che ne è seguito. Questa ricostruzione è erronea: la crisi è la naturale ed inevitabile conseguenza di anni e anni di interventi pubblici sul mercato.
Per spiegare il perché in termini più semplici possibili partirò da tre assunti.
1. Il mercato è un sistema complesso in cui milioni di “agenti” si coordinano tra loro grazie al calcolo dei profitti e delle perdite: dove ci sono profitti arrivano più risorse, dove ci sono perdite le risorse fuggono alla ricerca di impieghi migliori. Il mercato è così complesso da non essere gestibile in maniera burocratica e “politica”, e non esistono alternative al sistema dei profitti e delle perdite per consentirne il funzionamento.
2. La complessità del mercato è tale che eventuali problemi possano accumularsi nel tempo, ingigantirsi, e diventare evidenti solo dopo molti anni: ad esempio, se si assume troppo debito perché si sottostima il rischio che gli investimenti vadano male, non si subiscono immediatamente perdite, perché queste saranno evidenti solo dopo che gli investimenti si saranno rivelati erronei, e non mentre si accumulava debito, quando al contrario i nuovi investimenti stimolavano la domanda e tutti pensavano di essere più ricchi di quello che erano effettivamente.
3. Esistono numerose politiche che rimuovono temporaneamente le perdite e dunque falsano il meccanismo di mercato che ne consente il coordinamento, generando problemi che si accumulano nel tempo, e alla fine generano una crisi che, se le distorsioni accumulatesi sono gravi, può essere lunga e profonda: nessuna di queste politiche può essere considerata di “libero mercato”. Queste politiche sono: la politica monetaria discrezionale anticiclica, i bailout governativi, le garanzie governative sui debiti, e le garanzie governative sui depositi. Sfido chiunque a dire che non abbiano caratterizzato la storia macroeconomica degli ultimi due o tre decenni.
Considererò come esempio particolare la politica monetaria americana: a partire dal 1987 è intervenuta a sostegno dei mercati una mezza dozzina di volte: nel 1987, nel 1991, nel 1999, nel 2001, e nel 2007. Supponiamo che un’azienda si indebiti a tre mesi per finanziare un investimento della durata di dieci anni, e dopo due anni ci sia un’improvvisa scarsità di capitali che impedisce all’azienda di rinegoziare il debito. Cosa succederebbe se lo Stato intervenisse per creare credito e aiutare l’impresa? L’impresa non avrebbe più motivo di preoccuparsi per i propri debiti, e anzi, aumenterebbe gli investimenti ulteriormente confidando che non ci saranno problemi con i debiti. Ma una volta che tutti ragionano così, il mercato crolla perché tutti si ritroverebbero incredibilmente indebitati e non sarebbe più possibile soddisfare la domanda di credito tramite ulteriori interventi statali.
Un discorso simile si può fare con Fannie Mae e Freddie Mac, che garantivano il 50% del debito immobiliare americano, ed erano (non ufficialmente, ma era un segreto di Pulcinella) protette dal Tesoro americano e dalla Fed in caso di crisi. Lo stesso si potrebbe dire di qualunque banca così grande da essere certa di essere salvata in caso di crisi: perché temere per il suo fallimento se alla fine dietro si sa che c’è il contribuente? In sostanza, basta l’aspettativa di essere salvati per essere spinti ad agire in modo da creare la necessità di essere salvati.
Il mercato è un sistema basato sui profitti e sulle perdite. Se si eliminano le seconde, non funziona più nulla, anche se nel breve termine sono tutti contenti. L’attuale crisi è la prova del disastro che può causare lo Stato quando interviene sul mercato in maniera incompatibile con le leggi economiche, e col buonsenso.
Quindi se ho capito bene, si sostiene che il mercato dovrebbe essere lasciato al suo destino nel bene e nel male? Che nel momento in cui una grande banca si trovasse sommersa dai debiti, la si dovrebbe lasciare fallire per non alterare il mercato? Perciò l’azione dell’unione europea per salvare gli stati più indebitati procurerebbe più danni che vantaggi?
Si sostiene che il mercato non va alterato evitando le perdite di chi fa investimenti sbagliati, perchè queste costituisceono il naturale meccanismo di autoregolazione del sistema.
