L’avvocato dei polli
Poche ore fa, è stato respinto con una schiacciante maggioranza di voti contrari (il 70,5% del totale) il referendum indetto in Svizzera avente a oggetto l’obbligo di istituzione da parte dei Cantoni di un avvocato degli animali con mandato per difendere gli “interessi” degli animali vittime di maltrattamenti in sede processuale penale. L’indicazione del Consiglio federale e quella del Parlamento era quella i respingere l’iniziativa, non ritenendo necessario alcun rafforzamento delle norme vigenti. Ma quanto è giusto parlare di “diritti” degli animali, in realtà?
A desiderare l’estensione a tutti i 26 cantoni di questa istituzione – che costa ogni anno 80mila franchi al contribuente cantonale – attualmente esistente solamente nel cantone di Zurigo (dove solo nel 2008 i tribunali zurighesi hanno emesso ben 190 sanzioni penali) solamente socialisti e verdi.
Particolarmente contrari all’iniziativa referendaria, gli allevatori e gli agricoltori elvetici, da anni bersaglio facile di speculazioni e montature messe in atto dalle associazioni animaliste, timorosi della possibilità di querele infondate e procedimenti gonfiati. E ben consapevoli di come quello che i sognatori vorrebbero realizzare per decreto, sia già la realtà quotidiana del mercato: più una bestia è curata, più è alto il suo prezzo. Quale migliore incentivo?
La catena alimentare non è la crudele invenzione di “avidi capitalisti privi di scrupoli”: è la condizione della vita sulla terra. E chiunque non sia in grado di accettarla – si perdoni la durezza con cui si fa notare questo dato di fatto – è libero di agire come meglio crede per quanto lo riguarda. Quello che davvero non si riesce a giustificare, invece, è la pretesa di imporre per legge il proprio punto di vista agli altri.
È facile oggi che giovanotti e signorine che non hanno (per loro fortuna) avuto modo di conoscere la durezza dei tempi di guerra – durante i quali non era troppo raro che toccasse a cani e gatti, quando andava bene, a topi nella maggior parte dei casi, placare i morsi della fame di chi aveva perso tutto – confondano gli animali “umanizzati” per puro divertimento su fumetti e cartoni animati con quelli della vita reale, per poi giungere a confuse confusioni emotive che scavalcano come nulla fosse l’altra componente fondamentale che fa dell’uomo quello che è: la ragione.
Secondo un interessante punto di vista, i prodromi di questa “moderna” rivolta contro il mondo com’è sempre esistito vanno ricercati nel panteismo e nel neo-paganesimo insiti in un ecologismo che ha assunto forti tinte religiose, a colmare il vuoto creato dal progressivo abbandono delle religioni tradizionali. Un ecologismo che, scrive l’autore cattolico francese Laurent Larcher «considera il cristianesimo una religione da superare per (ri)trovare il senso della natura. L’antiumanesimo insito nell’ecologismo è legato a un profondo anticristianesimo». (Il volto oscuro dell’ecologia. Che cosa nasconde la più grande ideologia del XXI secolo?, Lindau, 2009, p. 215)
Una religione colpevole di avere applicato pienamente il comandamento: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogate e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che cammina sulla terra». Il che è sostanzialmente conforme con le altre religioni del Libro, le quali – seppure con limitazioni mai dovute a motivi morali, bensì a motivi squisitamente pratici (come la sconsigliabilità del consumo dell’altamente deperibile carne di maiale in ambienti caldi, per rifarsi a quella più conosciuta) – non hanno mai pensato di limitare l’attività di sfruttamento di tutte le risorse disponibili sulla terra se non a motivi di praticità (economici, potremmo dire oggi).
Con formula ruvida ma efficacie, Murray Rothbard si dichiarava ben disposto a riconoscere i diritti degli animali nel momento in cui essi li avrebbero rivendicati presentando una petizione in tal senso. Cosa che – a ragione, evidentemente – escludeva, proprio in virtù e a conferma dell’impossibilità di considerare questi nostri pari. (L’etica della Libertà, capitolo 21 , I “diritti” degli animali). E facendo notare anche, anticipando una prevedibile e scontata obiezione, che sebbene vero che neppure gli infanti siano in grado di rivendicare i propri diritti, questa non è che una condizione passeggera, in quanto – adulti senzienti in fieri – non ci vorrà molto prima che lo siano.
Non va neppure ignorato che gli animali, non soltanto non rispettano i diritti e le pretese dell’uomo, ma neppure quelle degli altri animali stessi. D’altro canto, è vero che non c’è nessuna crudeltà nel gesto del lupo famelico che sbrana la prima pecora che gli capita sotto tiro: è la natura che ha disposto che così debba accadere. Il che è la stessa cosa che vale per l’uomo, con l’importante differenza, certo, che costui è un essere indeterminato (per cui può decidere ad libitum se cibarsi di carne ovina, bovina, equina, e via discorrendo, secondo le preferenze individuali e gli usi delle diverse società) e razionale (e dunque… trova più sicuro e soddisfacente macellare, lavorare e cucinare prima di nutrirsi).
