Lavoro: due punti su cui sbagliano anche Giavazzi-Alesina
A mio modesto avviso hanno molta ragione ma anche profondamente torto, Francesco Giavazzi e Alberto Alesina nel loro odierno editoriale di prima sul Corriere della sera. Ragione nel sostenere che la riforma del mercato del lavoro debba essere coraggiosa ed energica, non quella che si determina se vincono i molti conservatorisimi trasversali: ma hanno profondamente torto nel credere che la vera svolta debba essere quella del contratto unico. Entro marzo, mentre l’Europa resta profondamente divisa sul se e come aiutare la Grecia a sprofondare meno, l’Italia verrà misurata sulla riforma del mercato del lavoro. Dopo la stangata fiscale del decreto salva-Italia – però con l’ottima riforma delle pensioni – e le controverse liberalizzazioni del cresci-Italia che il Parlamento smorza ulteriormente, sarà il terzo atto su cui misurare la nuova credibilità italiana. Da qualche settimana è in corso un confronto che il ministro Elsa Fornero ha voluto con caratteristiche molto diverse dalle tradizionali trattative-maratona. Il governo non ha consegnato un suo documento a imprese e sindacati. Li ha stimolati al confronto. Riservandosi poi di tirarne le conclusioni. E’ un bene: evita così di impaniarsi in veti preventivi. Ma il problema è capire se alla fine ne verrà un intervento energico di svolta profonda come sulle pensioni, oppure come sulle liberalizzazioni un’incompiuta di buone intenzioni. Le dichiarazioni a Bruxelles venerdì del ministro Fornero, e le sue successive precisazioni nello stesso pomeriggio da Roma, non contribuiscono a chiarirlo. Forse programmaticamente, nel qual caso è legittimo attendersi sorprese finali positive. O forse no, nel qual caso è utile chiarire l’apparente stato degli atti e delle proposte.
Il ministro Fornero è tornata su un punto che le sta a cuore. E ben a ragione, secondo me. La necessità di uscire dall’attuale sistema che con la somma di cassa integrazione ordinaria, straordinaria e poi in deroga, ha meritoriamente esteso in questi anni di crisi a molte classi d’impresa e lavoratori che non ne beneficiavano lo strumento principe che unisce valenze di sostegno sia al reddito dei lavoratori sia alle ristrutturazioni d’impresa. La cassa è stata efficace e salvifica. Ma questo sistema-tampone, efficace nel breve, ha dei difetti alla lunga temibili e sostanziali. Estende troppo nel tempo – per anni – l’ìllusione di difendere il lavoro com’è e dov’è. E centralizza ogni crisi d’impresa in tavoli ministeriali. Il ministro pensa a una vera indennità di disoccupazione, cioè a un sostegno al reddito di chi perde lavoro, alla sua ri-formazione e alla sua occupabilità, tutte cose nettamente distinte dalla ristrutturazione delle imprese.
Sarebbe ottima cosa. E gli esempi a cui guardare in Europa sono molti, a cominciare da quello tedesco dove il sussidio per il disoccupato è del 60% dell’ultima retribuzione o del 67% con figlio a carico se coniuge non lavora, introdotto dalle riforme Hartz insieme a una riforma profonda del sistema pubblico e soprattutto privato del collocamento, che intermedia non il 6% della rioccupabilità o poco più come in Italia ma oltre il 70%, motivo per il quale se il disoccupato respinge senza fondatissimi motivi le nuove proposte – anche se non equipollenti al precedente incarico – perde diritto al sussidio.
In Germania il tempo medio per decidere estensione e profondità della ristrutturazione d’impresa è di soli sei mesi, ricorrendo all’estensione pubblicamente sussidiata del lavoro a tempo con contratti di solidarietà (la legge sul part time era del 2002, estesa a questo fine nella crisi post 2008) Dopodiché, tutte le volte che è necessario l’impresa ristruttura e il sussidio pubblico va solo ai disoccupati, entro i limiti detti.