Nel caso delle banche “too big to fail” ciò significherebbe credo un’attenta azione dell’anti-trust per fare in modo che nessun player risulti eccessivamente rilevante rispetto al mercato di riferimento in modo da ridurre i rischi sistemici in caso di fallimento.
La mia riflessione è che meccanismi di garanzie di stato sono state introdotte negli USA per consentire l’accesso all’acquisto di una casa anche a chi in base alle leggi del mercato non avrebbe avuto i mezzi per soddisfare le proprie esigenze abitative.
Eliminarle lascia sul campo un problema sociale a cui il mercato non può dare soluzioni.
Nel caso delle banche significa anche non fare Quantitative Easing pompando liquidità ch le banche prestano a cani e porci (mutui subprime) che poi non li restituiscono mandando tutti in braghe di tela quando arriva la (inevitabile) stretta monetaria.
@Stefano Biagi
Chiunque venga salvato dalle conseguenze dei propri errori verrà spinto a fare più errori. Gli errori si accumulano e diventano sempre più grandi man mano che i meccanismi di correzione vengono sedati dagli antidolorifici pubblici. Alla fine gli errori diventano così enormi che è impossibile correggerli e si ha una crisi cento volte più grave di quello che sarebbe stato necessario.
Ad esempio, consideriamo il “sei politico”, e assumiamo che venga introdotto dalle elementari alle superiori. Ammettiamo che un 50% degli studenti studierà anche se sa che non verrà mai bocciato, per passione o senso del dovere, ma non si dà alcun incentivo a farlo, né questi studenti hanno maggiori probabilità di avere successo a scuola e di rimanervi più a lungo. Il rimanente 50% studierà di meno, perché tanto sa che non verrà mai bocciato, e dunque può permettersi di non studiare, di rimanere ignorante, e magari di maltrattare i maestri e i professori.
Dopo qualche anno, si avrà un 50% di studenti volenterosi che però sarà stato in classe con gente che non sapeva nulla e faceva chiasso, quindi ha imparato poco, e comunque hanno studiato meno di quanto avrebbero potuto. E un 50% di studenti analfabeti che non ha mai aperto un libro. Dopo 13 anni di scuole, avremo quindi un 50% di analfabeti e un 50% di persone meno preparate di quanto avrebbero potuto. A quel punto la crisi è evidente, e il danno irreparabile: arrivati a 18 anni non si può imparare da capo a leggere e scrivere.
Le politiche anticicliche sono come il sei politico: nel lungo termine impediscono al mercato di selezionare chi sa “stare sul mercato” e incentivano le persone a dare il peggio di sé.
Egr. Pietro Monsurrò, può essere che la pol. monetaria espansiva dall’87 in poi sia stata messa in atto per controbilanciare quello che la reaganomics da inizi anni 80 aveva causato? un progressiva diminuzione del massa salari su pil (ancora in atto), quindi l’unico modo per sostenere la domanda (allora aveva ragione Keynes con il principio della domanda effettiva?) era far aumentare l’indebitamento privato (cosa non detta xò da Keynes).
@davide
Non ho una grande opinione di Greenspan ma non credo avesse le traveggole: la politica monetaria non può innalzare i salari nel lungo termine, e non credo che Greenspan abbia mai pensato ad una cosa del genere.
Di norma la politica monetaria accomodante fa aumentare i profitti, non i salari, perché rende più proficuo (artificialmente e non in maniera economicamente efficiente e razionale) investire. Tant’è che Keynes già negli anni ’30 suggeriva di fregare i lavoratori creando inflazione.
Nei limiti in cui la politica monetaria crea boom finanziaria, poi, questa fa aumentare la disuguaglianza, anziché farla diminuire. Perché chi ha relativamente più azioni ha più da guadagnare rispetto a chi ha un patrimonio fatto di depositi bancari o fondi obbligazionari. Infatti la disuguaglianza patrimoniale sembra essere anticiclica: aumenta nel boom e diminuisce nella recessione, ma non so quanto in termini econometrici, non ho trovato uno studio preciso. Aiutare le banche aiuta più i banchieri che i lavoratori, e aiutare la Borsa aiuta più gli hedge fund dei pensionati.
