L’algebra di Maastricht e il Club Mediterranée
Al recente Ecofin è stata presentata una proposta molto semplice per garantire precisi percorsi di rientro dagli elevati rapporti debito pubblico/Pil che caratterizzano diversi paesi dell’Unione, tra i quali in primo luogo l’Italia: gli stati con un rapporto debito/Pil superiore al 60% dovranno ridurre l’eccedenza del proprio dato rispetto al 60% di almeno un ventesimo all’anno. In caso di inadempimento scatterebbero sanzioni automatiche piuttosto drastiche. Per l’Italia, destinata a breve a raggiungere il 120% nel rapporto debito/Pil l’approvazione di questa regola comporterebbe tappe annuali di riduzione del 3% (le più elevate tra gli stati, assieme alla Grecia): nel primo anno di applicazione dovrebbe quindi scendere al 117%, nel secondo al 114% e così via.
E’ interessante notare che questa regola non richiede di portare il bilancio pubblico in attivo o in pareggio neppure agli stati caratterizzati, come l’Italia, da bassa crescita del Pil ed elevatissimo stock di debito rispetto al Pil. Essa è quindi meno impegnativa rispetto alla regola che la Germania si è data da sola e ha inserito nella sua carta costituzionale: il vincolo del pareggio di bilancio che decorrerà tra quattro anni (come ha ricordato Oscar Giannino). Per quanto riguarda le conseguenze specifiche sul saldo del bilancio pubblico che essa ammette, occorre fare ovviamente delle ipotesi sulla dinamica del Pil. Assumiamo, per semplificare i calcoli, che nell’anno base il Pil italiano sia uguale a 100 e il debito pubblico a 120. Ipotizziamo anche che nell’anno successivo, il primo dell’applicazione della regola, il Pil salga a 103. Un aumento del 3% in termini nominali è plausibile negli anni post recessione: potrebbe ad esempio derivare da un incremento dell’1,2% in termini reali e da un deflatore del Pil (la componente prezzi) all’1,8%. In presenza di un Pil pari a 103 l’obiettivo del rapporto debito/Pil al 117% si raggiunge con un ammontare del debito pubblico pari a 120,5 (infatti 120,5 diviso 103 è uguale a 1,17). Il fatto che il debito pubblico possa aumentare da 120 a 120,5 conferma che non è necessario portare il bilancio pubblico in attivo e neppure in pareggio. Esso può anzi restare in disavanzo purché sia estremamente moderato: solo mezzo punto percentuale rispetto al Pil. Purtroppo per arrivarci bisogna partire dai cinque punti di disavanzo dell’anno corrente e recuperarne quattro e mezzo.
Formuliamo anche un’ipotesi più ottimistica, una crescita del Pil nominale del 4% (ad esempio derivante da crescita reale del 2% e da deflatore al 2%): in tale ipotesi l’obiettivo del rapporto debito/Pil al 117% si raggiunge con un ammontare del debito pubblico pari a 121,7 (infatti 121,7 diviso 104 è uguale a 1,17) ed è ammissibile un disavanzo pubblico pari a poco più di un punto e mezzo di Pil (stiamo anche assumendo che il fabbisogno del settore pubblico, differenza tra tutte le uscite monetarie di un periodo e tutte le entrate, il quale fa crescere il debito coincida col disavanzo del conto consolidato). Formuliamo infine un’ipotesi ancora più ottimistica, una crescita del Pil nominale del 5%: in tale ipotesi l’obiettivo del rapporto debito/Pil al 117% si raggiunge con un ammontare del debito pubblico pari a 122,9 (infatti 122,9 diviso 105 è uguale a 1,17) ed è ammissibile un disavanzo pubblico di pochissimo inferiore al 3% del Pil.
A questo punto è possibile riepilogare due fatti di rilievo: 1) la regola proposta all’Ecofin è meno stringente del pareggio costituzionale tedesco poiché ammette disavanzi, anche se lievi; 2) la regola è tanto meno stringente quanto più un paese si dimostra in grado di far crescere la sua economia. Rimane una domanda: in che relazione si pone questa nuova regola rispetto alla vecchia regola di Maastricht di disavanzi non superiori al 3% del Pil?
