L’accordo Abi-imprese di oggi ultimo intervento-tampone. Per settembre, tre punti strutturali
Diciamolo: per i mercati il mese di luglio è stata una manna. L’indice FTSE All World – che tiene conto di tutte le Borse mondiali, ciascuna per il proprio peso relativo – è cresciuto di quasi 9 punti in quattro settimane. Dall’inizio dell’anno, Il MIB italiano ha guadagnato il 30%, il 27% Francoforte, il 26% Parigi, il 24% Madrid, Londra il 23%. Svezia e Norvegia hanno guadagnato 35 punti, ma anche la scassata Irlanda ha totalizzato un apprezzabile più 14%. Negli States, il Dow Jones ha guadagnato 24 punti percentuali, il Nasdaq 28. Quel che conta di più, è che tra fine giugno e luglio ormai i due terzi delle aziende quotate americane hanno annunciato al mercato la loro seconda trimestrale, e nel 74% dei casi i risultati hanno battuto in meglio le attese di analisti e mercati. La fiducia è generalmente in salita. Il petrolio risale oltre i 70 dollari, “annusando” un utilizzo degli impianti meno basso del 65% a cui si era attestato negli Usa e nella maggior parte dei paesi Ocse. Siamo ancora in recessione, ma ammettiamolo: in molti sperano che l’economia reale piano piano abbia iniziato a risalire. È proprio questo, il momento più delicato per un paese come l’Italia.
Nell’ultimo trimestre 2008 e nei primi due dell’anno in corso, abbiamo saggiamente deciso di astenerci dalla corsa generale al maggior deficit pubblico a sostegno del ciclo, grazie innanzitutto al fatto che non c’erano banche in pericolo da salvare. Ora che i motori della crescita riprendono poco a poco a girare, il rischio è che i difetti storici del sistema italiano rendano la ripresa di velocità della nostra economia più lenta di quella dei più dei nostri concorrenti.
Spero per questo che agosto porti consiglio. Sin qui , il governo ha esteso gli ammortizzatori sociali, e da settembre-ottobre bisognerà farlo ulteriormente e molto onerosamente, poiché scadranno i primi 12 mesi di loro utilizzo per migliaia e migliaia di lavoratori. L’esecutivo ha riallocato decine e decine di miliardi di euro in spese di competenza per infrastrutture e investimenti, senza aggiungere un euro in più. E di questo i risultati si vedranno nei prossimi anni, visti i tempi dell’apertura-cantieri nel nostro Paese. Tremonti ha varato una batteria di misure dall’incentivo fiscale a chi investe in macchinari, alla moratoria per le rate di capitale che le imprese hanno avuto in prestito dalle banche. Si è preferito saggiamente constatare l’effetto che la crisi ha su composizione e ammontare delle entrate. In questo, Tremonti ha mille volte ragione.
Ora, però, inizia il tempo degli interventi il cui fine non è “contenere” al minimo costo gli effetti della crisi, ma accrescere strutturalmente la velocità della nostra economia. Non sottovaluto la questione Mezzogiorno, ma sono per un’agenzia snella che coordini i fondi e inizi a pensare al 2013, quando le risorse europee verso l’Italia si abbatteranno di molto. Ma non è questo, il pistone che va sostituito: il Sud è questione nazionale dai tempi più lunghi e di soluzioni federaliste, l’ho già scritto.
Almeno tre problemi strutturali mi sembrano prioritari. C’è un’emergenza rappresentata dalla domanda interna troppo debole: come al solito l’unico settore in cui è in forte ripresa è l’auto grazie agli incentivi. Poiché non possiamo pensare a incentivi all’acquisto generalizzato, serve più reddito disponibile nelle tasche dei lavoratori dipendenti. In altre parole, serve una nuova tranche di defiscalizzazione del salario di produttività che sarà in questi mesi alla sua prima prova, e che rischia di non decollare proprio perché le aziende hanno poco da distribuire ai lavoratori, nel 2009. Quella di luglio 2008 è servita solo a incoraggiare imprese e sindacati firmare l’intesa. Ora, per far decollare davvero i contratti decentrati e non far vincere i no della Cgil, serve di più.