Keynes aveva torto di frequente: i problemi strutturali non sono problemi di domanda. Se la leva delle banche è 50:1, non c’è nessuna politica della domanda che possa risolvere il problema: la leva deve scendere, e scendendo fa diminuire l’output perché genera una crisi di “deleveraging”. Ma la crisi deve esserci: non la si può evitare. Purtroppo in un modello teorico a complessità nulla questo non si vede: serve una teoria più complessa di quella keynesiana, e delle strane cose che si studiano ai corsi introduttivi di macro che sono molto peggiori della General Theory, per analizzare problemi strutturali.
E’ però possibile che alcune politiche come quella della casa di proprietà per tutti siano state il risultato di preoccupazioni di carattere sociale che hanno portato al disastro finanziario per la miopia di chi le implementava. Può dunque darsi che l’impoverimento abbia causato l’implementazione di politiche che poi hanno causato ulteriore impoverimento: quasi tutte le politiche sociali, del resto hanno questi effetti “non voluti” dannosi per chi viene aiutato. I sistemi pensionistici a retribuzione diminuiscono i salari, i salari minimi aumentano la disoccupazione, e il credito facile genera fallimenti e foreclosure.
Una domanda: se non si fossero rimosse i vincoli in essere alle attività finanziarie, in base a norme magari risalenti anche agli anni trenta, la crisi sarebbe stata così violenta come nella realtà, o magari avrebbe avuto un impatto minore?
Secondo me avrebbe avuto un impatto minore, la suddivisione delle attività avrebbe posto un freno anche al too big to fail (ma mi sembra difficile provare il pro o il contro di una tale affermazione)
@Riccardo
Sì, il mercato funziona sulla responsabilità individuale, se si tolgono le perdite non è possibile avere un mercato funzionante. La libertà deve implicare la responsabilità, altrimenti non funziona: chi è libero di scegliere ma non paga le conseguenze di quello che sceglie è portato ad agire in maniera scriteriata. Non esiste il mercato senza le perdite: se si vogliono eliminare le perdite, occorre eliminare anche il mercato, e se si vuole eliminare la responsabilità, occorre eliminare la libertà.
Mises diceva che “le terze vie (cioè le vie di mezzo tra liberalismo e socialismo) portano al socialismo”, intendendo che non possono essere sostenute nel lungo termine.
Un’analisi abbastanza dettagliata della questione la si può trovare in “how not to reward financial innovation”, un mio paper di qualche anno fa presentato al Mises Seminar dell’IBL.
http://brunoleonimedia.servingfreedom.net/Mises2009/Pietro_Monsurro–Mises2009.pdf
@Pietro Monsurrò
Eg. Pietro Monsurrò la ringrazio per la risposta, ma francamente non riesco a capire dove io possa aver scritto che una politica monetaria espansiva possa aumentare i salari, ho scritto che una politica monetaria espansiva, con diminuzione dei tassi di interesse e quindi accesso facilitato al credito, può illusoriamente risolvere un problema di bassa domanda dato da bassi salari, da qui ancora una volta la mia affermazione che forse keynes avesse ragione riguardo la necessità di avere una fonte di domanda. Quindi per me l’origine della crisi è data dai bassi salari, da un mondo di bassi salari, e su tutto il mondo è caratterizzato da un decrescente rapporto massa salari/pil, se non arrivano gli alieni a farci esportare sui loro pianeti, c’è un rischio di sovrapproduzione?
Non capisco poi neanche la frase che una politica monetaria espansiva può rendere più profiquo investire, per me una politica monetaria espansiva al contrario di quella restrittiva, da dei risultati assai dubbi, tant’è che keynes afferma che sono le aspettative di reddito ad influire sulle scelte di investimento e dava un ruolo assai marginale al tasso di interesse. Le sarei comunque grato se mi potesse dire dove trovare riscontro della frase da Lei scritta :” Keynes negli anni 30 diceva di fregare i lavoratori con l’inflazione”.
Concordo con lei che creare bolle finanziarie fa aumentare le diseguaglianza, non concordo invece sul fatto che la disuguaglianza (patrimoniale e reddituale) sia anticiclica.
Concordo anche che aiutare banche aiuta i banchieri ma non i lavoratori.
Sinceramente dire che non esistono terze vie tra liberalismo e socialismo mi sembra una forzatura eccessiva, non credo esista o sia esistita al mondo una nazione solo liberale (o solo socialista).
Secondo me si tratta di adattare un schema di base, di tipo liberale, alle condizioni economiche e sociali di una data realtà.
