11
Giu
2011

L’acqua e l’abuso del referendum. Di F. Bassanini

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Franco Bassanini, scritto originariamente per i siti www.firstonline.it e www.astrid.eu.

I due referendum “sull’acqua” rappresentano – purtroppo –  un pessimo esempio di abuso di una importante istituzione democratica quale è il referendum abrogativo. E’ molto probabile che la stragrande maggioranza degli italiani voteranno Si o NO nella convinzione di decidere se l’acqua deve restare un bene comune pubblico o no. Lo stesso titolo del primo dei due referendum  (“referendum sulla privatizzazione dell’acqua”) conforta questa convinzione.

Ma non è così. Il referendum abroga le disposizioni del decreto Ronchi-Fitto sulla liberalizzazione di un vasto numero di servizi pubblici locali: i più rilevanti sono quelli di trasporto locale, di captazione, depurazione e distribuzione dell’acqua, di raccolta e smaltimento dei rifiuti. In più il decreto Ronchi-Fitto stabilisce in modo esplicito che l’acqua è un bene pubblico, che pubbliche sono le relative infrastrutture (acquedotti, depuratori), e che alle istituzioni pubbliche spetta fissare le tariffe. L’acqua resta un bene comune e gratuito; si paga il servizio che la capta, la porta nelle case o nelle fabbriche, la depura. Il prezzo lo fissano i Comuni (oggi), l’Agenzia pubblica dell’acqua (domani). La stessa cosa avviene nello smaltimento dei rifiuti e nel trasporto locale (le strade cittadine restano pubbliche, e non si paga per camminarci sopra, si paga il trasporto sull’autobus, il prezzo è determinato dal Comune).

Dunque gli effetti del referendum: a) non riguarderanno solo l’acqua, ma anche molti altri servizi; b) non riguarderanno la natura del bene acqua e la sua proprietà, ma la gestione dei servizi.

Secondo il decreto Ronchi-Fitto, questi servizi (acqua, rifiuti, trasporto, ecc.) dovranno essere attribuiti in concessione (per un periodo predeterminato) alle imprese, pubbliche o private, che vinceranno apposite gare: vinca il migliore. Agli enti locali spetterà definire le condizioni e gli standard dei servizi (nei capitolati di gara e poi nei contratti di servizio) e controllare che siano rispettati (altrimenti potranno imporre multe o perfino revocare la concessione). Questa è la regola: la stessa che ispirò i precedenti tentativi di riforma, targati Giorgio Napolitano (I Governo Prodi) e Linda Lanzillotta (II Governo Prodi), entrambi non arrivati in porto. L’idea di fondo è che la gestione di questi servizi debba essere fatta da aziende industriali esperte e attrezzate: non importa se pubbliche o private o a capitale misto; importa scegliere le più efficienti, quelle che assicurano i servizi migliori a costi più bassi. E il meccanismo delle gare consentirà appunto di scegliere le imprese più efficienti. E costringerà tutti, a partire dalle imprese pubbliche, a migliorare la loro efficienza e a rinunciare a superprofitti, altrimenti perderanno le gare. Agli enti locali spetterà definire le condizioni e gli standard dei servizi e controllare che siano rispettati (altrimenti potranno imporre multe o perfino revocare la concessione).

Quanto al secondo quesito, l’obbligo di tener conto, nella fissazione della tariffa, dell’ ”adeguata remunerazione del capitale investito” non è a favore del profitto dei privati, dato che l’impresa che vince la gara potrebbe essere pubblica; ma è la condizione per potere fare gli investimenti necessari nel settore. Si trovano investitori (o anche finanziamenti dalle banche e da CDP) solo se si remunerano i capitali o i finanziamenti.

I referendari dicono che così si apre la strada alla speculazione e a superprofitti. Ma non saranno i privati a determinare le tariffe  ma l’Agenzia pubblica per l’acqua, un organo indipendente. Dunque le tariffe terranno conto dei costi di gestione del servizio, di manutenzione degli impianti, e della remunerazione degli investimenti e dei finanziamenti necessari. Peraltro il meccanismo delle gare consentirà di scegliere le imprese più efficienti, quelle che assicurano i servizi migliori a costi più bassi.

E’ vero che il decreto Ronchi-Fitto prevede anche (discutibili) eccezioni. La possibilità di una gestione pubblica diretta, se i Comuni dimostrano che ci sono valide ragioni per scegliere questa ipotesi (quella che i referendari vorrebbero generalizzare); e la possibilità di lasciare in vita (temporaneamente) le attuali concessioni di gestione in affidamento diretto (attribuite senza gara), in tal caso garantendo che i privati abbiano una partecipazione significativa, in grado (forse) di resistere alle pressioni clientelari e alle esigenze di spartizione che spesso appesantiscono la gestione pubblica. Ma si tratta di eccezioni, limitate o transitorie, rispetto al principio della liberalizzazione e della competizione.  Un referendum limitato a queste eccezioni avrebbe meritato il SI di tutti. Non un referendum che abroga la regola virtuosa e salva le eccezioni.