Il secondo problema riguarda la patrimonializzazione delle aziende italiane, storicamente uno dei loro talloni d’Achille considerata la loro esigua dimensione media. È in tema solo sfiorato, dal punto specifico contenuto nell’avviso comune firmato oggi tra Abi, imprese e governo (di questa misura, sono disposto a scommetterlo, trarranno vantaggio soprattutto le banche che interrompono “ufficialmente” d’ora in avanti ciò che già facevano da mesi senza dirlo, e cioè l’ordinato procedere a incagli e sofferenze degli impieghi a prenditori in difficoltà: e oltre al vantaggio patrimoniale e di minori accantonamenti, ci lucreranno pure un ulteriore incentivo fiscale che Tremonti ha promesso oggi solo quando vedrà che le banche la attuano davvero, la moratoria). Continuo a credere che per la patrimonializzazione delle imprese servirebbe molto meglio allo scopo un maxi fondo equity collegato allo scudo fiscale, con un secondo pilastro di raccolta di capitale aperto alle banche e con un terzo ad apporti dalla Cdp, che non “fa” deficit per Bruxelles.
Il terzo problema riguarda una miglior sostenibilità generale dei conti pubblici italiani. Ci risiamo con le pensioni da riformare, oltre il primo passo – timido – imboccato per le donne nel settore pubblico? Sì. Ma non solo. Un modello federalista di nuovo sostegno al Sud, “dal basso”, si incrocia con le scadenze generali del federalismo fiscale e del sessennio di finanziamenti europei 2014-2020. Torna d’attualità, per me, l’idea di attribuire alle Regioni – e all’Agenzia per il Sud, comunque la si voglia chiamare ma basta che sia snella – una parte di patrimonio fatta di cospicue fette degli attivi pubblici italiani. Lo si può fare senza mettere in crisi la sostenibilità del debito pubblico, visto che esso è superato dagli attivi per un multiplo che, a seconda di come lo si calcola, va da 1,4 a 1,8.
Troppa fantasia? No. Dalla crisi non si esce guardando per terra ma in cielo. Se si ha la schiena dritta, certo. Ma questo è un altro paio di maniche.
In questo dibattito che riguarda ancora il rapporto tra il nord e il sud dell’Italia e le varie “terapie” che vengono suggerite, alcune di queste un pò logore e poco credibili come la nuova “cassa per il meridione” (cassa di sprechi a pioggia per soddisfare le seti di molti per tacitarne le grida), insisterei invece molto di più sulla necessità di ricucire al più presto il “sistema-paese” nella sua interezza (in un’ottica, in questo caso, non federalista-non regionalista). E, all’interno dello stesso meridione, sforzandosi di comprendere e nel contempo esaltare le peculiarità delle regioni meridionali nel quadro infrastrutturale dei grandi corridoi internazionali, nel quadro strategico europeo e non solo. In tal senso diventano fondamentali le scelte razionali, quando ci sono, derivanti dalla redazione dei grandi piani di trasporto regionali che devono necessariamente essere verificati con somma attenzione dallo Stato, per il necessario aggancio alla macro maglie di livello internazionale. L’obiettivo da perseguire semmai e senza indugio sul piano nazionale è realizzare delle logiche e più razionali “tessiture” fra tra le varie reti (hub strategici, reti tecnologiche, trasportistiche, energetiche, intermodalità generalizzata), superando vetuste ipotesi di interventi a macchia di leopardo sulla base di pressioni di tipo esclusivamente localistico.
Per far ciò c’è bisogno di una forte e libera – da ricatti – volontà politica che interpreti lo Stato non come risorsa da mungere ma come qualificato Centro Decisore di azioni volte allo sviluppo sostenibile del territorio tutto.
La Pubblica Amministrazione (laddove serve e quando serve) deve recuperare il giusto valore delle parole “pianificazione” e “programmazione”. Pianificazione come “concepimento di un Piano organico”, programmazione come “procedura attuativa necessaria alla realizzazione del medesimo”. Lo Stato, quindi, visto come “promoter” responsabile ed efficiente che, unitamente agli investimenti pubblici, faccia ricorso alla finanza privata, utile in questo caso anche metodologicamente per il controllo e la trasparenza delle operazioni, scardinando logiche aziendalistiche e localistiche che vivono di rendita di posizione, troppo spesso basate sul chi strilla di più.
