17
Ott
2010

L’azzardo morale non è un problema morale

Un commento al mio precedente articolo mi ha fatto riflettere su un punto molto importante: è possibile risolvere i problemi creati dall’interventismo statale a difesa dei mercati finanziari (il cosiddetto “moral hazard”, o azzardo morale) promuovendo un più forte senso etico tra i banchieri? In altre parole, la crisi è un problema morale? La mia risposta è no.

Ci sono tre modi per organizzare le attività tra un gruppo di persone: i convincimenti morali (i “vincoli interiori”), la coercizione legale (i “vincoli esteriori”) e il processo di mercato. Il problema è però capire come e quando sia possibile migliorare la situazione ricorrendo ad un rafforzamento dei vincoli interiori ed esteriori, e quando al contrario è possibile ridurre il problema solo facilitando il coordinamento tra individui, anziché costringerli o convincerli a comportarsi diversamente.

Il mercato è un processo concorrenziale: ogni impresa deve produrre a costi ragionevolmente bassi beni di qualità sufficientemente buona, se vuole rimanere sul mercato. Questo vale anche per le banche: una banca deve scegliere fornire buoni servizi ai clienti, e investire i loro fondi efficientemente.

Il monopolista ha margini di manovra: può permettersi cioè di andare contro i propri clienti, se non teme l’ingresso di nuovi concorrenti, e se i clienti vogliono continuare a pagare per i suoi servizi. In un mercato concorrenziale, i margini di manovra si restringono. La concorrenza attuale e potenziale è in genere forte, e non c’è dubbio che lo sia nei mercati finanziari, dove i fondi possono finire in mano a banche commerciali, banche di investimento, fondi monetari, società assicurative, hedge funds, etc.

Ora, supponiamo che in un mercato normale lo stato intervenga e riduca i rischi promettendo di aiutare le banche in caso di difficoltà. Le conseguenze pratiche del moral hazard sono abbastanza evidenti: chi non si cura del rischio tenderà ad assumerne troppo, nell’attesa di venir aiutato dallo stato in caso di crisi. Se inoltre una banca, per via del moral hazard, espande i propri investimenti creando nuovo credito, abbassa il tasso di interesse dei prestiti, danneggiando tutte le altre banche. Inoltre, per attrarre nuovi depositanti, pagherà loro rendimenti maggiori, o offrirà servizi migliori, e questo toglierà clienti alle altre banche.

Tutte le altre banche (e tutte le altre istituzioni finanziarie) dovranno dunque reagire: anche loro dovranno ridurre i tassi sui prestiti, allargare il credito, e offrire condizioni migliori ai clienti. Questo comporta una riduzione della profittività di esercizio per tutte le banche, perché il costo del rischio è trascurato, e dunque le banche hanno costi inferiori. Purtroppo la riduzione di costo non è dovuta ad un miglioramento della tecnologia finanziaria: è legato all’esternalità dovuta al moral hazard. Non sono i fondamentali dell’economia a causare il boom: è l’irresponsabilità indotta dalla safety net.

Può una banca (da sola) evitare di combinare guai grazie a più rigidi principi etici? No: se la singola banca fa in modo di “comportarsi meglio”, subirà la concorrenza delle altre, che si avvantaggiano del moral hazard, aumentendo i suoi costi e riducendo i suoi ricavi.

Se tutte le banche decidono di fare le brave, la cosa diventa invece possibile. Ciò significa che le banche devono fare cartello per non espandere il credito, cioè per rifiutare in blocco l’offerta della protezione statale. Ciò è altamente improbabile: gli accordi di cartello sono notoriamente instabili, ancor più se fatti per chiudere un occhio di fronte ad allettanti prospettive di profitti pagati dal contribuente. Notoriamente, i cartelli implicano problemi di paradosso del prigioniero, hanno costi di transazione enormi nel caso di agenti numerosi ed eterogenei, e sono sensibili all’ingresso di potenziali altre aziende.