Per rispondere bisogna fare un passo indietro, al famoso trattato del 1992 il quale aveva introdotto le due regole auree del rapporto debito/Pil non oltre il 60% e del disavanzo/Pil non oltre il 3% . La nuova proposta all’Ecofin riconferma con enfasi la prima e sostituisce la seconda con i venti gradini annuali di rientro. Fa la cosa giusta? A mio avviso si; vediamo perché. Come si fa a raggiungere nel tempo l’obiettivo del debito/Pil al 60% (che è evidentemente obiettivo non di breve ma di medio/lungo periodo)? Un modo molto semplice potrebbe essere il seguente: teniamo anno dopo anno sempre al 60% il rapporto tra la variazione annuale dello stock del debito e la variazione del Pil nominale. La prima grandezza, tuttavia, è il fabbisogno del settore pubblico (che noi abbiamo ipotizzato coincidere col disavanzo). Se dividiamo ambedue le grandezze per il Pil nominale otteniamo la seguente regola aurea: per raggiungere nel lungo periodo un rapporto debito/Pil al 60% è sufficiente mantenere al 60% ogni anno il rapporto tra il disavanzo/Pil e il tasso di crescita del Pil nominale. Così se il Pil nominale cresce del 5% all’anno il disavanzo/Pil non deve eccedere il 3%, se il Pil cresce al 4% il disavanzo/Pil non può eccedere il 2,4% e se il Pil cresce al 3% il disavanzo/Pil non può eccedere l’1,8%.
Purtroppo il trattato di Maastricht non ha formulato la regola sul deficit/Pil in questa forma flessibile, ma la ha fissata al tetto del 3% ipotizzando implicitamente che fosse plausibile nel tempo una crescita del Pil nominale al 5% annuo. In questo modo è stato compiuto un errore: nel tempo l’Unione ha verificato anno per anno che i singoli paesi rispettassero la regola del 3% ma per i paesi la cui crescita del Pil nominale è risultata inferiore al 5% l’adempiere a questa regola non è stato in grado, ne poteva, condurli all’obiettivo del 60% nel rapporto debito/Pil. Ad esempio, un paese il cui Pil nominale cresce sempre al 3% annuo e rispetta sempre la regola del 3% nel rapporto deficit/Pil converge nel tempo ad un rapporto debito/Pil del 100%, ben più elevato del 60% richiesto dal trattato di Maastricht (e questo è stato all’incirca il caso dell’Italia in questo decennio).
A questo punto si è compreso il senso della proposta formulata all’Ecofin: correggere un rilevante errore contabile nelle regole del trattato e fare in modo in futuro che il processo di convergenza verso un valore ritenuto sostenibile nel rapporto debito/Pil sia realizzato da tutti i paesi, indipendentemente dallo loro crescita economica. Espresso in altri termini: impedire che i paesi a bassa crescita, come l’Italia, possano sfuggire a tale processo di risanamento.
La proposta ha trovato l’opposizione di Tremonti e della francese Christine Lagarde, che il Financial Times collocava un anno fa rispettivamente al quarto e primo posto tra i migliori ministri economici dell’Unione. Non ne hanno capito la ratio? O hanno preferito fare orecchie da mercante (anzi da rappresentante di paese dell’evidentemente ricostituito Club Mediterranée)? Difficile credere alla prima ipotesi. Ma in questo modo si perde un treno importante per il risanamento della finanza pubblica italiana, la possibilità di un vincolo esterno pesante, una ragione per dire come nel 1996: “dobbiamo farlo perché l’Europa ce lo impone”.
Non si può non essere d’accordo con Oscar: “Credo che l’Italia avrebbe dovuto coraggiosamente fare una scelta diversa. Abbracciare l’idea di essere pronta a far scendere il proprio debito pubblico anche di 3 o 4 punti l’anno come regola standard per diversi anni: avrebbe imposto nuove dismissioni di patrimonio pubblico, e operazioni straordinarie sul debito che sono assolutamente necessarie oltre che più che possibili, senza ricorrere a finanza creativa … In più, l’alleanza coi Paesi seri e rigorosi avrebbe levato argomento alle pretese tedesche di essere unico pivot di quest’Europa senz’anima, che con regole deboli resterà ancor più debole e con minor crescita, peggio esposta ai venti del’instabilità e priva ancor più di una politica di stabilità non solo comune, ma, soprattutto, davvero operante”
Al netto del problema economico che hai illustrato molto bene, a livello giuridico sarebbe interessante capire che tipo di “proposta” sia quella dell’Ecofin, ovvero se si vada verso una revisione (semplificata?) dei Trattati. Hai per caso un link al documento dei Ministri delle Finanze UE?
