L’arte del declino nel paese del non governo
Vi sono due standard, due fattori che più di ogni altro hanno stabilmente caratterizzato il nostro paese nell’ultimo quindicennio. Il primo è il declino, il secondo è il non governo. Ho intitolato questo post “L’arte del declino nel paese del non governo” ma anche “L’arte del non governo nel paese del declino” andrebbe benissimo.
Il declino può essere misurato quantitativamente attraverso la caduta del Pil pro capite dell’Italia relativamente ai paesi U.E.
Come si vede nel grafico qui sopra, che riporta dati Eurostat, nel 1995 l’Italia aveva un Pil pro capite in parità di potere d’acquisto più elevato del 23% rispetto a quello medio degli attuali 28 paesi dell’Unione Europea, la Germania del 30%. Nel 2001 il maggior valore dell’Italia si era ridotto al 19%, nel 2005 al 5%. La caduta si è attenuata nel quadriennio successivo, compreso il biennio 2008-09 della prima ondata recessiva, ma è ripresa dal 2009, portando il nostro paese sotto la media comunitaria. Il grafico mostra anche il declino tedesco del periodo 1995-2002, molto più rapido di quello italiano, che tuttavia si ferma completamente nel 2003 e si trasforma in recupero dal 2009 in avanti. Il caso tedesco dimostra come declino non sia un fenomeno irreversibile ma possa essere arrestato, e anche trasformato in rilancio, con opportune scelte di riforma economica. La Germania ha fermato il declino, l’Italia lo ha proseguito.
Essendo chiaro il declino, passiamo al ‘non governo” che è, invece, meno facile da definire. Esso non si manifesta infatti solo con l’assenza di governi in carica o con la turbolenza politica in grado di indebolirli e di impedirne le azioni ma anche, e forse principalmente, con governi stabilmente operanti, dotati di vaste maggioranze, che si sono dimostrati tuttavia stabilmente non in grado di governare (il maggior declino relativo dell’Italia si è infatti verificato tra il 2001 e il 2005, sotto un solido governo di centrodestra, dichiaratamente favorevole alle imprese e alle attività economiche). Da cosa dipende il fenomeno? L’interpretazione migliore mi sembra la seguente.
Sino a quando in Italia le risorse non erano troppo scarse la funzione richiesta ai governi dai loro gruppi elettorali di riferimento (corporazioni e altri gruppi d’interesse) era quella di erogare più rendite a una platea più ampia. Ora che il declino economico accentuato del paese ha reso questo non più possibile, la richiesta si riduce alla difesa strenua delle fette di torta specifiche, indipendentemente dal fatto che la somma delle fette storicamente garantite superi di gran lunga la grandezza della torta annualmente prodotta. Il criterio generale che presidia il tutto sembra essere infatti “la fetta come variabile indipendente”. Esso ha avuto nel tempo diverse declinazioni: dallo storico “il salario come variabile dipendente” dell’epoca dell’autunno caldo (ma di fatto anche prima) al più recente “il profitto come variabile indipendente”, non dichiarato ma ampiamente praticato dalle grandi (si fa per dire) imprese colluse con lo Stato che a fronte di ogni rischio di riduzione di redditività hanno tranquillamente gettato lavoratori nel cestino dei rifiuti del welfare pubblico (con i governi ben disposti a porgerlo), sino all’ultimissimo ‘il gettito come variabile indipendente (dagli imponibili)’ di fatto perseguito da un fisco famelico, terrorizzato dalla constatazione che non basta più, per effetto della caduta degli imponibili, aumentare le aliquote per togliere soldi ai cittadini ma è ormai divenuto anche necessario fissare imponibili immaginari.
Allo stato attuale delle cose, le numerose fette privilegiate di torta storicamente concesse non possono essere compresse dal governo, pena la revoca del consenso, ma non possono neppure essere salvaguardate se non lasciando che tutte le conseguenze del declino ricadano sulle categorie non privilegiate. Con questi vincoli i governi non possono governare perché dovrebbero tagliare le fette privilegiate rimuovendo le rendite e segando il ramo del consenso su cui sono già debolmente seduti. Non possono però neanche non governare per non suscitare la protesta (o rivolta) dei più deboli. L’unica soluzione resta pertanto quella di non governare facendo però finta di farlo. La quadratura del cerchio è il gattopardismo o, meglio ancora, l’ammuina, l’arte (erroneamente attribuita alla marineria borbonica) di far finta di darsi un gran daffare per coprire l’inattività più totale.
