Le aperture agli Ogm evidenziano le contraddizioni della Pac
Prima c’è stata la sentenza del Consiglio di Stato che ha ammesso la coltivazione delle varietà geneticamente modificate iscritte al catalogo comune europeo, poi la notizia dell’iscrizione allo stesso catalogo di una varietà di patata destinata all’uso non alimentare. A giudicare dalla canea di reazioni suscitate da entrambe le notizie potremmo pensare di essere alla vigilia di una vera e propria rivoluzione del settore agroalimentare. In realtà sono solo timidi passi che non scardinano i presupposti su cui si basa la Politica Agricola Comune, ma che ne evidenziano ulteriormente le contraddizioni.
In realtà l’unica varietà Gm della quale è consentita la coltivazione in Europa è il mais BT Monsanto, a cui oggi si aggiunge la patata della Basf. In paragone a ciò che succede nel resto del mondo, dove un agricoltore è libero di scegliere tra tutte le varietà Gm presenti sul mercato, è ben poca cosa, e chi in Europa (tralasciando per un momento il caso disperato dell’Italia) volesse vedere riconosciuto il suo diritto equivalente a poter coltivare grano o pomodori Gm deve aspettare il via libera di Bruxelles.
L’Unione Europea si arroga il diritto, assai poco naturale, di stabilire ciò che è giusto o meno produrre, attraverso divieti (come nel caso degli Ogm, ma anche per quelle produzioni vincolate a “quote”, come vino e latte), oppure attraverso incentivi e sussidi legati in larga parte a vincoli sulle modalità produttive, come il sostegno all’agricoltura biologica o l’enorme quantità di stanziamenti che attraverso i fondi strutturali e i Piani di Sviluppo Rurale delle regioni finanziano le produzioni “di qualità”.
Sono in molti ad avvantaggiarsi di questa situazione: l’industria agroalimentare, che in un mercato drogato dai sussidi si trova spesso a comprare materie prime a prezzo di costo, e la rappresentanza politica e sindacale, che svolge il ruolo (ormai istituzionalizzato) di intermediazione tra agricoltori ed enti erogatori. C’è un bel vantaggio anche per la rendita fondiaria, dato che terreni che rendono poco sul mercato rendono però sussidi e contributi, e continuano ad avere quindi un valore elevato.
Gli agricoltori invece grazie alla Pac sopravvivono, ma rinunciano, in cambio della sussistenza, a sviluppare le loro aziende in libertà. E il costo dell’agricoltura sussidiata, vincolata e certificata ricade quasi per intero sulle spalle dei contribuenti.
Vogliamo fare una valutazione economica ? facciamola l’etichetta ogm sui prodotti venduti sugli scaffali , ben visibile e comprensibile, relativa a tutta la filiera .
Poi scopriamo che la carne (bovini alimentati da ogm) finisce per marcire nei frigoriferi-espositori e vediamo se è così economicamente vantaggioso , la verità è che è vantaggioso fin tanto che il consumatore non lo sa e fin tanto che non saremo tutti obbligati ad acquistare da Monsanto o basf ( a causa della dispersione del germoplasma).
Prima facciamo l’etichettatura Europea sugli ogm (guardacaso avviene il contrario), poi diamo il permesso di usare ogm e vediamo poi chi ha ragione.
“Sono in molti ad avvantaggiarsi di questa situazione: l’industria agroalimentare, che in un mercato drogato dai sussidi si trova spesso a comprare materie prime a prezzo di costo…..”
L’industria agroalimentare le materie prime (grano, frutta, etc) le compra non a prezzi di costo, ma SOTTOcosto. Anche perchè è parallelamente consentita l’importazione (faccio l’esempio che mi tocca più da vicino) di grano duro per la produzione della famosa pasta “italiana”…..
Io, agricoltore, 10 giorni fa ho venduto una parte della mia produzione di grano duro 2008/2009 a €13,40 per quintale. Dalle mie parti (Romagna), col grano duro si va massimo sui 60/65 q.li/ha. L’anno scorso, massimo, causa un non buono andamento stagionale, non siamo riusciti a produrre più di 50 q.li/ha; moltiplicate per 13,40 ed avete l’incasso per ettaro di un anno di lavoro…..
E come è possibile sopravvivere?!? I famosi “contributi” ammontano a qualche centinaio di €/ha, non spostano la questione di nulla. In compenso costano tanto ai contribuenti e sottopongono noi agricoltori ad una notevole mole di burocrazia. E poi i pastai comprano il grano estero…
Sarò stupido, ma non ho mai capito perchè non si possa fare una legge che obbliga a scrivere sulle etichette una cosa del tipo:
“pasta prodotta con grano ogm/non ogm/biologico coltivato in Italia/altra nazione”.
Chi vuole si compra la pasta fatta col grano italiano, altri quella prodotta col grano romeno, americano, cinese… etc etc.
