26
Apr
2016

L’attualità de “Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza”—di Tomaso Invernizzi

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Tomaso Invernizzi

Molti dei problemi che oggi dividono la cosiddetta opinione pubblica nelle discussioni private, sui social network, nel dibattito politico… potrebbero essere affrontati diversamente, aumentando le possibilità di giungere ad un’intesa almeno parziale e provvisoria, leggendo o rileggendo l’agile saggio di Karl Popper Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza del 1960. Molti temi, dal dibattito sul nucleare ai confronti in materia di politica economica (tassazione, protezionismo, regolazione…) vengono affrontati da buona parte dei partecipanti con la presunzione di possedere la verità e che essa sia manifesta. La concezione che secondo Popper è alla base dell’attribuzione di credibilità a fonti di ignoranza è la teoria della verità manifesta, l’idea cioè che la verità sia evidente e a disposizione di tutti. Se non tutti riconoscono la verità è perché sono offuscati da alcuni pregiudizi ed errori facilmente superabili. Altre volte l’ignoranza è protratta da poteri che cospirano per impedire alla massa di vedere la realtà (si pensi alla teoria marxiana per la quale le classi dominanti producono ideologie, ossia mascheramenti della realtà atti a mantenere lo status quo).

Cospiratori sono stati e sono individuati negli Ebrei, nei capitalisti, nelle multinazionali del petrolio, nella finanza… Debellati gli errori e sconfitti i cospiratori (si noti che molti regimi del Novecento sono nati proprio per tentare di vincere presunti cospiratori) la verità emergerebbe in tutta la sua chiarezza e per ciascuno sarebbe possibile individuarla. Questa è la tesi del Platone del Menone, anche uno schiavo può giungere a risolvere un non facile problema di applicazione del teorema di Pitagora trovando da sé la soluzione, di Bacone, per il quale evitati gli errori che costituiscono anticipazioni della natura, i famosi idola, l’uomo attraverso la rigorosa applicazione del metodo induttivo per eliminazione può giungere alla certezza, nonché di Cartesio, per cui sconfitto il dubbio iperbolico, l’uomo non può ingannarsi almeno su ciò che risulta evidente e da questo ricavare ulteriore conoscenza.

Tutte queste teorie della conoscenza costituiscono quella che Popper chiama un’epistemologia ottimistica e che egli ritiene essere alla base di ogni specie di fanatismo. Soltanto la più depravata malvagità può rifiutare di vedere la verità, perché la teme, e cospira per sopprimerla. Il problema che si pone subito è distinguere coloro che affermano la verità che si presume manifesta da coloro che cospirano mascherandola. Il rischio è quello di affidare ad un’autorità questo compito con la conseguenza di portare a derive politiche autoritarie. L’atteggiamento opposto costituisce un altro errore, ossia la convinzione che la maggior parte degli uomini non possa, non abbia le capacità per giungere alla vera conoscenza (epistemologia pessimistica) e soltanto un gruppo ristretto di individui (per cui evidentemente vale una dottrina ancora più ottimisitica della teoria della verità manifesta) abbia accesso alla verità. Questa posizione è rappresentata dal Platone della Repubblica, in cui soltanto i filosofi riconoscono il bene comune e in virtù di ciò possono governare la città. Le conseguenze autoritarie dell’approccio pessimistico sono evidenti anche nell’ultima opera platonica, le Leggi. Il Platone della Repubblica appare come uno dei più grandi nemici della Società aperta.