Inoltre, l’economia austriaca insegna che le banche non sono onniscienti: anche se volessero comportarsi bene, come potrebbero sapere cosa è giusto fare? Dovrebbero capire quale è il giusto limite per i loro prestiti, nonostante il fatto che il processo di mercato sia distorto dall’intervento statale, che promette di ripianare le perdite nel caso ve ne siano. Senza processo di mercato, non c’è produzione di informazione: le banche non possono accordarsi per agire “come se” la safety net non esistesse. Le banche non possono cioè distinguere gli investimenti buoni da quelli cattivi, se il processo di mercato è distorto.

Il moral hazard si evita eliminandone le cause: c’è bisogno che le banche paghino per i propri errori, e sappiano che pagheranno per essi in ogni circostanza. Forse (improbabilmente, come detto nel precedente articolo) si può ridurre il problema impedendo alle banche di sfruttare le opportunità di profitto da esso create. Di certo non si può risolvere il problema predicando un’etica professionale migliore (vincoli interni), o punendo penalmente gli errori imprenditoriali (vincoli esterni), perché il processo concorrenziale distorto trasforma la soluzione efficiente in un paradosso del prigioniero: nessuno può permettersi di comportarsi “bene”, e nessuno può sapere cosa ciò significhi in pratica.

Questa è una proprietà generale dei mercati: più il processo è concorrenziale, meno i produttori hanno margini di manovra, e meno possono permettersi di opporsi alle “forze di mercato”: che siano fondamentali economici, o distorsioni politiche, poco cambia.

12 Responses

  1. D’accordo con i punti tecnici del ragionamento, ma non metterei i tre elementi in contrapposizione. Mi sembra che la soluzione migliore sia quella di ridurre gli incentivi distorsivi e allo stesso tempo lavorare per un ispessimento dei vincoli interni (insistenza sulle fondazioni etiche condivise della convivenza civile e dell’attività economica) e una maggiore credibilità (rapidità del processo, certezza della pena etc.) di quelli esterni. Non insistere su tutti i fronti crea la spiacevole impressione, in chi avversa il liberalismo, che una politica liberale sia “immoralista”, laddove è proprio il contrario. E anzi rispetto ad altre dottrine politico-economiche ha un accento molto più forte sui concetti di responsabiltà degli individui.

  2. azimut72

    Manca la tesi (pericolosa su questo blog…):
    “E’ necessario l’intervento dello Stato con lo scopo di tutelare il cittadino”

    E invece lo Stato è intervenuto a tutela delle Banche.
    Perchè?
    Forse perchè non c’è differenza tra Wall Street e Washington e tra Downing Street e la City? (domanda retorica, ovviamente)

  3. luciano pontiroli

    L’idea che lo Stato sia intervenuto a tutela delle banche può piacere a molti, ma forse è esagerata.
    Una catena di fallimenti bancari avrebbe prodotto una crisi ben peggiore di quella che stiamo vivendo, temo.

  4. Pietro Monsurrò

    @azimut72
    Lo stato si comporta sempre in un certo modo: il potere politico è il potere di estrarre risorse dal resto della società tramite la coercizione, e – dai tempi di Bastiat perlomeno, e con maggiore enfasi con lo sviluppo della public choice – è noto che ci sono certi gruppi sociali che hanno le caratteristiche adatte, e la posizione in società adatta, per estrarre risorse dagli altri, e altri che non l’hanno.

    In politica è facile che un gruppo organizzato che voglia privilegi del valore (per i suoi membri) di milioni di euro l’anno vinca imponendo costi al resto della società molto maggiori del valore dei suoi benefici. Questo perché le vittime sono decine di milioni, e nessuno si accorge di essere stato derubato di pochi euro, anzi, non vale neanche la pena opporsi a questi furti, per una cifra così bassa. Solo che pochi euro per decine di milioni di persone sono una cifra ragguardevole per gruppi di professionisti, o per imprese e sindacati operanti in un particolare settore industriale, eccetera.