Non si capisce davvero, considerando questi semplici aspetti fondamentali, quale considerazione si potrebbe riservare alle presunte pretese degli animali. Una seria introspettiva sul proprio essere e un’onesta riflessione razionale sul creato e sulla loro natura non dovrebbero lasciare spazio per dubitare dell’unicità dei tratti distintivi di socialità e razionalità del genere umano, che ne giustificano la presenza centrale e unica sulla terra. Per non parlare dell’incoerenza di chi distingue tra animali commestibili e non, tra animali da macello e animali da compagnia e, soprattutto (e per fortuna, visto che la malsana alternativa potrebbe essere quella di chi non fa differenza tra il coccolare un buffo micione e aspettarsi le fusa da un alligatore incattivito!) non propone il divieto assoluto di uccisione di qualsiasi bestia.
Parlare di “diritti degli animali” (in termini penalistici, quindi) anziché di diritti dei proprietari di animali (e dunque, in termini privatistici) si inserisce pienamente e aggrava ancora di più la confusione odierna in materia di diritti e della loro assegnazione. La tutela migliore e più razionale che un animale può avere è quella i essere considerato non un’entità para-umana a sé dotata di dignità propria, bensì la proprietà di un essere umano, e beneficiare della dignità che esattamente tale status le garantisce. I nemici dell’istituzione cardine di qualsiasi società libera e prospera sono astuti e subdoli. Ma amare la libertà significa anche non lasciarsi commuovere da situazioni emotive create ad arte e smascherare sempre la natura illiberale e contro ragione delle loro macchinazioni.
In un mondo positivista e legalista sarà forse da ingenui ostinarsi a credere e difendere il diritto naturale e il contesto umanistico antropocentrico da cui esso scaturisce. Ostinarsi a ignorare o sminuire le differenze che fanno dell’uomo qualcosa di diverso e superiore rispetto a una scimmia, un cane o un topo, è sicuramente da polli. Come si sa, animali non esattamente rinomati per la loro “intelligenza”.
A proposito di ecologismo religioso, vi segnalo anche questo pezzo dello scomparso Michael Crichton:
http://www.crichton-official.com/speech-environmentalismaseligion.html
Per fortuna che gli svizzeri possono votare su molte questioni: spesso dimostrano molta ragionevolezza.
Da noi una cosa del genere sarebbe stata imposta con trionfalismo dai politici, ed osannata dai media come “conquista di civiltà”.
Trattandosi di un sistema federale, è il caso di ricordare che oltre alla maggioranza dei votanti sarebbe stata necessaria anche la maggioranza dei cantoni. Insomma, con solo il 40% dei votanti contrari alla cosa ma – ad esempio – 14 cantoni maggioritariamente avversi, l’iniziativa non sarebbe passata egualmente.
Nemmeno un cantone, però, si è espresso per la creazione di questo ennesimo funzionario pubblico.
Il titolo del post è un colpo di genio. 🙂
Egregio Dr. Mura,
ho letto più e più volte il suo articolo. Tralasciando la questione del referendum, mi hanno particolarmente colpito alcune sue frasi su cui vorrei spendere due parole.
Lei crede che gli allevamenti di oggi rispettino la tradizionale catena alimentare? La “condizione della vita sulla terra” è veramente questa, o ci siamo spinti un pò troppo in là? Senza andare troppo lontano, provi a guardare qualche video-inchiesta sulle mucche da latte degli allevamenti intensivi italiani…quanto può essere “razionale” e civile un sistema produttivo del genere?
Vede, le critiche che vengono fatte ai movimenti di protezione degli animali sulla “speculazione dell’emotività” non sono del tutto corrette. Il punto fondamentale non è quello di creare “confusioni emotive” e “umanizzare” gli animali, ma trattarli per quello che sono, quindi da animali. Animali che dovrebbero mangiare erba invece che mix di farine super proteiche e antibiotici, animali che dovrebbero avere spazio per muoversi liberamente invece che essere stipati in gabbie grosse come un foglio A4 a sfornare uova in continuazione come se fossero macchine…e via dicendo.
Credo fermamamente che la compassione (o perlomeno il rispetto) per chi è più debole e meno progredito sia una delle caratteristiche più nobili dell’essere umano, a prescindere dalle differenze biologiche, razziali o di specie. A prescindere dal fatto che questi possano o meno rivendicare i loro diritti.
Su una cosa però mi trova concorde: è profondamente ingiusto discriminare tra animali commestibili e non. Un cane o un gatto non hanno più valore di un coccodrillo o un suino. Nel mio modo di vedere le cose, non esistono animali di serie A o di serie B, e nessun animale andrebbe ucciso o torturato per nessuna ragione al mondo.
Cordiali saluti,
Nicolò