L’assurdità del “tanto per fare”
Qualche imprenditore dell’industria del giocattolo dovrebbe pensarci prima di farsi rubare l’idea dai cinesi. Con qualche modesto accorgimento il Dpcm di Natale potrebbe essere trasformato in un divertente gioco di società che riunisca le famiglie (con il limite dei soli conviventi: è ammesso il gatto di casa) ognuna intorno al proprio pc (ancor meglio se collegato allo schermo del televisore) in collegamento – da remoto – con i parenti dal secondo grado in poi e con gli amici purché consueti.
Dopo aver consumato in solitudine la cena consegnata a domicilio da un rider (è raccomandata la mascherina) la combriccola si collega con Zoom o qualche altra diavoleria e dà inizio al Webinar di Giuseppi. Il gioco è semplice: si sceglie un conduttore (meglio se il capo ufficio, la vicina appetitosa o il nonno più lucido; è preferibile evitare gli/le ex) il quale formula le domande sul Dpcm di Natale; il primo a cliccare (ormai con i vari clic day siamo tutti specialisti), risponde. Se sbaglia, si passa al secondo e così via. Ai vincitori si consegnano gli scontrini messi in palio dal Cashback (ogni giocatore ne deve portare almeno dieci secondo importi prestabiliti allo scopo di evitare il dumping di chi ha acquistato solo caffè).
Tanto per capirci, facciamo qualche esempio di possibili domande: ‘’in quali giorni è possibile acquistare un paio di scarpe dopo le 18?’’. ‘’In una zona rossa è possibile portare a spasso il cane dopo le 22?’’. Ovviamente occorre orientarsi nel groviglio dei Dpcm perché possono esserci domande diaboliche del tipo: ‘’quale era il colore del Comune di Brisighella il 31 novembre?’’. Per rispondere correttamente si deve innanzi tutto ricordare che quel mese è di soli 30 giorni; poi è necessario sapere in quale regione si trova quel Comune, evitando le omonimie in un Paese in cui ci sono centinaia di località col nome di un santo, di un castello, di un ponte o di un fiume, per non parlare di Garibaldi. Detto per inciso, il maggior numero di vie dedicate a protagonisti del Risorgimento si trova nelle città meridionali (il che, se non è un vago segnale di colonialismo, poco ci manca).
Poi c’è il problema della messa di Natale. Il bambino Gesù dovrà nascere un po’ prima, ma ha già fatto sapere di aver provveduto e di aver mandato, tramite lo Spirito Santo, un plotone di angeli a sanificare la capanna e la mangiatoia nonché a fornire mascherine chirurgiche ai pastori. Resta il problema del divieto dei canti, essendo l’esibizione canora (ancorché imbrigliata dalla mascherina) fonte di contagio. Le diocesi stanno provvedendo a salvare capra e cavoli invitando i fedeli a sintonizzarsi su qualche buona esibizione del coro a bocca chiusa della Butterfly di Giacomo Puccini.
Lo scherzo finisce qui. Come Madama Butterfly, ho cercato di ‘’celiare’’ per ‘’non morire’’. Perché trovo senza capo né coda le misure assunte nel Dpcm, alla stregua di una gimkana nel calendario, con la stessa logica di una roulette russa. Senza il bene di una spiegazione vi sono attività consentite in un giorno festivo che non lo sono più il giorno dopo (si vedano le prescrizioni riguardanti la Vigilia, quelle del giorno di Natale o quelle della notte di Capodanno); oppure l’altalena degli orari di apertura e di chiusura dei negozi, per attenersi ai quali – nelle diverse giornate – il titolare deve prendere nota come se dovesse assumere un farmaco. Ma al di là delle ‘’sensazioni di leggera follia’’ che ogni raccomandazione si porta appresso è la ‘’linea generale’’ ad essere travolta dall’offensiva dell’assurdità, del tanto per fare, a livello di una moderna ‘’danza della pioggia’’ con i virologi nel ruolo degli stregoni.
Nella prima fase le misure di ‘’mitigazione’’ del contagio – benché tali da privare i cittadini non solo dei loro diritti ma persino delle loro abitudini – avevano un minimo di logica: lockdown per tutte le attività ad eccezione di quelle necessarie. La gestione della seconda fase (che poi sempre la prima e unica) ha avuto e mantiene degli aspetti insensati. Sono stati chiusi o hanno visto ridurre la loro attività le aziende e i locali che si erano attrezzati con modalità di relativa sicurezza, ottemperando alle disposizioni delle autorità. In seguito al divieto di lavorare si è posto il problema del ‘’ristoro’’; e il Paese continua ad essere dipendente di una prassi di assistenzialismo di massa, alla perpetua ricerca del ‘’primum vivere’’, costi quel che costi, in attesa del Cid Campeador del vaccino ‘’che viene dal freddo’’.
In sostanza, è entrato nel nostro agire quotidiano il prospettare soluzioni semplici a problemi complessi. Non pare esservi una sostanziale differenza tra la chiusura dei porti allo scopo di contrastare le migrazioni e quella dei ristoranti, dei cinema e dei teatri per ‘’mitigare’’ il virus.