    Le banche non sono diverse dal Vaticano, dai grandi sindacati, dalle grandi imprese (come la Fiat in Italia, almeno storicamente): hanno la possibilità di farsi conferire dei privilegi dallo stato, e la sfruttano per ottenere favori. Nulla di speciale: è banale politica, una cosa che vediamo all’opera tutti i giorni.

    Pensare che lo stato debba garantire il cittadino vuol dire predicare che lo stato sia diverso da come la teoria politica spiega lo stato è. I pensionati sono preferiti ai giovani perché hanno interessi immediati nel vivere a spese dei giovani. I lavoratori relativamente ricchi si organizzano sindacalmente per togliere il lavoro ai lavoratori meno ricchi, per non subire la loro concorrenza. Le imprese nazionali usano il protezionismo per farsi sovvenzionare dai consumatori. I professionisti sono pronti a spingere in ogni modo per avere privilegi e introdurre barriere all’entrata alle loro professioni.

    Che si fa? Bisogna impedire allo stato di fare leggi particolari per conferire privilegi, le leggi devono essere semplici e generali, e compatibili con i principi del diritto, e non modi di riallocare risorse tra gruppi sociali e politici. Questo aiuterebbe, ma non mi aspetto una tale evoluzione, ci vorrebbe una politica decente per fare riforme istituzionali decenti.

  5. Pietro Monsurrò

    @luciano pontiroli
    Lo stato è intervenuto a spese delle banche, con la scusa del timore che una crisi bancaria avrebbe potuto creare una crisi maggiore nel breve termine.

    Se avessimo risolto il problema ora, potremmo dire: sì, abbiamo risolto un problema, magari con un po’ di casini in più, ma ne abbiamo evitato uno maggiore. Invece no: non abbiamo risolto nulla, abbiamo solo trasferito una quantità enorme di passività dal sistema bancario ai contribuenti, abbiamo introdotto una quantità scriteriata di moral hazard negli incentivi dei banchieri, e abbiamo evitato accuratamente che i principi della rule of law avessero un qualche ruolo nel funzionamento dei mercati finanziari.

    QUesta non è una soluzione: questa è pura miopia. E’ la politica di un deperado che non pensa di sopravvivere più di un paio di giorni e si gioca il tutto per tutto.

    E’ vero che i fallimenti bancari avrebbero generato qualche fenomeno del secondo ordine – tra l’altro la cosa è volutamente esagerata nelle stime dei costi della crisi (l’esempio tipico, anzi l’unico, è la grande depressione: peccato che non c’entri nulla con la crisi finanziaria, quella è stata una crisi da rigidità nominali indotte dal governo, come chiarito di recente da Cole e Ohanian, e come argomentato secoli fa da Chester Phillips e poi Murray Rothbard).

    Ma anche se così fosse, ci teniamo veramente tanto a perpetuare un problema senza risolverlo, pur di non dover guardare in faccia la realtà?

  6. Sig. Monsurrò i suo articoli sono davvero belli ed interessanti.
    Concordo pienamente con lei quando praticamente afferma che il mercato deve essere lasciato libero di fallire.
    In particolare, dall’articolo precedente (a cui lei fa riferimento) ho potuto leggere: “piccole cose forse si possono fare, ma più si va sul complesso, più i regolatori diventano impotenti. Un limite alla leva finanziaria può andar bene, come anche un limite alla trasformazione di liquidità, o alle possibilità di investimento di certe forme di risparmio in certi mercati”. Poi sagacemente ribadisce che ogni limite verrebbe agirato etc…etc..

