L’argent fait la guerre… et l’energie – di Angelo Spena
Mercato, Consumatori, Regole, Leverage: i convitati di pietra della SEN
Riceviamo o volentieri pubblichiamo da Angelo Spena.
Ho letto il più attentamente possibile il testo della SEN. Il documento, proposto come bozza di consultazione e non come piano assertivo, è formalmente bene impostato: tematiche affrontate con ordine e svolte con metodo. Premesso di nutrire stima per i presumibili estensori del documento e per l’ambiente da cui proviene, non mi soffermerò sulle parti che personalmente ho apprezzato; cercherò qui piuttosto di individuare, tra le note distorsioni e carenze di sistema del comparto energetico italiano, quelle a cui è riconducibile quanto del testo ritengo non condivisibile o contraddittorio. Dunque non critiche al lavoro in sé – semmai al contesto e alla sua storia – ma suggerimenti e considerazioni; tuttavia, al fine della chiarezza, nette.
Aggiungo che avevo cominciato a prendere appunti sul merito di singoli temi specifici, che qui non tratterò; infatti, al procedere della lettura, metodologicamente si avvertono due mani diverse dietro la scrittura della SEN. Giornalisticamente potrei dire che mentre una mano si pone sulla coscienza, l’altra mano la senti frugare nelle tue tasche, ti domandi di chi sia. Più accademicamente, dirò che una mano appare governativa, l’altra della finanza: l’una severa, ministeriale, dirigista, problematica; l’altra proiettata su un futuro di breve termine, europeizzante pro domo sua, che ideologicamente – trincerandosi dietro perifrasi come il “costo inerziale” o la “filiera economica” o eufemismi del tipo “incentivi generosi” (che vuol dire: regalìe? Uno stato può essere generoso con i poveri; ma con i capitalisti?) – svia dall’affrontare la questione del “chi paga e perchè”. Da troppo tempo in Italia nel comparto dell’energia capitale e potere siedono a un tavolo esclusivo dove mercato e consumatori sono convitati di pietra. Mai come oggi si sente la mano pesante delle lobby del momento: basti pensare che la parola “ idroelettrico” – pur sempre la prima fonte rinnovabile! – nella SEN pur tanto attenta alla green economy compare con riferimento all’Italia per la prima volta solo a pagina 84, appena a 30 dalla fine! E non si fa neppure un cenno al fatto – grave – che gran parte degli impianti idroelettrici sta subendo una innaturale e antieconomica “deportazione” dal servizio di punta alla palude dei carichi intermedi, altamente contesi e per i quali non possono essere competitivi. Svendere così i gioielli di famiglia delle rinnovabili! È mercato questo?
Approfondendo, come un’inquietudine prende il sopravvento, suscitata da due progressive percezioni: la prima è che nel documento non ci sia composizione delle due visioni, che rimangono sovrapposte, parallele, di fatto inconciliabili. Forse, volutamente messe a nudo. La seconda è che siano carenti le condizioni perché la strategia possa avere un qualche effetto positivo sulla realtà: non trovo concreta progettualità e innovazione del mercato e delle esigenze di quadro regolatorio, non c’è attenzione sufficiente – al di là dei formalismi – ai diritti e alle limitate capacità di spesa dei consumatori; e soprattutto si stenta a individuare una chiara definizione degli ambiti, degli strumenti, delle risorse finanziarie di lungo termine perché sano sviluppo ci sia. Nessuna sorpresa invece circa la questione della occupazione. Il primo problema da risolvere per uscire dalla crisi è il lavoro. Inutile farsi illusioni: non è nel comparto energia che grandi quantità di giovani e lavoratori hanno un futuro. Senza colpa (giusto due anni fa Stagnaro e Lavecchia calcolarono che per ogni posto di lavoro nell’energia, a parità di capitale se ne potrebbero creare più di 4 nell’economia in generale, e 6 nell’industria) la SEN è inevitabilmente capital oriented piuttosto che employment oriented. Meglio sarebbe allora evitare promesse evanescenti di “occupazione” che non è quella dei contratti nazionali di lavoro, ma delle partite IVA e del precariato. E per carità, evitiamo di credere ciecamente ai pamphlet scritti, commissionati o lautamente sponsorizzati dalle associazioni di settore in giro per il mondo che mirabolano cifre di futuri occupati: se prima si chiedesse loro di rendicontare a consuntivo le previsioni del passato, quanti avrebbero la rispettabilità per riproporsi? Ma andiamo per ordine.