Anche gli Stati Uniti hanno una organizzazione statale che intermedia almeno un terzo della ricchezza prodotta, e non mi sembrano nè uno stato liberale nè uno stato socialista, ma una organizzazione moderna che affronta ed ha affrontato i problemi moderni di una collettività
@Riccardo
quello che si intende è che tutti gli stati “mezze vie” pian piano tendono a scivolare verso il socialismo.
cosa palese in Italia e in quasi ogni altro stato.
in direzione opposta si è andati solo di fronte a crisi gravi o shock violenti.
Nella crisi vi è anche una componente temporale: gli istituti di credito, ed i loro azionisti, prosperano con obiettivi di lungo periodo. Sono però guidati da top manager che prosperano su obiettivi di corto periodo (tipicamente timestrale); si apre quindi un conflitto di interesse tra il piccolo azionista ed il manager, con quest’ultimo che ha tutto l’interesse ad assumersi rischi inaccettabili nel lungo periodo, ma che creano l’illusione di un aumento di valore nel breve. Oltre all’analisi esposta da Monsurrò, quindi, va anche considerato l’aspetto premiale sui dirigenti.
@davide
Salve.
Come hai detto, pensare di risolvere una situazione reputata “da bassa domanda” con stimoli monetari, quindi stimolando il debito, è illusorio: la riduzione dei tassi implica un anticipo di domanda rispetto al futuro, e questo non lo dicono solo gli austriaci ma anche “mainstream” che utilizzano modelli keynesiani e neokeynesiani. Si dovrebbe capire che “l’illusoria soluzione” diventa solo un modo per spostare un problema nel futuro, ingigantendolo. E in effetti è quanto è stato fatto, e viene fatto tuttora, aiutando prima l’indebitamento e tenendo i tassi bassi dopo per “combattere la recessione”.
La riduzione del monte salari rispetto alla remunerazione del capitale andrebbe vista a livello mondiale; mi pare chiaro però che quanto più avanza la tecnologia, quanto più questa è produttiva, tanto più la “remunerazione” le vada a favore. I lavoratori impiegati potrebbero essere meno, ma dovrebbero anche essere più pagati perché più produttivi; gli altri dovrebbero trovare nuovi impieghi, sarebbero risorse per nuove industrie. E’ un fatto che i paesi hanno una scarsa tendenza a specializzarsi dove hanno dei punti di forza (si parla tanto dell’Italia come patria del turismo e della cultura ma poi…) ma questo non per ragioni economiche bensì politiche, cioè non per forze naturali ma per decisioni di una elite. L’effetto è che ci si incaponisce a proteggere settori che comparativamente sono meno produttivi (o redditizi), e l’effetto alla fine si scarica sulle risorse come i lavoratori (che hanno valore non in se ma in base a quel che creano).
@davide
sulla frase di keynes propongo la seguente riflessione:
io investo, ho un costo dato dal tasso di interesse al 5% e un ricavo dato dalle prospettive reddituali al 7%. Keynes mi sta dicendo che a parità di prospettive, se il tasso va all’8% io me ne frego?
@Caber
Ma quindi tutti gli stati sono mezze vie? quindi anche gli USA e la Nuova Zelanda ed anche la Gran Bretagna sono mezze vie dirette verso il socialismo?
Mi scusi ma la sua argomentazione non mi sembra per niente convincente.
La purezza non esiste, esistono tante realtà con mille particolarità sulle quali creare dei sistemi moderni,efficienti ed anche, se non soprattutto, equi.
Per quanto riguarda le crisi, negli anni 30 hanno portato al “socialismo keynesiano” o al fascismo, negli anni 70 ad una ventata di liberismo, ma sempre è stata una reazione alla politica prevalente nel periodo precedente alla crisi.
La crisi attuale proviene da un lato da una estrema liberalizzazione finanziaria, dall’altro da una estrema atrofia e distrofia del sistema pubblico, ma anche e soprattutto, a mio modo di vedere, dalla fase di globalizzazione che sposta gli equilibri economici dal mondo occidentale a quello asiatico.
Vedremo le risposte che verranno date a questa crisi, sempre a mio modo di vedere (tanto per sbilanciarmi) verranno in una prima fase date risposte di tipo più liberale, poi quando queste risposte porteranno ad una frattura sociale molto ampia, verrà una fase di risposte di tipo socialista e garantista, a partire dal cuore economico e produttivo della globalizzazione, Cina e India,dove esiste una fase di accumulazione capitalista simile a quella europea di fine 800-inizi 900.