    Sull’introdurre dei limiti, in particolare alla leva finanziaria, non sono molto d’accordo, le spiego subito: la trade-off theory of capital structure ci insegna che esiste un rapporto di indebitamento ottimale che si ottiene bilanciando, da un lato, i vantaggi fiscali (e non solo) derivanti da un aumento del leverege e, dall’altro, considerando i costi associati al dissesto dell’impresa, i quali aumentano rapidamente una volta che il leverage oltrepassa una certa soglia.

    Quindi la finanza d’impresa, come lei sicuramente già sapeva, ci fornisce già gli strumenti per una gestione ottimale (sana e prudente) dell’azienda.

    Ora però, pur rendendomi conto che sarebbe come chiederle: è nato prima l’uovo o la gallina o tutti è due insieme; mi piacerebbe conoscere la sua opinione circa le principali cause che ci hanno indotto in questa crisi: moral hazard, poca lungimiranza nella gestione dell’impresa oppure entrambi?

    Una mia opinione già ce l’ho, e pur rendendomi conto che si tratta di un argomento veramente complesso, mi piacerebbe ascoltare (anche sinteticamente) la sua…

    Grazie e ancora tantissimi complimenti per l’ottimo lavoro che svolge per la rete.

  7. azimut72

    @Pietro Monsurrò
    Concordo che sia un’utopia pensare ad uno Stato perfetto a tutela dei cittadini (ahimè!! ormai sono troppo vecchio per le utopie).
    Non concordo però sul fatto che non si debba/possa tendere alla tutela del cittadino. L’owner di questo blog, Giannino, fa spesso riferimento alla necessità di basarsi sui dati prima di prendere decisioni. Ecco…questo è il punto, secondo me, di una vera visione liberale e empirica; pensare ad uno Stato il cui apparato decisionale non prenda le decisioni per ideologia ma in funzione della realtà di fatto (per quanto possibile, ovviamente).
    Secondo me, ciò che sta avvenendo in America è importantissimo per la teoria politica in quanto sta cadendo l’idea che un sistema democratico basato sulle multi-lobby sia efficiente. Ha funzionato fino agli anni ’90 ma è successo qualcosa (da analizzare a fondo) per cui la lobby di Wall Street ha preso il sopravvento.
    Io sono uno di quelli che è rimasto spiazzato da questo fenomeno perchè ho sempre pensato che il sistema americano, Stato federale “leggero” con molti canali preferenziali di contatto con i vari settori della società (leggi lobby), fosse il migliore. Adesso ho molti dubbi.

    @ Luciano Pontiroli
    Solo per precisare che sarei stato favorevole ad una soluzione stile “scandinavo”, ovvero basato sull’esperienza svedese (in pratica, temporanea nazionalizzazione delle Banche, tutela del risparmiatore, espulsione delle pratiche “entropiche”, riemmissione sul mercato).
    Non facile, ammetto. Anche perchè le dimensioni di questa crisi finanziaria sono decisamente più “globali”.
    Ma la cricca di Goldman Sachs (si vedano i collaboratori di Bush prima e Obama poi) ha impedito di fatto questa possibilità, peraltro suggerita da più voci compresa quella dell’economista SuperSTAR Roubini.
    E adesso siamo ad affrontare la Deflazione…ora siamo in guerra valutaria, fra poco si arriverà al protezionismo (credo che molti lettori sappiano a cosa mi sto riferendo).

  8. @Charles
    C’è una distinzione fondamentale tra quello che conosciamo in teoria (la conoscenza scientifica) e quello che conosciamo in pratica (la conoscenza pragmatica).

    La teoria dell’impresa ci dice quali sono i criteri formali per decidere la leva ottima. Sul piano teorico non ci sono problemi, concordo sui principi della scelta ai margini.

    Sul piano teorico, però, sappiamo anche che il moral hazard spinge a strafare, che cioè il processo di mercato distorto dalle garanzie pubblcihe tenderà ad aumentare la leva a livelli eccessivi.