Il mercato. Ha avvertito lucidamente Carlo Stagnaro, che conosce bene la materia, quanto contrasto ci sia nel definire obiettivi quantitativi per le singole fonti di energia, con il fatto che un mercato liberalizzato dovrebbe trovare spontaneamente mix ottimizzanti. L’azione governativa dovrebbe piuttosto implementare il quadro regolatorio e dei vincoli ambientali, paesaggistici, territoriali, strategici, di sistema insomma entro cui svolgere la competizione. Certo, contemperando i tempi caratteristici del sistema, tipicamente lunghi, con quelli di aggiustamento – verosimilmente più brevi – del mix. Aggiungo di trovare al riguardo molto significativo un aspetto del nostro scenario industriale recentemente emerso dall’ultimo rapporto Mediobanca sulle principali società italiane: energia e utilities hanno scalato le graduatorie negli ultimi venti anni, mentre l’industria manifatturiera ha perso peso. In particolare nella graduatoria per fatturato, tra le prime dieci imprese quelle energetiche sono salite da tre a sei negli ultimi dieci anni; e il margine operativo netto (1) delle società energetiche “si muove in controtendenza, con un incremento di oltre tredici punti e mezzo”; nonostante la Robin tax. Anche considerati i timori di un trasferimento occulto di oneri ai consumatori, penso ci sia davvero materia per più d’un approfondimento, e di vigilanza dell’Authority. E riflessione merita anche la proposizione, nella SEN, di uno scenario elettrico incentrato su rinnovabili e gas: per struttura dei costi queste sono fonti che un sistema efficiente, in cerca di allocazione ottima dei fattori produttivi, chiama a copertura delle punte! E il medio carico? E la base? È in gran parte un problema mal posto porre l’accento – e trionfalisticamente: “i due vincitori dello scenario globale” esulta la SEN – su queste fonti. Di fatto, “il documento programmatico è potenzialmente positivo per Snam, Terna e le società rinnovabili” scrive MF.(2) Cari liberisti, non cadete nella trappola. Non arrovellatevi per abbattere i costi delle aragoste o dei tartufi, pensando che siano le sole a dover sfamare tutti i giorni il cittadino medio!
I consumatori. Recita la SEN: “nel settore elettrico l’obiettivo 20-20-20 è stato già praticamente raggiunto con quasi otto anni di anticipo”. L’espressione è anodina. Vediamo da un’altra angolazione: mancano 8 anni, ma si è partiti solo 4 anni fa (il pacchetto clima-energia è stato varato dalla UE nel dicembre 2008). Obiettivo raggiunto in meno di 4 anni su 12, cioè a velocità del 300 per cento! Indice di superumana efficienza, o di ingordigia sprezzante dell’interesse del Paese? Purtroppo, il peggiore dei sospetti è fondato. Nel settore delle rinnovabili l’energia prodotta dalla unità di potenza installata, la cosiddetta producibilità (ore annue piene di sfruttamento del vento o del sole) è indicatore principe e senza appello della bontà dell’investimento. E qui, sinceramente, spiace e delude la reticenza della SEN. Tutta impostata sui bilanci di energia – come è corretto – è avara di informazioni circa la potenza. Non consente di calcolare la producibilità attuale, né quella prospettica. Se tuttavia utilizziamo i dati GSE relativi al 2011, considerando per la potenza la semisomma dei valori a inizio e fine anno, siamo a 1.470 ore/anno: quattro ore al giorno. La media ponderata europea (nonostante l’Italia, che pesa) supera (dati IEA) le 1.700 h. Perché non riusciamo a fare di meglio? “Energia: siamo i primi negli incentivi e gli ultimi nella ricerca” titolava il Corriere della Sera(3) riportando uno studio dell’I-Com di Roma. Ma questa della ricerca negata nel precipitoso mordi e fuggi e della mancata selezione delle filiere virtuose, purtroppo, è un’altra storia. E ora è tardi: “se neppure l’industria tedesca sembra capace di arrestare questo fiume in piena, cosa potrebbe una nascente filiera italiana?” intuiva Nino Tronchetti Provera circa la calata dei Cinesi già nel 2011.(4)