Ma l’intento del ministro deve fare i conti con un’amara realtà. In Italia un meccanismo simile significherebbe far alzare di molto i contributi assicurativi al mondo di Rete Imprese Italia, visto che la vecchia Cig era concepita per l’industria. Oppure signirfica chiedere contributi ancora più alti all’industria stessa. E significa inoltre limitare il ruolo di mediazione del sindacato di categoria e nazionale, nelle centinaia di vertenze per oltre 300 mila occupati aperte oggi davanti ai ministeri guidati da Fornero e Passera. Questo spiega perché sindacati e imprese non seguano il ministro. E preferiscano non toccare il sistema attuale “cassa estesa e in deroga”, fino a che la crisi è così dura. Il ministro Fornero ha dovuto riconoscere che così stando le cose il sussidio disoccupazione è per il futuro, di qui a un paio d’anni cioè dopo le elezioni. magari con legge delega. Campa cavallo. Su questo occorre coraggio, la penso come Giavazzi-Alesina.
Ma poniamoci un problema che Giavazzi-Alesina non si pongono. E’ solo conservatorismo corporativo, quello di chi non si fida e difende il sistema attuale? No. Perché bisogna riconoscere – meglio: gridare!! – una profonda verità. In verità la prima vera riforma del mercato del lavoro dovrebbe consistere nell’abbattere energicamente il cuneo fiscale e la pretesa tributario-contributiva dello Stato su lavoro e impresa. Perché è questa la voce che pesa tra i 20 e i 30 punti e talora anche 40 percentuali in più rispetto alle imprese tedesche, a seconda delle tipologie e classi dimensionali. Ma il governo Monti non sembra proprio intenzionato ad abbattere la spesa pubblica e la pressione fiscale per 5-6 punti di Pil in 5 anni come fece la Germania ai tempi delle riforme Hartz, e ad abbattere il debito pubblico con dismissioni del mattone di Stato per 20 o 30 punti di Pil invece che attraverso sanguinosi avanzi primari di 5 punti di Pil l’anno realizzati per via di asfissiante aggravio fiscale.
Se la spending review a cui lavora Giarda e la delega fiscale sui regimi di detrazione a cui lavora Vieri Ceriani fossero finalizzate a questo obiettivo, Elsa Fornero avrebbe ragione. Si potrebbe finalmente consentire alle imprese di ristrutturare presto e bene come la concorrenza estera impone. Distinguendo dalle loro scelte il sostegno assicurativo ai lavoratori, finanziato parte da imprese e lavoratori e parte dal contribuente. Ma se il governo non taglia spese e tasse e non abbatte lo stock di debito con lo stock di attivo pubblico, allora hanno ragione le imprese che dalla proposta Fornero deducono che pagheranno più ancora. E’0 questo, infattui, ciò che a BOCCE FERME IMPLICHEREBBE LA PROPOSTA GIAVAZZI-ALESINA: ANCORA PIù COSTI ALLE IMPRESE RISPETTO AD OGGI!
Che nel gabinetto Monti non tiri affatto aria di riservare al mercato del lavoro nuove risorse con meno spesa pubblica da altre parti, lo si è capito dalla correzione pomeridiana che il Tesoro ha nerdì imposto al ministro del Lavoro. E’ un pessimo segnale. Ed è troppo comodo dire che occorre essere più energici, dimenticando che se non si parte dal presupposto di abbattere spesa e tasse allora significa riservare alle imprese ancora meno margini di oggi!
Rapidamente, gli altri capitoli della riforma. Lotta al precariato. Occupabilità. Flessibilità. Su ciascuno di questo, c’è un bivio. Su uno di questi bivii, la penso esattamenente all’opposto di Giavazzi-Alesina.
E’ un problema serio, la croce riservata a giovani e donne col precariato protratto, anzi col precariato interrotto perché nella crisi molte aziende hanno ovviamente tagliato cominciando da lì. Il governo pensa di ridurre le tipologie contrattuali a tempo determinato, e di farle costare di più. Sul Corriere, Giavazzi e Alesina sposano la proposta: contratto unico per tutti!!!
