8
Dic
2009

La zampata di Draghi: ha ragione, basta TBTF

Il presidente del Financial Stability Forum ha tirato fuori gli artigli. Draghi ha giustamente ammonito su alcune scomode verità. Abbiamo dunque ragione a puntare il dito contro le banche troppo grandi per fallire, la cui disciplina patrimoniale e di capitale di vigilanza non è ancora mutata dopo l’inizio della crisi, e per le quali le Autorità delle tre macroaree mondiali non hanno ancora procedure ordinarie e straordinarie di vigilanza, sicurezza e salvataggio condivise. Col bel risultato che loro ne approfittano e continuano a fare più che mai utili da trading book e con finanza ad alta leva e alto rischio. Devono darsi una regolata, anzi sono i regolatori a doverlo fare, e per questo il FSB che Draghi presiede non si limiterà alle proposte di ratios di capitale più elevati, ma avanzerà proposte che bisogna sperare – dal tono con cui oggi ha parlato – stringenti. Si era già capito che oggi Draghi avrebbe tirato di fioretto e talora anche di sciabola, dalle parole inusualmente fuori dai denti anticipate ieri dalla baronessa lady Shriti Vadera,consulente del G20 e del FSB medesimo. “Le grandi banche europee devono ancora fare pulizia, aveva detto, più di quelle britanniche salvate dallo Stato”, aveva detto. Non è detto che tale franchezza giovi a Draghi per la sua candidatura a guidare la BCE, visto che ai franco tedeschi non piace sentirsi dire queste verità. Ma bisogna a maggior ragione ringraziare Draghi, per aver finalmente levato una voce severa che richiama tutti al molto d’infetto che occorre ancora rimuovere, nei libri e nelle procedure delle grandi banche internazionali. E’ avvenuto a Horsham, al convegno sul futuro della finanza organizzato dal WSJ. Uno dei principali rischi per il futuro, ha detto Draghi, è quello «dell’impressionante massa di debito pubblico e privato» in scadenza nel mondo, e che potrebbe fare i conti con un aumento dei tassi di interesse. Un evento che «che non succederà domani» ma che deve preoccupare e indurre ad agire in fretta, anche se «la situazione è migliore rispetto a quella di alcuni mesi fa». «Se per qualsiasi ragione i tassi di interesse dovessero tornare a salire prima che i bilanci delle banche siano a posto – ha spiegato -, e possono farlo per motivi di politica monetaria e perché il tempo per il risanamento dei conti durerà degli anni», allora «ci sarà da preoccuparsi». «In questo caso vedremo il rischio per i debiti degli Stati che si materializzerà». Il governatore ha ricordato a titolo di esempio la stima dei 4mila miliardi di dollari di debito «di bassa qualità garantito da proprietà commerciali, quelle che più risentono della crisi». Un debito che arriverà a scadenza nei prossimi cinque anni e «molto del quale probabilmente non sarà rifinanziato». A questo, ha spiegato Draghi, va aggiunto il debito pubblico di diversi Paesi europei, molti dei quali si sono indebitati per le misure di stimolo. «Quello degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Grecia o della Germania e il nostro», spiega, e questo «crea dei problemi».

Per il governatore inoltre uno dei problemi che sta peggiorando è quello «delle istituzioni finanziarie ‘too big to fail’, troppo grandi per fallire: sono un grande problema che sta peggiorando, con ripercussioni sulla competitività dell’industria che sta diventando ancora più concentrata di quanto fosse prima della crisi». Secondo Draghi, non si può far fallire le banche, ma invece «bisogna trovare un meccanismo e risorse per permettere alla banca di continuare la sua attività». Il governatore ha ricordato come molti «Paesi hanno questo meccanismo e in Italia lo abbiamo usato diverse volte senza incorrere nel rischio di fallimenti. Non dico che sia il migliore, ma può essere una soluzione». Nel nostro Paese, infatti, esiste il Fondo Tutela e Garanzia dei depositi da parte dello Stato che interviene per evitare gli effetti di un eventuale default, mentre nella prassi nessun istituto di credito è stato lasciato fallire ma ogni volta sono state sollecitate azioni di risanamento da parte della stessa banca, del mercato o l’intervento di un cavaliere bianco. Sul tema di tali istituzioni la conferenza ha visto un gruppo di lavoro cui ha partecipato l’ad di Unicredit Alessandro Profumo, il quale ha chiesto per le autorità di regolazione un «più forte mandato improntato alla stabilità finanziaria» e non «alla tutela dei consumatori», oltre a regole uguali per tutti Uno dei principali rischi per il futuro è quello «dell’impressionante massa di debito pubblico e privato» in scadenza nel mondo, e che potrebbe fare i conti con un aumento dei tassi di interesse. Un evento che «che non succederà domani» ma che deve preoccupare e indurre ad agire in fretta, anche se «la situazione è migliore rispetto a quella di alcuni mesi fa».

You may also like

Punto e a capo n. 50
Quantitative Easing: funziona davvero?
Elites indispensabili (di Giuliano Cazzola)
Un nuovo ruolo per la CdP? Modelli di mercato o “catoblepismo” di ritorno – di Stefano Simonelli

8 Responses

  1. Il proliferare dell’indebitamento a cui abbiamo assistito in questi mesi, prima per evitare il fallimento delle banche, poi per incentivare gli acquisti non sono serviti a risolvere la crisi,ma ci mettono in una situazione ancora più rischiosa di prima.
    Oddio!!!
    Lo scenario prospettato dal Governatore è ancora più grave di prima del 2007!!!
    E le riforme? Non sono state ancora fatte .
    Vorrei dire mi pare un gran cas..o!!
    Mi domando chi ha il potere e la capacità di introdurre e accettare a livello globale le regole che dovrebbero essere recepite e condivise da tutti?