In ogni caso, anche così facendo, la produzione di grano italiano (e molti alti prodotti agricoli, direi tutti) è fatalmente destinata a calare: abbiamo dei costi, che anche ammettendo di poter vendere liberamente prodotti di primissima qualità (e di farceli pagare….), non ci permettono di competere a livello di prezzo con i paesi emergenti.
@Roberto Renzi
Conosco bene il problema. Anzi, dalle mie parti (colline argillose sulle pendici meridionali dell’Amiata) la produzione di un ettaro di grano duro supera difficilmente i 40 quintali, e di media non si va sopra i 30. E i costi di produzione sono gli stessi. Dubito però che la risposta che si può dare sia quella del protezionismo e dei sussidi. Lo status quo dell’agricoltura europea, fatta essenzialmente di aziende sottodimensionate, è tenuto in piedi da un sistema che non può reggere all’infinito. Vengono concessi contributi (sempre più esigui) agli agricoltori, e viene attribuito ai prodotti un valore aggiunto “ufficiale” ma assai poco credibile fatto di certificazioni, denominazioni d’origine di territori sempre più estesi ed etichettature sempre più rigorose. Un sistema pagato dai contribuenti e gestito dalla burocrazia e dall’intermediazione sindacale.
Io personalmente preferirei che venissero aboliti tutti i contributi. Il valore dei terreni scenderebbe a livelli molto più abbordabili e le aziende potrebbero espandersi con più facilità. I prezzi sarebbero determinati da un mercato non più drogato dagli incentivi e si potrebbe ricominciare a produrre basandosi sui prezzi e sulla vocazione colturale dei terreni. Sarebbe una soluzione drastica e in molti casi traumatica, ma sicuramente preferibile a questa lenta agonia della nostra agricoltura che anche lei ha descritto nel suo commento.
Concordo pienamente con lei. La mia non era una richiesta protezionista, forse mi sono espresso male; è più preoccupazione per un futuro molto grigio. Il punto è che noi agricoltori, a fronte dei contributi che ci hanno consentito di sopravvivere (sopravvivere, non prosperare) fino ad ora, abbiamo tanti di quei lacci e laccioli che non ci consentono alcun margine di manovra (tranne l’agriturismo, le conserve della nonna, l’olio DOP, etc a prezzi tripli, quadrupli rispetto quelli di mercato. Fortuna che siam certificati….).
Sono pienamente d’accordo con lei che il valore aggiunto “ufficiale” dei prodotti sia solo tale. Oltretutto, mi obbliga a produrre grano certificato (o uva, od olive, o qualunque altra cosa), quando chi la pasta la produce, ha la libertà di andarsi a procurare la materia prima dove costa meno, anche se non tutta, perlomeno una buona parte.
Anche se sarebbe una riforma da lacrima e sangue, concordo pienamente sull’abolizione dei contributi PAC, o premio unico, come lo chiamano adesso. Sarebbe la fine di un equivoco che dura da 50 anni. E’ giusto che la produzione di qualsiasi bene avvenga dove ci sono le migliori condizioni.
A proposito di contributi, lei pensi (probabilmente lo sa) che fino al 2005 erogavano contributi per rinnovare/piantare nuovi vigneti; oggi, il contrario: pagano per estirpare….
Forse, solo come consumatore, probabilmente sarà perchè da anni mi fanno una testa tanta con la qualità italiana, non mi fido tanto dei prodotti alimentari “cinesi”, quando invece non avrei, non ho, nessun problema a comprare un pc o qualunque altro oggetto.
Il capitolo “vigneti” è un’assurdità pazzesca. Ho provato a raccontare la mia esperienza personale sul mio blog
http://lavalledelsiele.com/2010/02/02/terra-e-liberta/
Si si, sono dentro fino al collo con i vigneti…. Io (purtroppo!?) avevo i “diritti”, e ho rinnovato quasi tutti i vigneti negli ultimi 10 anni. Bene, sono stato costretto a piantare secondo il disciplinare x piante si sangiovese, y di cabernet; merlot ammesso nell’uvaggio di di un tipo di doc, ma non nell’altro, se invece da solo è un igt, e via discorrendo… Dopo ogni vendemmia sono costretto a fare calcoli da ingegnere della NASA per stare nelle percentuali e negli uvaggi assegnati.
Naturalmente, il declino è forte, fortissimo negli ultimi 2/3 anni, anche per il vino…
PS: una delle cose che mi fanno letteralmente inca@#*re, è l’impossibilità di vietare ai cacciatori l’ingresso nei miei terreni. Non ho mai capito in base a quale diritto possano andare dove gli pare quando decidono loro nelle proprietà altrui; e dato che possono andare, perchè non farlo a bordo di un fuoristrada invece che a piedi?!? Lo fanno, lo fanno….
Linko qui la puntata con Fidenato e il direttore di Slow Food sul tema.
http://www.la7.tv/richplayer/?assetid=50171945
La Pac va abolita!
Je ne suis pas d’accord, messieurs italiens.
Pour l’abolition de la PAC, vous aurez à passer sur mon cadavre