Considerati allora i costi esorbitanti, i danni diretti (lo spiazzamento del parco termoelettrico CCGT tra i più efficienti al mondo), quelli indiretti (le congestioni della rete), le diseconomie collaterali al sistema energetico (lo spiazzamento della fonte rinnovabile idroelettrica, senza neanche il beneficio di risparmiare CO2!), come può essere la situazione sfuggita al controllo? Scusate ma bisogna capire, per non ripetere l’errore. Cinque conti energia dal 2006 al 2012, praticamente un tavolo negoziale sempre aperto. Chi c’era al tavolo? E da che parte stava? C’è stato ascolto per le associazioni dei consumatori? Erano state correttamente informate? Perché il crescendo è stato esponenziale: nell’aprile del 2011, quando la situazione era forse ancora controllabile (per il solo fotovoltaico, 3,84 miliardi di €/anno di sussidi a fronte di 8 GW efficienti) scrissi che incrementi annui di potenza installata, tetto annuo (cap) alla spesa per incentivi, ratei di decrescita degli incentivi – tre variabili mutuamente dipendenti – non andavano fissate indipendentemente l’una dall’altra perché solo poche combinazioni di valori erano compatibili. Furono fatte invece, contro ogni razionalità, tutte le tre azioni sollecitate dalle associazioni di settore, e il tetto alla spesa annua è saltato: i prefissati 6 miliardi di euro sono stati raggiunti e superati non nei previsti tre anni, ma in meno di uno!
Quasi tutto questo essendo eredità dei passati governi, la SEN appare impotente di fronte alla gravità della situazione; sembra anzi chiedere subliminalmente aiuto rilanciando una quadratura palesemente impossibile: “l’obiettivo è di sviluppare le rinnovabili elettriche fino al 36-38% dei consumi finali e potenzialmente oltre” … “nel far questo si vogliono contenere i costi in bolletta per i consumatori” … “complessivamente per il raggiungimento degli obiettivi al 2020 vengono messi a disposizione un totale di circa 12,5 miliardi l’anno (dai 9 miliardi che erano già stati impegnati a fine 2011)”. E’ urgente un chiarimento, e un ravvedimento. I pannellisti fotovoltaici hanno avuto fino a ieri il legittimo interesse a lucrare quanti più sussidi possibile; oggi hanno l’obiettivo, altrettanto legittimo (per loro) di arrivare “lunghi” a vent’anni di installazioni (poco oltre il 2020) per poter agganciare il mercato dei rinnovi a fine vita. I governi del passato avrebbero dovuto avere fino a ieri l’obiettivo di soppesarne le pretese: non l’hanno fatto, e i buoi sono scappati. I governi d’oggi hanno il dovere di effettuare un rapido – e definitivo – rientro nell’ordinario: perseverare sarebbe diabolico. Trattasi infatti di complessivi 240 miliardi di euro per investimenti in impianti rivelatisi poco efficienti, concentrati in pochi anni (e di cui a spanne la metà sono flussi di capitale all’estero per acquisto di pannelli, aerogeneratori e servizi: 6,57 miliardi di euro verso la sola Cina negli anni 2010 e 2011 per pannelli fotovoltaici), sussidiati per 20 anni a 210 euro l’anno pro-capite. Un business anche inquietante, sottratto al controllo della magistratura contabile in quanto posto a carico delle bollette elettriche e non dell’erario. E’ un budget irricevibile, dai numeri impressionanti: tanto per un qualche riscontro, il costo totale previsto per il ponte sullo Stretto è di 8,5 miliardi di euro; il costo stimato della corruzione in Italia è di 60 miliardi l’anno.(5)
Il quadro regolatorio. A mio parere qualsivoglia quadro strategico di quelle che intendo come le opportunità e i monitoraggi per il mix nazionale delle fonti di energia, non può prescindere da un osservatorio terzo rispetto ai player, agli stakeholder e ai decisori: “il primo obiettivo di una regolazione moderna consiste nella definizione di un insieme di regole volte a capacitare i diversi attori, così da allineare il perseguimento dei loro legittimi obiettivi individuali all’interesse del sistema nel suo complesso e a quello dell’insieme dei consumatori in particolare … affiancando una fase ex-post nella quale monitorare e garantire il rispetto delle regole attraverso le opportune azioni di enforcement”, parole più che mai attuali del presidente AEEG Guido Bortoni.