Aggiungo che i sostenitori del referendum non hanno mai dato risposta ad una obiezione: gli effetti di un eventuale successo del SI sulla finanza pubblica. Se  vinceranno, si creerà un vuoto normativo che andrà colmato. Secondo i promotori del referendum bisognerebbe tornare alla gestione pubblica di questi servizi: sarà difficile contrastare questa richiesta legittimata dal voto popolare. Ora, gestione pubblica in house nell’acqua, nei rifiuti e nel trasporto locale (e in altri settori minori),  significa che gli investimenti necessari (120/140 miliardi stimati nei prossimi 10 anni, nei tre settori) dovrebbero essere finanziati dagli enti locali, sui loro bilanci. Ma gli enti locali sono alla canna del gas, e il Patto di stabilità europea vieta loro di prendere altri soldi a prestito, anzi impone di ridurre il debito pubblico di 3 punti all’anno (sul PIL). Dunque: o non si faranno più gli investimenti e le città rischiano di restare senza acqua e sommerse dai rifiuti; o si toglieranno risorse essenziali ad altri servizi (scuola, assistenza agli anziani, asili nido, manutenzione delle strade, ecc.) che non si possono affidare in concessione a imprese pubbliche o private; o si aumenteranno vertiginosamente le imposte locali, per pagare in anno per anno gli investimenti dell’anno.  Non so quale delle tre ipotesi è peggiore: sono tutte disastrose.

Aggiungo che nel caso dell’acqua, che è un bene scarso, la fiscalizzazione anche parziale dei costi del servizio e degli investimenti incentiverebbe gli sprechi; si pagherebbe infatti in proporzione al reddito dichiarato, non al consumo; e un pensionato o un lavoratore dipendente a reddito fisso pagherebbero anche l’acqua della piscina dell’immobiliarista o del finanziere evasore!

Tutto ciò è ignorato dalla stragrande maggioranza degli elettori: a questa colossale disinformazione hanno contribuito i promotori del referendum, che sanno di poter vincere e convincere solo manipolando la realtà dei fatti e delle norme; e molti esponenti dei partiti, che nel referendum vedono solo uno strumento di lotta politica. Tanto che contro la liberalizzazione si è schierato il PD, che delle liberalizzazioni (anche nel settore delle public utilities) aveva fatto la sua bandiera (da Napolitano a Bersani) nei precedenti 15 anni.

Per queste ragioni credo si debba fare di tutto per far fallire il referendum. In condizioni normali voterei NO, convinto che le forti ragioni della liberalizzazione dei servizi possano prevalere. In queste condizioni, con sofferenza, sceglierò di non ritirare le due schede “sull’acqua”: anche perché l’ acqua non è acqua pura ma,  in questo caso, un miscuglio maleodorante di acqua, rifiuti, metropolitane e autobus, manutenzione dei giardini e pulizia delle scuole.  E quasi nessuno lo sa!

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10 Responses

  1. Bassanini lamenta il cattivo utilizzo di uno strumento democratico, perché può essere utilizzato dai partiti in modo improprio. Si è mai posto il problema, Bassanini, di come modificare uno strumento così importante, tanto da farlo diventare un qualcosa di positivo? NO. Basterebbe proporlo con il modello alla tedesca : basta un quorum del 25% e con una semplice vittoria o del “si” o del “no”. In questo modo non si esorta la persone a disertare il voto ma entrambe le posizioni avranno, come logico, il totale interesse a far capire alla gente ( che non è ignorante!) le motivazioni. Sarà interesse delle parti cercare di convincere i titubanti ecc. In questo modo il sistema democratico diventa attivo, partecipante e vivace…poi vince la maggioranza…come sempre! La differenza con il nostro quorum e l’utilizzo all’italiana è che non è importante “spiegare” ma convincere le varie “fazioni” ad andare a votare semplificando, demagogicamente, gli argomenti trattati. Si badi che in Germani, con il quorum al 25% si raggiunge, tutte le volte, un elevata partecipazione degli aventi diritto al voto.

  2. Andrea Chiari

    Possibile che in un contesto di dichiarato nascente federalismo queste regole le debba fissare a livello centrale lo stato? E se le Regioni, e gli enti locali, su questa materia si regolassero come vogliono, lasciando il giudizio delle scelte ai loro elettori? Sicuramente avremmo una pluralità di esperienze da valutare. Si parla di Parigi, di Berlino, se ho capito bene, ma queste sono grandi municipalità, non sono nazioni. Perchè mettere sempre della camicie di forza a un paese così grande e così vario?

  3. goldberry

    A questo punto mi chiedo perchè non facciano un referendum per decurtare del 90% le retribuzioni dei parlamentari. Questo sì che attirerebbe un sacco di elettori. Altro che nucleare e acqua.