  2. Luigi

    possiamo vedere queste parole come una risposta dura e precisa agli sproloqui sarkoziani della scorsa settimana. Quanto alla BCE e’ chiaro sin da adesso che i tedeschi ne pretendono la guida quando verra’ a scadere il mandato di Trichet, e Draghi questo lo sa benissimo e puo’ permettersi queste affermazioni senza timore alcuno. Io dico solamente che se per caso durante la prossima presidenza Weber/Noyer (perche’ ovviamente i francesi pretenderanno la vicepresidenza, per coprire assieme i disastri dei loro pupilli bancari) per fare un esempio Deutsche Bank dovesse cominciare ad avere problemi la tanto vantata “serieta’ ed efficienza” tedesca gli imporrebbe dimissioni immediate. Ma qui andiamo sul fantascientifico…
    Al di la’ di tutto un plauso a Draghi.

  3. Antonio M

    Caro Giannino, cosa mi dice della teoria “austriaca” del grande economista Von Mises che vede proprio nel cartello delle banche centrali ( si veda Riserva Frazionaria e la perversa unione banche/potere politico ) la causa prima di ogni Depressione economica come quella attuale?
    A me Draghi ( ex Goldman Sachs) sembra la volpe messa di guardia al pollaio!!!

  4. Carlo

    Concordo pienamente con il commento lasciato in precedenza: la predica alle banche too big to fail avrebbe dovuto farla prima di tutto alla struttura di cui lui e’ al vertice e di cui si’ e’ ben guardato di criticare visto che lui ne e’ al vertice. Avrebbe ancora fatto meglio dire a chiare lettere che non esiste alcuna necessita’ di una banca centrale, anzi e’ lei stessa la causa delle banche too big to fail. Meglio ancora avrebbe dovuto ammettere: La banca centrale e’ lei stessa too big too fail , almeno fino a quando non verra’ a mancare la fiducia in uno stato che non riesce piu’ neppure a pagare le pensioni o mantenere una sanita’ pubblica fallimentare etc etc e che la stessa banca centrale foraggia stampando continuamente carta moneta e debito pubblico .Ancora: avrebbe magari dovuto dedicare due righe agli “spenditori pubblici ” e l’esempio da mostrare non gli sarebbe mancato perche’ l’aveva di fronte in diretta ( vedi Grecia ).

  5. Finchè le banche hanno la possibilità di indebitarsi a tassi quasi zero è pura ipocrisia pensare che non facciano trading attraverso il carry trade. Purtroppo il mondo è pieno di debiti e, se si lasciasse al mercato stabilire il tasso di interesse adeguato anzichè alle banche centrali, sarebbe insolvente domani mattina. Così tengono i tassi vicino allo zero per non togliere il carrello degli alcolici nel bel mezzo della festa, però è ipocrita pensare che gli ubriachi smettano di bere anche se a volte qualche barman (Draghi – Obama ecc di turno) fa la voce grossa per calmare i più scalmanati che dicono “hai ragione” e ci brindano su.
    Finchè non si toglie il carrello, la festa va avanti fino alla cirrosi.
    Tutti poi così danno la colpa delle varie nefandezze al libero mercato e vogliono mettere nuove regole su regole (tipo puoi bere su una gamba sola, prima di avere una nuova bottiglia devi dirmelo ecc).
    Ma che mercato libero è quello in cui la principale grandezza economica in base alla quale vengono prese le decisioni imprenditoriali ossia il tasso di interesse è stabilito a tavolino da un’Autorità?

  6. oscar giannino

    ne deduco amaramente e mestamente che per salvatore sono un fesso dei peggiori. ma ringrazio perché almeno ha espresso il concetto in maniera consona al rispetto reciproco e all’ironia che caratterizza questa casa…. firmato: il brutto anatroccolo

  7. Pietro M.

    Antonio M: Come al solito, la teoria austriaca è un perfect fit per l’attuale crisi, anche se la componente “finanziaria” del boom non è mai stata sottolineata e analizzata in dettaglio (con una sola eccezione in letteratura, un paper di Mueller del 2001).

    Sono però convinto che sia possibile costruire una teoria completamente isomorfa (cioè equivalente) a quella austriaca che sia comprensibile a chiunque senza perdersi nei meandri della teoria del capitale e del processo di mercato:

    1. Quando la abnca centrale interviene socializza i costi degli investimenti.
    2. Quando la banca centrale interviene sistematicamente crea automaticamente moral hazard (anche senza bailout: basta la politica dei tassi, visto che sposta i costi dagli investitori agli obbligazionisti e ai detentori di moneta).
    3. Il mercato reagisce come sa a questa riduzione dei costi: aumenta la produzione.
    4. Il moral hazard però aumenta il rischio sistemico, e la cosa è nascosta dalle politiche anticicliche, finché dura.
    5. Quando la politica monetaria perde efficacia, il castello crolla.

    Questa è la storia macroeconomica americana degli ultimi 25 anni almeno. L’attuale crisi è figlia di tutte le politiche discrezionali anticicliche degli ultimi 22 anni (a partire dal 1987). I mercati hanno reagito efficientemente rispetto agli incentivi, cioè prendendo decisioni idiote.

    La cosa preoccupante di questa mia interpretazione è che in 300 anni di teoria economica sono il primo a pensarci. Penso che vincerò il Nobel per questo commento sul blog. 😀

Leave a Reply