La teoria proposta da Popper parte dalla considerazione della fallibilità della conoscenza umana. Le teorie, le idee, le dottrine, sono tentativi di risolvere problemi. La verità non è manifesta, non è evidente a tutti, e non è nemmeno evidente soltanto per qualcuno. Ma non è nemmeno inesistente o completamente oscura; anche il totale relativismo epistemologico per Popper è pericoloso e alla base di derive autoritarie. La verità va ricercata con lo studio, l’esercizio razionale, con umiltà, confrontandosi, facendone un ideale regolativo. Le teorie, le congetture, devono potersi confrontare con i fatti, devono poter essere controllate. Non sarà mai possibile giungere ad una verità definitiva, ma sarà possibile dare credito a teorie sempre più verosimili, più aderenti ai fatti, capaci di approssimare meglio la verità. Per Popper, così come per Hayek (La società libera, 1960), il fallibilismo, l’adozione di un’epistemologia che riconosca i limiti della conoscenza umana, è fondamento delle libertà politiche e può permettere l’individuazione di soluzioni sempre migliori ai problemi.

La rilettura o la lettura per la prima volta del testo popperiano si rivela di impressionante attualità. Particolarmente urgente sembra essere oggi educare contro la teoria della verità manifesta e la teoria cospiratoria e a sostegno del fallibilismo, in un momento in cui il dibattito socio-politico avviene sempre più superficialmente negli spazi virtuali della rete e alcuni movimenti politici chiedono il riconoscimento di forme di democrazia diretta.

3 Responses

  1. Gianfranco

    Siamo sempre li’. Qualcosa e’ cambiata parecchio, negli ultimi 70 anni.
    Quella cosa si chiama debito pubblico. Il debito e’ quella cosa che ha appianato qualunque divergenza. Tutti contenti, tanto si spende per tutti.
    Si e’ rotto il vincolo dalla dipendenza delle risorse, perche’ comunque bastava e basta stampare Euro, BOT e CCT, spartirsi le fette e andare avanti.
    Anche i processi decisionali sono cambiati, perche’ non e’ piu’ necessario fare le cose giuste. Basta farle, meglio se male, perche’ gli errori si pagano indebitando le nuove generazioni.
    Ora, dato che non e’ necessario fare le cose giuste, non e’ nemmeno necessario informarsi piu’ di quel tanto. Che io sia pro o contro una cosa, non importa piu’. Tanto meno importa se il mio punto di vista sia completamente aberrante.
    Non perche’ io sia particolarmente razzista – la mia ex fidanzata di colore e’ testimone – ma prendiamo su tutti il caso immigrazione.
    Costa tanto dire “aiutiamo tutti”? No. Non costa niente. Tanto i soldi si stampano e possiamo permettercelo.
    Ora entriamo in uno scenario di non stampa dei soldi e diciamo: aiutiamo tutti immigrati finche’ c’e’ la copertura economico finanziaria. Nel momento in cui i soldi finiscono, pero’, non potendo mantenerli li rimandiamo a casa.
    Questo approccio, che evita di demandare cio’ che e’ giusto alla super coscienza del debito pubblico, obbligherebbe chi e’ a favore dell’immigrazione indiscriminata a pagare di persona.
    Non siamo in questo scenario ma posso ben immaginare quanta gente smetterebbe di parlare per niente, perche’ per sostenere la propria posizione dovrebbe sborsare di tasca propria.
    Ne consegue che qualunque fenomeno sociologico di apprendimento e informazione e decisione dovrebbe essere diviso in: filosofia pre-debito e filosofia post-debito.
    La filosfia post-debito e’ completamente slegata dalla realta’.

    In una riga: finche’ i carboidrati costano cosi’ poco, chiunque puo’ sopravvivere agevolmente, specie l’idiota.

    Cordialmente
    Gianfranco.

  2. Stefano Carboni

    Certo, con i dati oggettivi non si discute, il debito pubblico è esploso ……ma bisogna anche dire che il costo del debito pubblico odierno (2016) è la metà di quello che ad esempio era il costo del debito pubblico (di quasi un terzo inferiore) nel 2011.
    E come non ricordare che questa “fisima” che qualcuno è riuscito a far diventare articolo di alcune costituzioni e di patti europei che il rapporto tra debito pubblico e PIL debba essere inferiore al 60% è del tutto arbitraria ?

  3. Gianfranco

    Infatti, Stefano, mi stai dando ragione.
    Ancora piu’ perche’ il debito costa meno.
    🙂

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