    In pratica non conosciamo quale è la leva ottima: non lo sa il mercato perché è distorto, e non lo sanno i regolatori perché non hanno a disposizione il mercato.

    Supponiamo che in un mercato particolare in un momento particolare la leva ideale è 10, e la leva ideale per colpa del moral hazard è 20.

    Sappiamo che il mercato senza politica si porterebbe a 10. Sappiamo che per colpa della politica si porterebbe a 20. Sappiamo che 20 non ha alcuna giustificazione reale. Sappiamo che i regolatori non possono sapere che 10 è ottimale, mentre possono osservare che il mercato si porta a 20.

    Soluzioni? Eliminare il moral hazard, riporterebbe la leva a 10, che è il valore ottimo (a priori ignoto).

    Ridurre la leva a 15 non eliminerebbe tutto il moral hazard. Ridurre la leva a 5 sarebbe inefficiente. In entrambe i casi, le regole verrebbero aggirate perché il moral hazard finanzia chi le aggira.

    Ciò non toglie che preferisco vivere in un mondo dove c’è un limite alla leva, piuttosto che in un mondo dove non c’è limite e c’è moral hazard: come second best, regolazioni che limitano la leva, anche se creano problemi, sono meglio dell’unrestricted competition per sfruttare la protezione pubblica.

    Però non bisogna dimenticare cosa è il first best: eliminare la protezione pubblica. Il resto è contorno.

    Questa crisi secondo me è prodotta dal moral hazard: i mercati finanziari sanno da tempo che non devono correre tutti ir ischi che meriterebbero perché tanto le autorità li aiuteranno. Dunque hanno preso decisioni cretine: forse anche la miopia è razionale, quando tanto nel lungo termine i mercati monetari sono protetti dalla banca centrale. Che quindi i mercati finanziari siano cretini è una conseguenza del moral hazard, non una causa della crisi (solo una causa intermedia della crisi).

    Comunque, può darsi che i mercati finanziari siano anche cretini senza protezione: questa cosa non la si può sapere. Quel che è certo è che storicamente tutte le grandi crisi sono state il prodotto di periodi lunghi di interventismo politico.

  9. @azimut72

    Secondo me siamo d’accordo e non ce ne stiamo accorgendo. 🙂

    “Secondo me, ciò che sta avvenendo in America è importantissimo per la teoria politica in quanto sta cadendo l’idea che un sistema democratico basato sulle multi-lobby sia efficiente. Ha funzionato fino agli anni ‘90 ma è successo qualcosa (da analizzare a fondo) per cui la lobby di Wall Street ha preso il sopravvento.”

    Secondo me pensare agli USA come un paese liberale è un errore: il liberalismo si basa su regole che limitano la coercizione politica, il sistema politico USA è solo competizione aperta nell’uso della coercizione politica (pluralismo politico, si chiama).

    Ciò che sta avvenendo negli USA è che il pluralismo politico, cioè il lasciare la coercizione statale in mano al migliore offerente (sindacato, impresa, banca, chiesa che sia), non dà risultati positivi per la società. Questo i liberali lo sapevano dal XIX secolo (lo diceva Bastiat, ad esempio), purtroppo poi alcuni hanno creduto che la democrazia (senza vincoli) e la libertà fossero compatibili, quando non lo sono: la libertà è utile quando non è la libertà di far pagare i propri costi agli altri, cioè non è la libertà di vivere a spese altrui come fanno i gruppi politici organizzati.

    La democrazia lobbystico-corportativa non è libertà, e i liberali veri infatti non hanno mai creduto che lo fosse: occorre limitare il potere d’azione dei politici per ridurre gli incentivi a sfruttare il potere politico per sfruttare gli altri. Non esiste il potere buono (che non è usato male), ma esiste il potere limitato (che fa meno danni).

    “Io sono uno di quelli che è rimasto spiazzato da questo fenomeno perchè ho sempre pensato che il sistema americano, Stato federale “leggero” con molti canali preferenziali di contatto con i vari settori della società (leggi lobby), fosse il migliore. Adesso ho molti dubbi.”