(6) C’è poi un’altra questione di fondo. In Europa, nelle sole infrastrutture energetiche (reti elettriche, del gas, accumuli, teleriscaldamento) la UE prevede nei prossimi dieci anni di spendere più di 200 miliardi di euro. La gran parte dovrà convergere da investitori privati, che dovranno trovare remunerativo operare all’interno di un sistema di regole complesse dei mercati del gas e dell’elettricità, diverse da Paese a Paese. E poiché molte infrastrutture sono transfrontaliere, si pone aggiuntivamente il problema della definitiva armonizzazione intereuropea dei quadri regolatori. Al riguardo l’Italia è interessata, per la sua morfologia e posizione, a ben cinque dei nove corridoi prioritari: 2 per l’elettricità e 3 per il gas. Una ragione in più perché tempestivamente il Governo Monti – disgiuntamente dai tempi e dalle liturgie cui la SEN sarà soggetta – lasci in eredità una soluzione lungimirante per il sistema-Paese altrimenti difficilmente sperabile dalla politica, affrontando il problema del finanziamento delle grandi infrastrutture. Non entro qui nella dotta disputa su IRI e CDP. La Cassa Depositi e Prestiti c’è, ha una storia: un’ipotesi sarebbe quella di adottare tutte le cautele necessarie perché non perda la sua indipendenza e rimanga fuori dal perimetro della pubblica amministrazione, attrezzarla di professionalità adeguate (dove è il patrimonio unico al mondo di esperti e banche dati per la due diligence industriale che furono di IMI e Mediobanca?) e conferirle la mission di farsi garante, verso i cittadini di competenza e autonomia, e verso la UE di capacità non solo finanziaria ma anche tecnica. Per quanto riguarda l’energia, magari con l’aiuto dell’Authority, a garanzia di terzietà.
Leverage. Su tenace insistenza del presidente Barroso che dal 2009 caldeggia la istituzione di Energy Project Bonds, la scorsa estate 2012 il Consiglio e il Parlamento Europeo hanno finalmente lanciato una sia pure piccola tranche pilota di Bond per progetti in energia, trasporti e ICT, gestiti da BEI. Con un capitale di 230 milioni di euro, si prevede di indurre investimenti fino a oltre 4 miliardi di euro. E’ un esempio di via pertinente e corretta. Anche in Italia la spesa pubblica dovrebbe concentrarsi a stimolare leverage elevati da investitori privati. Abbandonando il pernicioso e ipocrita ibrido dei sussidi sì, ma non di stato: cioè dei cittadini ricattati quando accedono a un servizio essenziale quale la luce o il gas, o delle imprese quando hanno bisogno di energia. Lo stato diventi serio e smetta di fare come Ponzio Pilato: no, dall’erario no, ma dalle tasche vostre sì. E riconosca il suo conflitto di interessi, quando impone in bolletta i sussidi ma recupera l’IVA dagli investimenti sussidiati, assicurandosi questa subito per cassa e lasciando scoprire ai consumatori il salasso solo nel lungo termine. Perché la sicurezza energetica sia in buone mani, il quadro delle regole dovrà però attrarre investitori di lungo termine. Il comparto dell’energia è ad alta intensità di capitale e traguarda al lungo periodo: non può affidarsi a player che giocano con le regole del breve termine. Quando nel corso dell’ultima legislatura fu avviato il piano nucleare, Enel costituì una società (SNI, Sviluppo Nucleare Italiano) con EdF, assunse decine e decine di giovani ingegneri, li spedì in Francia a studiare sul campo (Tricastin, Flamanville), investendo 50 milioni di euro (più i dieci con cui ha dovuto ahimè liquidare il socio dopo l’azzeramento del programma). A prescindere dal merito della vicenda, segnata dalle conseguenze del disastro di Fukushima, sotto il profilo del modo di operare un venture capitalist o un private equity avrebbe fatto lo stesso? O invece di assumere e acquisire know-how sarebbe corso a reinvestire in attività finanziarie a breve? Come abbiamo sopra constatato, nonostante lo scenario energetico italiano sia stato violentemente stravolto dalle rinnovabili del sole e del vento, non abbiamo oggi in Italia né un’industria, né know-how, né R&S che siano degni di questo nome. Anzi parte delle poche imprese manifatturiere – si possono fare i nomi – già chiudono. Decine di miei laureati, addestrati a fare ricerca, sono stati chiamati a lavorare nel fotovoltaico per assiemare e vendere pannelli tedeschi prima, cinesi poi, e per intermediare. Erano avvertiti: “gran parte di queste tecnologie non appaiono meritevoli di incentivazione né commerciale né industriale, per la evidente ragione che, tal quali, non sono in grado di innescare alcun circolo virtuoso” scrissi nel settembre del 2009; e “se non saranno incentivi per sempre, sarà cassa integrazione; e viceversa” nel marzo 2011. Avrei voluto, e vorrei ancora essere, davvero, cattivo profeta.