Il problema n. 1 del paese, in sintesi, è il fatto che il non governo provoca o accelera il declino il quale a sua volta determina impossibilità di governare, generando un circolo vizioso dal quale non si riesce a vedere via d’uscita. Il declino del paese è infatti accentuato, e in ogni caso non impedito, dall’incapacità di governare ed è ora pervenuto ad un punto dal quale non può più ritornare indietro per effetto delle sole scelte dei soggetti privati e delle loro aggregazioni sociali. Necessita invece di una robusta ed efficace azione di governo che tuttavia non c’è e molto probabilmente non può neppure esserci poiché il terreno perduto rende i governi ostaggio dei veti alle riforme che le categorie sinora protette, e che più avrebbero da ridare alle altre e dunque da perdere, sono in grado di porre.
Fare le riforme economiche necessarie richiede purtroppo di intaccare le rendite esistenti quando i loro percettori sono in grado di determinare, o almeno impedire la decisione sociale. Se si vuole accrescere il benessere sociale e si parte da assetti monopolistici occorre evidentemente smantellare i monopoli. E come si può fare se chi decide è, nella peggiore delle ipotesi, il rappresentante politico dei monopolisti e, nella migliore, ostaggio dai loro veti?
Se è chiara la diagnosi è chiara anche la terapia. Il paese non ha che da fare due cose: (1) darsi da fare per produrre una torta più grande; (2) ridurre le fette eccessive (e la garanzia delle fette ‘come variabile indipendente dalla torta’). La prima cosa si chiama efficienza economica, la seconda si chiama equità. Lo farà? Temo di no, non essendovi una coscienza nazionale, un minimo comun denominatore di valori sociali condivisi.
Se non pensiamo che la nave su cui siamo a bordo sia un po’ anche nostra saremo disinteressati al suo affondamento sinché saremo certi (senza fondamento razionale) di avere comunque una scialuppa garantita.
…andando al fondo della questione, questa è la crisi irreversibile della democrazia rappresentativa, e insieme crisi antropologica della società dei consumi keynesiana…
così, Pier Luigi Zampetti:
“…L’oligarchia è prodotta dalla delega dei poteri che gli elettori conferiscono ai partiti. La democrazia rappresentativa o democrazia delegata consente infatti alle oligarchie di poter gestire la società intera. E le oligarchie partitiche sono in simbiosi con le oligarchie economiche. Tale simbiosi ha creato il capitalismo consumistico. La crisi di tale forma di capitalismo coinvolge anche le oligarchie partitiche. Di qui la crisi del sistema politico occidentale che si accentuerà sempre più nella misura in cui il capitalismo consumistico manifesterà la sua crisi crescente, cessando di essere il modello di sviluppo economico paradigmatico, così come finora è stato (Pier Luigi Zampetti, “Partecipazione e democrazia completa, la nuova vera via” , Rubbettino, 2002).
approfondimenti a disposizione qui: http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/i-maestri-2/pier-luigi-zampetti/i-due-e-book-sulla-lezione-di-pierluigi-zampetti/
Il post spiega perfettamente le ragioni per le quali il default è, a mio avviso, il destino “genetico” di questo Paese. Grazie.
Analisi sostanzialmente corretta e condivisibile. Come tante altre gia’ lette prima e come tante altre – temo – che leggeremo in futuro.
Condivisibile anche la terapia: il cosa fare.
Ma manca – come sempre – il “come” e soprattutto il “chi” dovrebbe fare le cose indicate.
Siamo dei veri draghi a parole, ma quando si deve passare ai fatti…. non rimane niente.
Applausi!
La malattia è di lunga data. Se l’inizio del declino può essere datato 1992 (governo Amato), le cause risalgono a molto prima. L’Italia ha abusato del debito pubblico e delle cosiddette “svalutazioni competitive” per innalzare la spesa pubblica favorendo le corporazioni e cercando il consenso tramite elargizioni di risorse pubbliche sempre più onerose.
Il cambiamento operato nel ’92 è stato quello di incrementare la pressione fiscale per tentare di pareggiare i conti. I conti comunque sono andati a rotoli e la spesa pubblica ha continuato a salire grazie anche all’immunità ad essa garantita dal ricorso alla leva fiscale. I fallimenti di Monti e Letta sono una riprova della totale inutilità di aumentare le tasse nel tentativo di far “quadrare” i conti.