    Io non ho mai considerato gli USA il paradiso del liberalismo. Anche loro hanno problemi a trasformare la politica in qualcosa che risolva i problemi anziché crearli. La politica USA, nonostante norme e principi importanti come l’accountability, la retorica della costituzione, e le fortissime basi culturali liberali, alla fine non è migliore di quella italiana. Segno che la politica è un mostro che deve ancora essere domato. Chissà se faremo in tempo a capire come si fa.

    “E adesso siamo ad affrontare la Deflazione…ora siamo in guerra valutaria, fra poco si arriverà al protezionismo (credo che molti lettori sappiano a cosa mi sto riferendo).”

    Verissimo. Ma non è strano che le elite al potere, i grandi gruppi lobbystici, e gli economisti keynesiani e interventisti, e i giornalisti cheerleaders che scrivono sull’Economist alla fine dicano le stesse cose: la democrazia corporativa è opera loro, del resto.

  10. @Claudia Biancotti
    “D’accordo con i punti tecnici del ragionamento, ma non metterei i tre elementi in contrapposizione. Mi sembra che la soluzione migliore sia quella di ridurre gli incentivi distorsivi e allo stesso tempo lavorare per un ispessimento dei vincoli interni (insistenza sulle fondazioni etiche condivise della convivenza civile e dell’attività economica) e una maggiore credibilità (rapidità del processo, certezza della pena etc.) di quelli esterni. Non insistere su tutti i fronti crea la spiacevole impressione, in chi avversa il liberalismo, che una politica liberale sia “immoralista”, laddove è proprio il contrario. E anzi rispetto ad altre dottrine politico-economiche ha un accento molto più forte sui concetti di responsabiltà degli individui.”

    L’impressione è ovviamente sbagliata. Indubbiamente i mercati funzionano perché i ladri vengono puniti (vincoli esterni) e le persone credono nei diritti di proprietà (vincoli interni). Diritto ed etica sono cose necessarie.

    Però bisogna chiedersi quali dei tre strumenti – vincoli interni, vincoli esterni, mano invisibile – possa dare un contributo marginale maggiore a seconda del contesto.

    In un contesto di rivalità, concorrenza, accesso libero, innovazione, dinamicità… la mano invisibile dà il meglio di sé, mentre i vincoli interni ed esterni si fanno meno efficaci.

    Il problema deriva anche da una confusione tra diversi tipi di vincoli: i vincoli su cui si basa il mercato sono i diritti di proprietà (esterni, nel caso della coercizione a difesa di essi, interni, nel caso di principi etici condivisi a favore della concorrenza e della proprietà). Questi vincoli funzionano perché sono compatibili con il processo concorrenziale, anzi, sono fondamentali per avere un processo concorrenziale.

    Esistono vincoli che sono “at odds” con questo processo… nel caso in esame la mia analisi mostra che cambiare la mano invisibile (gli incentivi del mercato, eliminando il moral hazard) è più efficace che usare vincoli interni ed esterni.

    Questo non è un risultato universale, ovviamente.

  11. Scrive Riccardo Rinaldi (Centro Studi Liberali Benedetto Croce) il 31/01/2010:

    “il pensiero liberale dice che l’uomo è puro egoismo (peccatore), ma che perseguendo il suo egoismo in libertà è in grado di apportare un beneficio concreto a tutta l’umanità in termini di ricchezza e benessere, cioè in termini di felicità”

    Penso che gli economisti, liberali compresi, abbiano ovviamente la libertà assoluta di esprimere qualsiasi opinione o teoria, anche se talvolta profumata da essenza di puro esercizio didattico; ma sarebbe forse pure opportuno che almeno il senso della vita (e della felicità) restasse fuori da qualsiasi valutazione – o grafico – di macro economia

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