La Germania ha fatto la scelta opposta. Per far emergere precariato e lavoro nero ha abbassato le sue pretese contributive sulle imprese e fiscali sul reddito da laboro a bassa retribuzione. Fino a 800 euro, la pretesa fiscale è del 10%. Chi dal precariato apre una “Ich AG” – la “società-io”, qui diremmo una partita Iva – fino a 25 mila euro è praticamente esente per i primi anni. Siamo sicuri, che i tedeschi abbiano torto? Oltre 800mila lavoratori sui 5,5 milioni di disoccupati tedeschi ufficiali 2005, sono emersi grazie a queste misure. Spacciare come una soluzione ilcontratto a tempo indeterminato per tutti – come non avviene in nessun paese al mondo – è una scelta ideologica che capisco dal campo socialista e anti-mercato. Ma, lo dico con rispetto e tutta modestia, non capisco invece da Giavazzi e Alesina.
Sull’inserimento flessibile il ministro punta giustamente sull’apprendistato triennale a tutele crescenti. Come da combinato disposto della precedente riforma del ministro Sacconi, e delle proposte Nerozzi-Madia del Pd. Due osservazioni, però. Malgrado i tre tipi di nuovo apprendistato vedano oggi abbattimenti da incentivi Irap e contributivi nell’ordine del 35%, le imprese vi ricorrono ancora pochissimo. Giavazzi-Alesina aderiscono al mantra per il quale sono le imprese cattive ad aver colpa, vogliono solo manodopera a basso costio e bassa formazione. La realtà che conosco io sul territorio è diversa. le imprese sono diffidenti perché c’è una mole paurosa di adempimenti e vincoli burocratici, anche nel “nuovo” apprendistato. Di fronte al timore di dover restituire gli incentivi se governo e sindacarti ti accusano di voler solo abbattere il costo del lavoro invece di far formazione, le imprese ne fanno a meno. La prima osservazione è che dunque serve sfrondare queto ostacolo dia dempimenti e controlli ex ante ed ex post. La seconda è che serve una cultura positiva dell’apprendistato, non il viso dell’arme che puntualmente riemerge rispetto a imprese desiderose solo di costi minori.
Infine, la flessibilità. L’impostazione del ministro è che si cominci con il diminuire e disciplinare la flessibilità in entrata, sommando apprendistato e triennio a tutele crescenti chiesto dalla sinistra . Per poi solo dopo, magari di qui a qualche anno, toccare la flessibilità in uscita, cioè l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Non ha molto senso. Bisogna affrontare insieme le due questioni. Su questo torno a essere d’accordo con Alesina-Giavazzi. Altrimenti il risultato paradossale è di accrescere la rigidità, visto che pare quasi che l’Italia si voglia avviare a essere l’unico Paese al mondo con contratti tendenzialmente solo a tempo indeterminato dopo il primo triennio. Mi limito a osservare che in Spagna hanno appena deciso che anche i dipendenti di Stato che non siano funzionari pubblici, 680 mila su 3,1 milioni complessivi, siano licenziabili con indennizzo economico e senza filtro giudiziale se l’amministrazione da cui dipendono è in deficit da più di 9 mesi. In Italia, un criterio simile sarebbe una svolta vera. Ci stupisca, il governo. Può farlo.
concordo che le soluzioni proposte da Giannino sono le più liberali tra tutte quelle ipotizzate, ma secondo il mio modesto parere a “correr dietro” a tutti questi dettagli si perde di vista l’unica vera cosa importante, e cioè che tutti questi istituti del diritto del lavoro sono comunque una sorta di regole o regolamentazione pubblica obbligatoria di contratti privati che in realtà per funzionare al meglio in un’ottica di crescita e sviluppo necessiterebbero solo di essere lasciati alla libera volontà delle parti….