In questi 20 anni il mondo è cambiato radicalmente; oggi sono tante le nazioni in grado di offrire prodotti che incontrano il favore del mercato, di qualità e altamente personalizzati. Il made in Italy ha perso gran parte della sua unicità.
I problemi principali per il sistema industriale italiano sono rappresentati 1) dall’ampliamento del gap di competitività rispetto al resto d’Europa e, quel che più conta, del Mondo e 2) dalla difficoltà di reperire capitali per investimenti.
Senza un grande shock che permetta di rivoluzionare l’architettura dello Stato e la macchina burocratica della pubblica amministrazione, l’Italia è destinata a spegnersi come una candela.
Vorrei portare all’attenzione del movimento anche una considerazione relativa al declino dell’occidente o meglio della fine della civiltà Occidentale che è in atto, come ampiamente previsto nel saggio di Henry Miller del 1942 ed ancora prima nel trattato di Osvald Spengler del 1922. Osvald Spengler ha previsto il declino della civiltà occidentale per i due principali motivi che hanno causato la fine dell’Impero Romano e cioè la mancanza della VIRTUS e dei Mores. Nessun romano voleva più fare il contadino o il soldato (lavori fatti dai barbari), diminuzione delle nascite perché oltre il 50% erano omosessuali. Il parallelismo con la situazione attuale della civiltà occidentale non ha bisogno di spiegazioni.
Per fermare il declino (o almeno per ritardarlo) bisognerebbe fare azioni che modifichino le ragioni che hanno causato la fine dell’impero romano e che sono alla radice del declino attuale.
Si tratta solo di capire per quanto tempo l’andazzo potrà continuare:
http://ugobardi.blogspot.de/2014/02/il-collasso-del-predatore-apicale.html
“Se vi occupate di sistemi socioeconomici, potete notare come ci siano delle notevoli somiglianze con gli ecosistemi biologici. In particolare, in un sistema socioeconomico si può pensare che il “predatore apicale” sia il governo; ovvero quell’entità che controlla la polizia e le forze armate e che ha il potere di tassare i cittadini senza nessun limite prestabilito. Ora, in tutti questi sistemi c’è la tendenza ad andare in “overshoot” quando un predatore preleva più prede di quanto queste si possano riprodurre – oppure quando le prede hanno distrutto a loro volta le loro fonti di sostentamento. In questo caso, il predatore distrugge la popolazione delle prede, dopo di che non gli rimane che scomparire a sua volta. Tuttavia, i modelli mostrano che il predatore apicale è l’ultimo a sparire nell’ecosistema.”
cosa ne direste di titolare
l’arte dell’incompetenza e l’abolizione di ogni meritocrazia per accelerare il declino e giustificare il non governo???
@ Tobia Quale Movimento? Il vecchio o il nuovo? Tutto tempo perso.
Il “declino” lo hanno capito anche i sassi, ma il “non governo”, come problema, non lo capisco. Il mantra degli ultimi decenni è “liberalizzare”, per fare questo ci vorrebbe un governo smantellatore di se stesso, che non ci sarà mai. I governi hanno sempre fatto il contrario aumentando l’intervento, quindi?
Io penso che sia in atto una famelica speculazione della finanza internazioanle. Paesi come l’ Italia, con risorse intrinseche che rappresentano reali valori economici (zone con clima invidiabile, predisposizione alla massima eccellenza per offrire potenzialmente la migliore vita possibile, patrimonio artistico e monumentale unici al mondo, attività manifatturiera con il più alto valore aggiunto, Colosseo, Fontana di Trevi, Bronzi di Riace, Uffizi, etc.) devono essere fatti fallire per essere comprati e soggiogati con due soldi. Questo è tutto. Noi ci dobbiamo isolare e vivere da soli con quello che abbiamo. Alternativamente uniamoci con un potente, ad esempio la Svizzera e facciamogli da portaerei nel mediterraneo offrendogli uno sbocco al mare che la renderà ancora più potente. Meglio essere il maggiordomo di un padrone ricco che essere poveri e liberi. Noi la libertà la fraintendiamo.
Paolo Spinoglio
Anche l’ ISTAT racconta frottole!