Quindi è la stessa Pubblica Amministrazione che deve mettersi in gioco accettando veri e propri “banchi di prova” che possono essere scomodi e costosi in termini politici, ma che sono i soli che in futuro potrebbero portare l’Italia Una e Unita fuori dalle secche localistiche e politico-affaristiche.
Ce l’abbiamo uno Stato pronto a fare questo salto di qualità o ricominciamo da capo con i sussidi mascherati da interventi risanatori del mezzogiorno?
Egr.Direttore,
credo veramente che il periodo settembre/ottobre potrà darci una migliore lettura della situazione economica globale (quella italiana la conosciamo già ed è ben esposta nel Suo articolo). In questi ultimi 4 mesi i mercati finanziari, come nella loro natura, scommettono sulla ripresa economica, nella quale io spero ma ancora non sono convinto. E’ ancora in corso il dibattito sulla definizione di “inflazione negativa” piuttosto che “deflazione”, questo mi fà supporre che non avendo compreso nulla del presente, scommettere in una ripresa economica di un immediato domani sembra il più grosso azzardo di ogni tempo, ma d’altra parte anche questa crisi è la più grossa di tutti i tempi per “latitudine e longitudine”.
Ci sono elementi, ad esempio il settore immobiliare, che non danno segni tangibili di ripresa sia nei prezzi sia nei volumi.
Il mercato del lavoro non fà altro che mietere vittime, persone sacrificate per poter offrire rendimenti aziendali al passo con le aspettative o nel peggiore dei casi dovute a fallimenti e chiusure d’aziende.
La liquidità immensa pompata nei circuiti, putroppo solo quelli bancari, che sta generando speculazione e nessun concreto e tangibile sostentamento all’economia se non briciole, di contrappeso il debito degli stati aumenta.
Si deve ancora svelare quanta tossicità è dentro alla pancia del settore finanziario e finchè non verrò smentito questo non lo sapremo mai.
Riassorbire i debiti costruiti in oltre quindici anni di delinquenziale attività finanziaria non può risolversi in qualche mese di buoni propositi e di positive parole di circostanza, la deflazione da debito e in mezzo a noi.
Sono qui alla finestra, il tempo per migliorare la nostra visione stà proprio di fronte a noi. La speranza che dovremmo coltivare ogni giorno, se da questa crisi impareremo qualcosa, è che al centro di tutto dovremo sostituire il denaro e mettere l’uomo.
Cordialità
“Torna d’attualità, per il Direttore Giannino, (vedi intervento sopra) l’idea di attribuire alle Regioni – e all’Agenzia per il Sud, comunque la si voglia chiamare ma basta che sia snella – una parte di patrimonio fatta di cospicue fette degli attivi pubblici italiani”.
Direttore, la conclusione del suo discorso comunque rimanderebbe a visioni “alte” e a schiene dritte. Chi suggerisce? Miccichè? non credo.
Regionalismo, partito del sud, maleinterpretato federalismo,urla scissioniste, ecc…non vorrei essere frainteso, ma con le più alte visioni e le più nobili dritte schiene ne vedo poche (ora) in circolazione.
Per i prossimi festeggiamenti dell’Italia fatta, ritorniamo a Cavour?
Vorrei ringraziare M. Mel, per le osservazioni che anch’io condivido in pieno, soprattutto le ultime due righe. Mi rincuora leggere di qualcuno che pensa che il denaro non sia tutto, ma che l’uomo, venga prima. Credo che non tutte le crisi vengano per nuocere, ma esse sono il campanello che ci richiama alle cose più vere ed alla realtà. Certo sarà dura, c’è chi già la sta pagando, chi ha perso il lavoro, chi precario oggi non ne troverà domani, vedi insegnanti ad incarico annuale, chi rimanderà la data del matrimonio o non si sposerà, forse, che a crisi finita. Poi dalle miei parti, i giovani laureati devono andare via, 700 mila in tre anni, non ci sono quasi aziende che vanno bene ( e non solo da ora) insomma c’è una crescita meno di zero e la speranza non può essere ne la cassa del mezzogiorno, ne decreti anticrisi e manco pertiti del Sud. Solo che neanch’io saprei cosa fare, ed è ovvio, ma non vedo comunque nessuno all’altezza della situazione. Però spero sempre di sbagliarmi. Cordiali saluti