Articolo interessante però io resto molto scettico!
1-E’ vero che il debito/pil può ridursi anche senza un pareggio di bilancio ma per farlo occorre far crescere l’economia ovvero approvare tutta una serie di riforme per le quali c’è almeno la stessa resistenza e ostilità dell’opinione pubblica rispetto ai tagli di spesa! Se non sono realistici sani e strutturali tagli di spesa lo stesso vale anche per le riforme dato il contesto socio-economico-politico di oggi in Italia…perciò addio extracrescita e addia rispetto dei parametri. nell’articolo si parla di alta crescita sull’onda della ripresa post recessione ma tale crescita non credo sarà sostenibile per 20 anni…e qualche recessione in futuro ci sarà perciò va comunque diminuita e parecchio la spesa….Io scrivevo che l’Italia avrebbe dovuto creare avanzi di bilancio perchè davo per scontata la bassa crescita, ovvero pensavo più probabili i tagli lineari di spesa contro gli statali che non votano il governo rispetto alle grandi riforme, ammesso che questo governo sappia di cosa si tratta, cosa di cui dubito molto. Vedo che Lei invece ritiene il governo all’altezza di fare queste riforme che da 16 anni promette e non realizza (a parte quella della giustizia a suo uso e consumo)…tanti auguri! Da investitore non ci scommetterei un centesimo!
2-E’ singolare che, come questo caso dimostra, su questo blog vari autori, specialmente Giannino, scrivano una lista di cose che il governo e in particolare in ministro del tesoro dovrebbero fare, in realtà Tremonti fa l’esatto contrario ma, contro ogni logica, viene continuamente lodato e imbrodato! Mi pare un filino contraddittorio: o il nuovo patto è ok e allora Tremonti ha sbagliato oppure non è ok e Tremonti ha fatto giusto! Sbaglio? Perchè tutta questa accondiscendenza/sudditanza verso un pallone gonfiato come Tremonti, che metà delle volte non si capisce neanche quello che dice?? Boldrin docet!
Ottimo l’articolo di U. Arrigo! Per completare il quadro, vorrei solo ricordare l’inizio della storia, la filosofia (e le ipotesi) sottese al Trattato di Maastricht.
All’epoca del trattato, Francia e Germania avevano un debito del 50% del PIL, che tendeva a crescere (la RFT aveva appena inglobato la RDT). I due paesi fissarono un tetto al loro debito pubblico: il 60% del PNL. Questo tetto non era un traguardo virtuoso; era la semplice fotografia della loro situazione, tendente al peggioramento.
Il tasso d’interesse a medio termine allora era all’incirca il 7%; quindi, l’onere del servizio degli interessi era il 4,2% del PNL (7 x 60% del PIL = 4,2% del PIL). Peraltro, il 4,2% era circa un decimo della pressione fiscale media nei due paesi (42% circa). E si pensava di non poter andare oltre.
Come stabilizzare al 60% del PNL il debito?
Supponendo una crescita reale del 2,5% e una crescita nominale del 5% (che scontasse quindi un tasso di inflazione del 2,5%), se il deficit annuo non avesse superato il 60% dell’incremento nominale del PNL (il 5%) – corrispondente al 3% del PNL nominale – il debito pubblico non avrebbe superato il 60% del PNL.
È questo l’arcano del 3%, diventata Tavola della Legge
Ma, come ricorda Arrigo, tutto ciò si basava su delle ipotesi:
1) che vi fosse un incremento reale del PNL del 2,5% annuo;
2) che il tasso d’inflazione si stabilizzasse al 2,5%.
Né la situazione, né le prospettive italiane dell’epoca potevano essere rappresentate da questa ‘filosofia’ franco-tedesca. Per l’Italia erano comunque le tre Cime di Lavaredo, quand’anche la nostra classe politica fosse stata la più capace e virtuosa (qualità sconosciute dalle nostre parti)!