Ci vengono a raccontare che il PIL italiano, nel 4° trimestre 2013 ha invertito il segno, infatti secondo l’ ISTAT ha invertito la tendenza, forse, perchè un + 0,1%, rispetto alla misurazione del PIL, pari a circa 1500 MLD di euro, MLD più MLD meno, cioè parliamo di + 1,5 MLD, e ancora meglio il + 1 per mille rientra tranquillamente in ciò che in Metodi di Osservazione e misure si chiama incertezza, cioè quel valore così limitato rispetto al valore della misura è nel margine di errore rispetto al valore vero; parlo del PIL assoluto in MLD di euro. Cosa vuol dire infatti, tenendo conto che il calcolo del PIL include il sommerso, che esso è passato da 1500 MLD a 1501,5 MLD? Non vuol dire assolutamente nulla, a mio avviso.
Ma guardiamo ora ciò che è accaduto a Francia e Germania, per esempio; la Francia ha avuto un + 0,3% e la Germania un + 0,4%; le cause ovviamente sono differenti, infatti la Francia ha fatto un deficit di quasi il – 5%, e tutti qui sappiamo i motivi per cui un deficit può creare aumento di PIL, mentre la Germania continua ad approfittare per i soliti motivi, della sua posizione privilegiata, infatti con deficit nullo, riesce a migliorare la sua occupazione e la sua economia, soprattutto quella manifatturiera, potendo contare su una moneta che non si rivaluta.
Le cause del declino, sono sicuramente quelle che ci propone il Prof. Arrigo, ma l’ Italia che ha bisogno di lustri per essere riformata, non doveva entrare in competizione con la Germania e con la stessa moneta e quelle cause, tecnicamente ne sono state amplificate di un fattore pari alla svalutazione della moneta italiana rispetto al marco tedesco, fratto gli anni dal 1960 e moltiplicato i 13 anni di euro; aver affrontato il declino in queste condizioni è stato da stupidi.
Quando non si hanno le carte è buona regola passare la mano: l’iniziativa passa a chi pensa di aver buone carte per imprimere al gioco un maggiore avvicendamento ed una nuova distribuzione delle ricchezze. Se i giocatori sono molti e se si vogliono al tavolo molti giocatori si devono semplificare le regole (per far giocare anche quelli meno esperti o giovani) o ricorrere a tanti arbitri che sovraintendono per poi retribuirli per il loro servizio. Abbiamo scelto di giocare con molti arbitri perchè, si pensava, migliorano la qualità del gioco, convincendo i giocatori a rispettare le regole. Col tempo ci si è accorti che sono gli arbitri a cambiare le regole e che non dovevano per forza migliorare la qualità del gioco ma dovevano solo introdurre regole come prescrive la Costituzione. Purtroppo i giocatori non possono cambiare le regole o la Costituzione se non attraverso gli arbitri. Questo a parer mio è un bel problema.
questo è il secolo appena iniziato del declino dell’occidente.. al mondo siamo troppi.. commodity razionate.. concorrenza lavoro bassissimo costo in quantità mai viste prima nella storia (Marx lo avrebbe chiamato esercito di riserva aggingendoci ora un quasi infinito) lo rendono inevitabile.. tecnologia di processo ormai mangia molto più lavoro di quella che tecnologia di prodotto può creare in mkt ormai iper-saturi (x 150 anni nn è mai stato così.. lo sciopero dei candelai avrebbe bloccato gli operai della lampadina).. il declino alternerà quinquenni di moderati alti e forti bassi.. ed aumenterà le differenze.. noi Piigs siamo avanguardie.. declino nn si può fermare ma solo gestire.. noi lo gestiremo molto male perchè 90% popolazione italiana appartiene a uno o più gruppi pressione (elettorali, lobby, corporazioni private e pubbliche).. nostra classe dirigente (politica, industriale, finanziaria ed anche intellettuale/universitaria/baronale economisti inclusi) è lo specchio amplificato della società.. nn è peggio della società.. la percezione inconscia del declino aumenta la paura di massa.. e la paura aumenta l’aggressività con cui si difende la propria fetta ad ogni costo e fregandosene sempre di più della collettività.. ad es. alzi la mano chi in cuor suo nn sa che nn solo nel pubblico ma anche nel privato piccolo e grande il familismo amorale prevale.. gli Stranieri privandoci dell’unica arma che, data la nostra mentalità di massa, avrebbe potuto allungare il brodo (la Stampa) accelereranno nel tempo il nostro declino.. Così Parlò SpeculaThor nè pessimista nè ottimista ma tecnicamente realistà.. Amen