@Leonardo, IHC
La ringrazio per la risposta, mah, il mainstream non so quanto usi modelli keynesiani, piuttosto credo che usi modelli di sintesi neoclassica, che condivido penso con lei che siano un pò dei pasticci.
Per quanto riguarda la sua seconda risposta con relativo “quiz”, cosa intende a parità di prospettive? che le prospettive reddituali rimangono al 7%? in tal caso come posso fregarmene, ho delle aspettative negative con un tax interesse > di quello delle prospettive reddituali come da lei indicate.
Qualora invece le prospettive reddituali andassero al 10% (7+3%) quindi subirebbero un aumento pari a quello del tax d’interesse le aspettive di reddito futuro non variano.
Forse non mi sono spiegato bene prima, x Keynes gli investimenti sono I=f(Y^e) poi nella sintesi neoclassica sono diventati I=f(Y^e, i)
(con Y^e= reddito atteso, i=tax int).
se sbaglio mi corregga.
@Leonardo, IHC
per quanto riguarda poi la specializzazione dei paese dove hanno dei vantaggi comparati, mi sembra chiaro che oggi si assiste ad un ribaltamento delle teorie ricardiane, perchè se analizziamo il caso della cina che è il più eclatante o anche del messico, si sarebbero dovuti specializzare in settori labour intensive, invece oggi il messico è un forte produttore di hi-tech, oltre la cina naturalmente, si sono specializzati perciò in produzioni kapital intensive, quindi non è una peculiarità italiana l’anomalia delle specializzazioni nei settori dove si ha un vantaggio comparato, ma è il frutto di tanti processi che a mio avviso spiegano il perchè l’economia non può essere ricondotta solo e soltanto al semplice meccanismo di mercato.
@davide
delle NON specializzazioni nei settori dove si ha un vantaggio comparato
@Riccardo
La teoria delle “mezze vie” di Mises è un po’ complessa. Diciamo che esistono fonti di intervento che generano problemi che poi vengono affrontati con altri interventi… queste sabbie mobili “portano al socialismo”. Non tutti gli interventi hanno le stesse proprietà: la differenza tra le due categorie è analizzata da Mises in alcuni libri, però poi si dedica al solo tipo “pericoloso”.
Secondo me in italia bisogna rilanciare la Main Street economy, produrre di piu’ e meglio e concentrarsi su prodotti e servizi ad alto valore aggiunto per cui bisogna ripartire dalla scuola e dalla ricerca.
Per debito pubblico, patriomoniale ecc. vi invito a visionare il video
“Lo Stato cane ed uccello guata famelico i vostri beni.” in internet.
http://www.segesufossetremonti.blogspot.com
Grazie
Certamente condivisibile le sue posizioni, ma va specificato e sottolineato che il ruolo dello Stato diventa complice nei problemi quando:
– in primis, invece di limitare le imperfezioni (identificati nei più classici elementi di “market failures” da sempre studiati in dottrina economica) ne diventa generatore a sua volta di nuovi, sostituendo alla finalità politica del suo ruolo, una discrezionalità economica, eleggendosi come “detentore della soluzione pareto efficiente” (tra l’altro irraggiungibile, come ben noto irrealizzabile in qualsiasi scelta di politica economica, al massimo aspirante a soluzioni di second best;
– in campo finanziario, non cerca di donare alla sua funzione di regolamentazione e di vigilanza maggiore dinamicità. Le innovazioni finanziarie nascono tutti i giorni, le risposte regolamentari ci mettono anche anni ad adeguarsi, spesso in modo incompleto;
– è proprio necessaria tutta questa condivisione d’intenti per raggiungere in vero “levelling the planning field”? La strada della “discrezionalità nazionale” nel recepire le proposte internazionali, è veramente fondato sulle specificità o piuttosto il modo di mantenere in vita spazi profittevoli per politici e lobbies per la “cattura della regolamentazione”? Ma la regolamentazione non dovrebbe produrre concorrenza nel mercato invece che “per” il mercato?