  4. Sergio

    Basta con questa litania delle gare per l’affidamento che risolvono ogni cosa. Le gare concrete, quelle che realmente hanno luogo nel nostro paese, sono ben altra cosa da questo meccanismo perfetto e virtuoso. Sicuramente l’esternalizzazione dei servizi è utile per risparmiare rispetto alla gestione diretta (in media) ma tutto il resto (la qualità del servizio, i benefici per gli utenti, ecc.) sono in larga parte balle.
    Mi piacciono analisi più ciniche non questa melassa ideologica

  5. Luciano Pontiroli

    @Sergio
    Ma chi sei? Franco Bassanini ci mette nome, cognome, reputazione,esperienza politica e scienza giuridica. Tu ci metti solo chiacchiere da bar, anche se credi di essere un progressista sei solo un qualunquista.

  6. Giovanni Bravin

    Sig. Bassanini: Gran parte dei quesiti referendari riguardano un singolo articolo e non la legge nella sua totalità. Già qui avrei da dire. Sui quesiti inerenti all’acqua, ipocriticamente, vengono nascosti altri temi importanti. La privatizzazione dell’acqua addosserebbe alle ditte private tutta le gestione e manutenzione inerente. Un bel colpo di spugna sulle municipalità, TUTTE, che hanno sperperato la risorsa idrica in questi anni. In varie percentuali, l’acqua è persa nella distribuzione, arrivando a percentuali altissime in provincia di Agrigento. Alcuni capipartito ci suggeriscono di non andare a votare. Questo loro comportamento è sbagliato, perchè loro devono andare alle urne, per dare il buon esempio e giustificare la paghetta che ricevono come parlamenteri. Ma evidentemente è meglio che tutti ci rechiamo a votare, quando si tratta di eleggerli ed assicurare loro un’entrata fissa. Ma i referendum non portano ed assegnano cadreghini! Anche per questo motivo, le opere pubbliche, fatte sotto terra (fognature, servizi idrici, etc.) portano pochissimi voti perché non si vedono, mentre palazzetti dello sport, piscine e quant’altro, sovradimensionate e molto spesso incompiute portano voti al politico di turno.

  7. Andrea

    @Sergio
    Concordo: la teoria che ispira questo blog è molto affascinante e quasi messianica nell’invocazione del mercato, ma molto teorica: sembra (ma dico: sembra) non si sappia come funziona concretamente la politica. Magari fossero solo chiacchiere da bar! Di certo non è solo in Italia che la politica funziona in questo modo, anzi direi che l’orizzonte a breve termine sia frequente nellao scontro politico, e per questo è importante che funzioni “il sistema” anziché affidarsi ai singoli attori, ma di certo da noi è particolarmente assente la categoria mentale del “civil servant”.
    Comunque mi si lasci notare che in questo post si fa riferimento all’Agenzia Pubblica per l’Acqua come se fosse un ente già esistente e collaudato, mentre il problema principale è proprio che ancora non esiste, e non mi sembra che le sacrosante gare possano essere dare risultati soddisfacenti in assenza di questo importante organo di controllo.
    Comunque è già un miracolo che la detta Agenzia sia menzionata: nella maggior parte degli interventi sull’argomento la questione viene tranquillamente ignorata.

  8. Gianni

    Difficile che si possa “perdere” l’ottanta per cento dell’acqua di un acquedotto… sai le pozzanghere! Facile invece che la si possa “sottrarre” senza passare attraverso la bolletta. D’altro canto se c’è qualche milione di case non accatastate (fantasma) va da sè che ci possano essere delle utenze idriche fantasma.

    Nella douce France l’acqua è gestita dall’Agence de l’eau, organizzazione pubblica che ha due divisioni: una per l’utenza domestica ed una per l’utenza industriale.
    Ag. Eau raccoglie la pecunia delle bollette e la reinveste negli acquedotti e nei depuratori.

    Prezzo dell’acqua domestica (Nord-Pas de Calais 1992): 7 FF il metro cubo (pari a 7×300 lire del 92, cioè 2100 lire a metro cubo). Oggi certamente più cara.

    Cari italiani, se volete l’acqua dovete pagarla, pubblica o privata che sia.
    E così i treni ad esempio: non ci si può lamentare che ci siano treni vecchi a Catania se da 40 anni non si paga il biglietto..

    P.S. Chi pone quesiti in modo che appaiano diversi dalla realtà e stimolino il panico per indurre ad una risposta prefissata non è un politico, è un bugiardo.

    Cordialmente, o quasi!

  9. Giorgio Pagano

    Franco Bassanini prima di prendere la parola sui referendum dovrebbe spiegarci come ha fatto a distruggere le pubbliche amministrazioni italiane con un complesso di norme articolatissimo senza prima capire quale fosse la copertura amministrativa degli interventi legislativi. Una cosa sicuramente l’ha ottenuta: dare tanti soldi ai vertici della burocrazia senza ottenere nessun risultato. Poi sarà anche sbagliato il referendum sull’acqua ma lo scasso che lui ha provocato è certamente superiore a qualsiasi danno (improbabile) che il referendum sull’acqua potrà provocare.

  10. alberto

    Perche’ che soluzioni ha pronte lei? Quelle che di certo assicurano posti ai politici trombati?

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