è il solito discorso, in Italia la discussione su ogni argomento lascia da parte le considerazioni sui punti chiave delle questioni (le uniche sensate ed importanti, tipo nel caso in esame la libertà assoluta di assumere, licenziare, determinare compensi e tutele, etc.) e si concentra invece tutta su aspetti secondari che comunque vengano poi configurati non cambiano la natura dirigistica ed illiberale della regolamentazione complessiva del settore……
bene quindi le soluzioni proposte da Giannino ma ricordiamoci sempre, e ricordiamolo a tutti in ogni sede, che stiamo discutendo di profili secondari e che non ci dimentichiamo degli aspetti principali sui quali chiediamo più LIBERTÀ
Ribadisco quanto detto in un passato commento. Giannino dia un contributo diretto ad una nuova Politica di cui il Paese ha disperato bisogno.
Inutile che ci si prenda in giro: per una riforma seria del mondo del lavoro servono soldi. Tanti soldi. Che poi magari non verranno utilizzati, ma servono firewall pesanti.
E purtroppo al momento soldi non ce n’è e abbiamo deciso che i governi non possono più averne, se non aumentando le tasse.
Ridurre la spesa e le tasse porta a recessione nel breve e dato che in recessione ci siamo già, non farebbe che peggiorare vistosamente la situazione. Più recessione = meno entrate fiscali e maggiori interessi per il debito. Quindi spirale deflattiva, effetto-Grecia e tanti saluti.
Vendere gli asset di stato significa tirare una bomba atomica sul mercato immobiliare, che già non sta messo benissimo. Io ci penserei non due, ma sei volte, perché se parte il domino immobiliare nel bel mezzo di una bella recessione non so nemmeno se arriviamo a fine anno.
Servono soldi, Giannino, non prendiamoci in giro. Soldi freschi e profumati a fronte di specifiche riforme da fare: questa del lavoro è fondamentale e il prossimo giro sarà tra 20 anni. Quindi altro che cassa integrazione: dimissioni libere se non discriminatorie con buonuscita obbligatoria e contributo di disoccupazione “sociale” (quindi flat) a fronte di formazione e lavori socialmente utili. Il tutto esteso ai dipendenti pubblici.
Ma non c’è verso, servono i soldi: la coperta è corta, troppo corta, per qualsiasi cosa. Inutile continuare a far finta che l’euro sia ciò che non è e che si esce dalla recessione con l’austerità. Mai è stato e mai sarà così: con lo scopo di “costringere alle riforme” tramite tassi alti, la Germania sta facendo con noi lo stesso errore che ha fatto con la Grecia. I risultati sarenno gli stessi: poche riforme e tanta povertà.
Caro Giannino,
Sono d’accordo al 100% con lei infatti questo governo mi sta convincendo sempre di meno: ha aumentato le tasse, non diminuisce la spesa e i dipendenti pubblici, non vende patrimonio per abbattere il debito, fa finta di liberalizzare, non privatizza nessuna azienda attualmente in mano allo stato, e non ha nessuna intenzione di adottare il sistema del mercato del lavoro dei tedeschi o dei polacchi insomma quelli che funzionano… alla faccia dell'”europeismo” di Monti… Unica cosa positiva la riforma delle pensioni e aver, almeno parzialmente, iniziato ad infischiarsene dei sindacati. Vedremo il risultato finale ma sono molto pessimista! Secondo me stiamo perdendo tempo: prima ci commissaria il FMI (che in pochi mesi farebbe tutte le cose di cui sopra) e meglio è!
Anch’io ho letto l’articolo di Giavazzi ed Alesina così come gli altri pezzi che settimanalmente scrivono e mi lasciano sempre perplesso per la vaghezza dei dati. Comunque oltre a concordare con Giannino concordo anche con Michele Boldrin (tra l’altro in trasmissione da Oscar pochi giorni fa) il quale parla di contratto unico ma io penso in senso decisamente differente, ossia che a prescindere dalla durata del contratto, per i contratti di lavoro subordinato tutti dovrebbero essere estese alcune tutele come la malattia, la maternità e il sussidio di disoccupazione, ovviamente all’interno di una cornice come quella descritta da Oscar, ossia con sussidi condizionati e non a fondo perduto. E’ ora di dare di più da un punto di vista politico, di unirci, altrimenti la litania statalista prenderà sempre più il sopravvento!!!