Vede, a mio modo di vedere le imperfezioni esistono e vanno corrette; “beni pubblici” come la stabilità, che sfuggono alla logica di semplice bene di scambio, vanno preservati. La vera questione è sulla profittabilità del ruolo dello Stato che si ha quando, nell’essere efficace ed efficiente nella propria azione, trova quel giusto equilibrio tra concorrenza e stabilità in una visione dinamica, tenendo conto che “Prudenzialità” e “Strutturalità”, in fondo, hanno entrambi mostrato i propri limiti.
@Pietro Monsurrò
Egregio Sig. Monsurrò, complimenti per l’articolo. Capisco la sua analisi. Io mi sono fatto un’opinione che cerca conferma: negli anni il differenziale tra gli stipendi “alti” – pochi – e quelli “bassi” – molti – è aumentato moltissimo con la conseguenza di una diminuzione della domanda di beni e servizi, bolle in alcuni settori: chi guadagnava da qualche parte doveva pur mettere i soldi, e crescita enorme del settore finanziario. Alla diminuzione della domanda i governo occidentali hanno supplito con eccessivo debito proprio e/o con eccesivo debito privato, comunque garantito dallo stato. Tutto questo ha portato al disastro che abbiamo visto. Le chiedo: è un’analisi molto sbagliata?
@Fabrizio Manso
Difficile dire perché i politici seguono una data politica. Il processo politico è complesso, e dipende da fattori anche populistici (come la casa per tutti col credito facile) e lobbystici (come gli aiuti alle grandi banche).
Di norma si adottano politiche monetaria espansive per evitare le recessioni, solo che evitare cinque recessioni di fila significa non correggere mai il tiro se il mercato deve correggersi, e quindi significa accumulare distorsioni fino al botto finale.
Il problema è che nessuna teoria economica pone luce su questi fatti, tranne gli economisti austriaci, quindi è anche un fallimento degli economisti se non si è capito cosa stava succedendo.
@davide
vai tranquillo, i modelli neokeynesiani sono usatissimi, tra l’altro fanno pesante affidamento alle misure di output gap (qui su chicago blog ho appunto discusso sui modelli usati da Cwik e Wieland). Diciamo che non va confuso il termine mainstream con “classico”, il mondo è andato avanti (non necessariamente in meglio) delle ultime decine di anni.
Sulla specializzazione, dissento con il tipo di analisi che hai fatto riguardo cina e soprattutto messico: la teoria non impone che il messico si specializzi necessariamente “verso il basso” sempre e comunque per l’eternità, perché in fondo ha uno scambio rilevante con gli USA e forse (forse) è più facile che con un po’ di stabilità politica abbia accesso a formazione e tecnologia che “elevi” il suo potenziale, andando appunto a produrre di più in alta tecnologia che in ciabatte. La cina ha una grandissima dotazione di lavoratori, appunto per questo (in ossequi o Heckscher e Ohlin) ha potuto iniziare il WTO producendo bassa manifattura; non va fatto l’errore di pensare che i vantaggi comparati siano fissi ad aeternum, perché la formazione della forza lavoro cambia, l’accesso alle tecnologie cambia, ed anche la consapevolezza della politica industriale cambia (sono d’accordo con te che le variaibli siano molte in numero, non sono d’accordo con te che concettualmente il meccanismo non sia sintetizzabile in quello di mercato)… il tutto concorre a definire vantaggi mutevoli (e il fatto che non riusciamo a guidarli o a prevederli non significa che non “regnino”). Ad esempio l’Italia poteva avere un certo vantaggio in settori più sofisticati (in cui metterei anche il turismo), ma se la politica insiste ad avvantaggiare la bassa manifattura questo comporta uno svantaggio per i settori più innovativi (la coperta è corta, che si parli di spesa privata o pubblica), e per come sono ora le cose a livello internazionale diventerà un vantaggio per l’Italia produrre ciabatte mentre la cina produce macchine utensili (ribaltando la situazione iniziale), e dato il basso valore aggiunto della produzione di ciabatte aspettiamoci i relativi effetti sugli stipendi.