Cosa possiamo aspettarci per il futuro? Che tutto continui come negli ultimi anni, senza vero mercato, senza tutela dei consumatori, in balìa del turbocapitalismo? Usque tandem? In chiusura la SEN, trattando di governance, auspica la controriforma del titolo quinto della Costituzione, quell’art.117 che elimini la legislazione concorrente. Un modo – tra l’altro – per ridurre la dispersività e per tentare di avere quella visione d’insieme la cui mancanza ha concorso a permettere le distorsioni più aberranti degli ultimi anni. E propone di “rafforzare la consultazione con gli stakeholder nazionali”, in quanto “spesso le associazioni di settore italiane svolgono azioni di lobby nei confronti dei soggetti comunitari, creando situazioni di promozione di interessi di settore a scapito dell’interesse generale del Paese”. Illuminante. Voce … dal Sen fuggita: il cerchio si chiude a Bruxelles? Purtroppo, così lo stato appare, più che dirigista, eterodiretto. E l’inquietudine iniziale giustificata. Ben venga allora una discussione su questa enigmatica e insieme rivelatrice SEN specchio dei tempi, volino gli stracci, si sveglino le associazioni a tutela dei consumatori, delle imprese energivore, si scaldino i mercatisti e i liberisti. Per rimanere al francese del titolo, au hazard, Balthasar!
- G. Oddo, “L’industria perde colpi e aumenta i debiti”, Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2012.
- E. Maiucci, “Ecco chi guadagna (e chi no) dal piano energetico del governo”, Formiche, 18 ottobre 2012.
- G. Caprara, Corriere della Sera, 30 agosto 2011.
- N. Tronchetti Provera, “Piano energetico una priorità oltre la polemica politica”, Corriere della Sera, 1 giugno 2011.
- Int’l Herald Tribune, “Lack of safeguards enables Italy corruption, report says”, March 31, 2012.
- G. Bortoni, Relazione annuale AEEG, Roma, luglio 2011.
Mi tolgo il cappello. Analisi semplicemente perfetta. Speriamo che i consumatori e le imprese energivore facciano sentire finalmente la loro voce, magari aiutati da quei quattro gatti di noi mercatisti e liberisti. Perché ormai lo “Stato – Ladro – Tassicodipendente” li ha abbandonati a se stessi, avendo fatto ormai la sua scelta, tutta pro domo sua.
@Mike
Concordo e mi permetto di segnalare questa iniziativa:
http://conferenzaenergia.wordpress.com/
Spena all’ambiente, subito. A spiegarlo a quelli che il povero Amaldi chiamava semplicemente “ignoranti”.
Semplicemente fantastica questa dotta analisi dell’amico Prof. Angelo Spena.
E’ un’analisi questa che dovremmo poter sentire, per capitoli, spiegata e dibattuta nelle scuole di tutta la Penisola e nei numerossimi talk-show, dove spesso si blatera sul tema dell’energia e dell’ambiente in maniera del tutto inadeguata, strumentale e demagogica.
Un’unica nota: in tutto il documento non è stato scritto neppure una sola volta il vocabolo: “carbone”, la cui solidità però aleggiava come il tipico “fantasma” in varie parti del dotto documento. Ma sapendo quanto l’amico Spena apprezzi la complementarietà di questo combustibile, in uno scenario davvero diversificato ed equilibrato come necessita primariamente all’Italia, non ho dubbi che non mancherà di ricordarne l’importanza in un prossimo documento che, ne sono sicuro, chi ha avuto la fortuna di leggere quanto sopra, non mancherà di auspicare ed attendere con impazienza.