Ma possibile che nessuno dica la verità sul mercato del lavoro? Possibile che dobbiamo rimanere in questa ipocrisia per tutta la vita? Vogliamo far cambiare il modo di lavorare degli italiani, cambiamo il modo di retribuirli. Fondamentalmente il lavoro serve per guadagnare soldi perchè solo con essi si può pensare di fare dei progetti. Bisogna finirla con la tesi che il denaro non conta. Il denaro ed il tempo sono due fattori che stanno al primo posto della vita di tutti noi.
Proprio per questo motivo bisogna con forza affermare che chi è più flessibile più deve essere pagato per tale disponibilità. In Italia finora si è ragionato al contrario pagando di più chi è sicuro e meno i lavoratori flessibili.
Questo ha implicato varie distorsioni:
1. I giovani sono generalmente sottopagati e precari
2. I vecchi sono generalmente sopravvalutati e troppo sicuri di non essere licenziati
3. Non c’è possibilità di spostamento tra le due figure perchè nessuno è così pazzo da lasciare un posto sicuro e ben pagato con uno incerto e sottopagato.
Dove prendere i soldi? Lo stato deve lasciare ai lavoratori una parte dei soldi che gli sottrae mensilmente ma anche le aziende, che macinano utili, devono spendere di più alla voce costo del personale (Chissà perchè le grandi banche chiudono con utili stellari ma licenziano in massa). Siamo il paese che retribuisce meno i propri lavoratori, che fa economia sulle risorse umane e che poi si lamenta perchè la domanda interna langue.
Sono a favore della flessibilità, possiamo anche parlare della modifica dell’articolo 18 (e qui c’entra il fattore tempo ma ve ne parlerò un’altra volta) ma bisogna dare una contropartita in cambio: soldi, soldi, soldi.
Cordiali saluti.
1)La riforma delle pensioni non è ottima. Quando avevo da comprarmi la casa misi il 33% (si è vero che lo mette l’azienda, ma lo mette con il denaro che darebbe te…) in contributi previdenziali. All’estero avevano pensioni più avanti negli anni ma mettevano meno. Ora quei miei soldi sono “fumati”.
Chissa’ perche’ nessuno pensa mai a guardare l’esempio della confinante Svizzera.
Massima flessibilita’ nel lavoro il preavviso viene concordato liberamente tra le parti al momento dell’assunzione, lo Stato non mette bocca. Sindacati e associazioni industriali esistono, ma mi pare svolgano piu’ un ruolo consultivo e non esistono contratti nazionali del lavoro calati dirigisticamente dall’alto.
Risultato: disoccupazione al 3% e stipendi piu’ alti (adeguati all’alto costo di vita), tanto che oggi il primo Paese per numero di immigrati nel Canton Zurigo indovinate un po’ qual e’?
La Germania.
A quando un progetto italiano per l’Italia che tenga conto della nostra storia, della nostra cultura e delle nostre specificità. Non sono un esperto ma scorgo in tutte le proposte possibili la mancanza di un elemento fondamentale indispensabile per gestire “l’italianità” : LA SEMPLICITA’. Poche regole chiare e che non consentano furbizie. Questo è un motivo valido che mi spinge a credere che il contratto unico a tempo indeterminato per tutti e da subito sia la soluzione più auspicabile. Fatto questo si dovrà progettare un sistema di tutela per il lavoratore in uscita che sia sicuro e soprattutto efficace. Come finanziamo questo progetto ? Questo è l’altro punctum dolens, E’ qui che penso che il ragionamento sul cuneo fiscale trovi validi motivi (oltre a tutti gli altri) di essere inserito. In ogni caso di qualsiasi cosa si parli o a qualsiasi cosa si debba mettere mano si scopre che è l’intero sistema Italia che necessita di essere riprogettato. Impresa ardua e complicata a cui il nostro modo di essere aggiunge difficoltà su difficoltà. Per ora spero solo in una riforma del mercato del lavoro profonda e di rottura come, per esempio, quella del Prof. Ichino.