Riguardo Keynes continuo a non comprendere il punto: ok le aspettative reddituali vanno al 10% e i tassi al 7%: si investe. I tassi vanno al 9%, questo non ha effetto (forse) sugli investimenti solo se TUTTI hanno redditività attesa al 10%, ma la cosa è un po’ più scalata, quindi con i tassi al 9% parte degli investimenti diventano antieconomici. Se i tassi vanno all’11% si chiude tutto, quindi non ha senso dire che gli investimenti “non sono sensibili” ai tassi. Dire che i costi non incidono sulla decisione di investimento a me pare molto molto ingenuo, come anche discutere se sia più importante i costi o i ricavi mi pare un po’ una discussione sterile; spero che la frase di Keynes derivasse da un altro tipo di ragionamento, e cioè che i tassi sono più stabili delle aspettive di reddito e quindi “nel tempo” la variabilità degli investimenti è spiegata meglio dalle seconde che dai primi… ma questa è una analisi storica, non una analisi causa-effetto.
@Leonardo, IHC
grazie ancora per la risposta.
ci mancherebbe, pure io non credo che i vantaggi comparati siano statici, eprò ancora oggi, se ci riferiamo ai 2 esempi fatti ( cina e messico), questi hanno un’abbondanza relativa di lavoro rispetto al capitale, il che indurrebbe a pensare a specializzazioni labour intensive, però così non è.
Per quanto riguarda l’italia credo che il settore della meccanica strumentale sia ancora un settore trainante per le export italiane, poi non so quanto sia così svantaggioso prudurre in settori “tradizionali” che hanno cmq prezzi crescenti rispetto a settori “avanzati” con prezzi descrescenti.
Per quanto riguarda l’innovazione, la si può trovare anche nei settori tradizionali, e per l’italia tali settori ( tessile-abbigliamento, ceramica, calzature, mobilio) grazie al cielo sono fortemente innovatori e puntano proprio sull’innovazione del prodotto, del processo produttivo, e sulla qualità, il prezzo non è il fattore di competitività, quindi non aspetterei quali grandi tragedie sugli stipendi, anzi le competenze e le conoscenze diventano un bene non solo interno all’impresa ma anche interno all’area poichè spesso queste imprese sono organizzate in distretti ind.li.
Certo che se i tassi aumenti più che le prospettive di reddito hanno effetti sugli investimenti, come detto le aspettative sono negative, cmq come detto forse nel mio primo commento, la politica monetaria restrittiva è molto efficace, a differenza di quella espansiva che non si sa bene quali effetti potrà avere con certezza.
Non so se keynes pensasse che i tax sono più stabili delle aspettative, seguendo questo ragionamento, non credo sarebbe arrivato a pensare quella che lui definì “trappola della liquidità”.
Muhauhauahuauahua, l’autoassoluzione di chi partecipa al sistema colpevole…
L’idiozia di tutto il principio è pretendere di parlare di economia senza pensare alla gente reale, quella che deve mangiare, perchè si è accumulato abbastanza, di riffa o di raffa, per non avere questo problema.
Ma se la gente non mangia non consuma, e se non consuma anche la produzione di voi che il problema di mangiare non la avete ve la date in fronte.
Imparate a rispettare la gente e a evitare di intascarvi i soldi con arguzie assortite, e forse la crisi non colpirà voi per primi…
Il Grande Crimine contro l’umanità moderna.
http://totaletrasparenza.blogspot.com/
Questo saggio vi parla del più grande crimine in Occidente dal secondo dopoguerra a oggi. Milioni di esseri umani soffrirono e soffriranno per nulla. I dettagli e l’ampiezza della loro sofferenza sono impossibili da rendere in parole. Soffrirono e soffriranno per una decisione che fu presa a tavolino da pochi spregiudicati criminali, assistiti dai loro sicari intellettuali e politici. Essi sono all’opera ora, mentre leggete, e il piano di spoliazione delle nostre vite va intensificandosi giorno dopo giorno, anno dopo anno.
La decisione si è materializzata in un progetto di proporzioni storiche come pochi prima, architettato con un dispiegamento di mezzi impressionante, quasi impossibile da concepire per una mente comune, e una finalità che toglie il respiro solo a considerarla: la distruzione degli Stati sovrani, delle leggi, delle classi lavoratrici, e di ogni virgulto rimasto di democrazia partecipativa in tutto l’Occidente, per profitto.
al link scarica il saggio
vi consiglio un approfondimento su questi argomenti per comprendere anche la storia che ci ha portato (e come) a questa crisi che a ragion veduta è una crisi di pochi che ribaltano sugli altri l’assorbimento delle problematiche create… http://www.cronologiamondiale.it/index.php?title=Economia