caro giannino finalmente ! ADERISCO ALLA TUA INIZIATIVA DI NON PAGARE IL CANONE RAI PER CHI POSSIEDE SCHERMI DAI QUALI PUO’ RICEVERE PROGRAMMI TELEVISIVI ,COSA DOBBIAMO FARE NOI POVERI CONSUMATORI SENZA VOCE ,PONIAMO INTERPELLO ALLA AGENZIA DELLE ENTRATE ? SCENDIAMO IN PIAZZA? ASPETTO CONSIGLI E SUGGERIMENTI.AVANTI COSì.
La Scolastica è stata spazzata via dalle Scienze sperimentali, ma i Tommasi D’Aquino si sono incistati nella “scienza”economica e in tutte quelle discipline nelle quali possono arzigogolare all’infinito perchè non c’è la prova sperimentale. In tutti questi casi, agli apprendisti stregoni dell’economia ideologica andrebbe richiesta una fideiussione a garanzia. Per esempio: Prodi e Co. di quale importo l’avrebbero dovuta costituire a garanzia degli sconquassi causati dall’Euromostro?
Proposta: passare dal sistema sanitario beveridge a quello bismark (premi assicurativi obbligatori) e con questo diminure IRPEF e eliminare IRAP. Da qui escono le risorse per gli ammortizzatori sociali alle tedesca o (perché no) svizzera (80% per 400 giorni) che siano universali, anche nel settore pubblico, visto che anche li’ occorre sforbiciare.
Ha ragione alexzanda.Meno obblighi di legge ci sono meglio è.A differenza di Giannino preferirei il contratto a tempo indeterminato per tutti con la possibilità di risoluzione senza reintegro ma con indennizzo economico giudiziale.Gli altri dettagli vengano decisi dalle parti.Ha ragione Marco Tizzi.Non c’è una lira e la lira,purtroppo.Lo stato indichi le risorse disponibili e le parti sociali decidano come utilizzarle.Se vi sono sulle questioni da stabilire per legge opinioni inconciliabili,non si perda tempo alla ricerca di soluzioni pasticciate o in discussioni inconcludenti.Si faccia decidere agli elettori.La sovranità dovrebbe appartenere al popolo ma questa è un’altra storia.
Io sono per lo scioglimento degli attuali sindacati e dell’attuale confindustria sostituendoli con associazioni specifiche di categorie: processi metallurgici, lavorazioni meccaniche complesse (auto, bus, camion, carriponte, gru ecc.), cantieristica, meccanica di componenti, meccanica di precisione, chimica di base, farmaceutica, calzature, ecc.ecc.
Per ogni ambito una associazione imprenditoriale, un sindacato esperto delle problematiche di settore (esigenze di firmazione, sicurezza, livello competitivo ecc.); in questo ambito il contratto unico è lo sbocco naturale di una omogeneità di problemi e risorse.
Nella babele della discusssione sul mercaro del lavoro – che secondo me finirà nel nulla o quasi – non si parla mai degli immigrati . In tv vanno solo ” ricercatori ” studenti universitari , laureati in scienza dellecomunicazioni ,sociologia ,filosofia ,giurisprudenza .
che reclamano il posto di paga fisso , adeguato agli ” studi ” fatti che dia loro soddisfazione ecc.. ecc..ma come mai nessuno ricorda che in Italia vivono oltre quattro millioni di immigrati nella stragrande maggioranza giovani , che in gran parte lavorano svolgendo mansioni che i nostri giovani suddetti sdegnosamente rifiutano , preferendo continuare a farsi mantenere dalla famiglia e dai contribuenti ?