La via cinese alla disintermediazione bancaria
Per la serie Markets in everything, Gillian Tett sul Financial Times segnala che in Cina, in presenza di restrizioni al credito imposte dalle autorità monetarie, si è sviluppata una singolare forma di credito, chiamato minjian jeidai, che consente alle aziende di indebitarsi a breve termine da famiglie benestanti, attraverso l’azione di broker estemporanei muniti di telefono cellulare.
In questo modo le piccole e medie imprese, che incontrano forti difficoltà a reperire credito, vengono messe in contatto con famiglie che cercano impieghi alternativi ai surriscaldati (ed ammaccati) mercati azionari ed immobiliari, oltre che a depositi bancari che rendono molto meno dell’inflazione, essendo in regime amministrato e non liberamente determinabili dalle banche.
I tassi praticati sono molto alti, scontando il fatto che tale pratica è illegale. Si stima che i finanziamenti erogati attraverso tale forma di intermediazione possano rappresentare, in alcune zone, sino a un decimo del flusso creditizio totale. Anche in presenza di restrizioni e limitazioni (che generano altrettante distorsioni allocative), il mercato tende ad affermarsi comunque.
Per fare un parallelo del fenomeno, pensate all’usura: è una intermediazione creditizia informale in cui l’elevato costo del credito deriva dal profilo di rischio del debitore (inclusa l’onerosità delle procedure di recupero) e dalla presenza di sanzioni penali per il prestatore. Sarebbe interessante, a questo proposito, approfondire se ed in che modo le famiglie prestatrici cinesi riescono a tutelare il proprio credito.
Potenzialmente il WEB potrebbe essere una chiave di disintemediazione del credito. Chi ha esubero di liquidità potrebbe accedere a diversi livelli di rischio trasferendo direttamente il denaro al richiedente. Una sorta di Borsa Opensource del Credito… La catena del valore sarebbe enormemente semplificata (come sta avvenendo per i media), i flussi sarebbero fiscalmente tacciabili.
sono secoli che i cinesi finanziano le varie iniziative commerciali in questa maniera, rccogliendo soldi tra parenti piu’ o meno stretti o gente proveniente dalla stessa zona, quindi conosciuta ed affidabile. Nonostante sessanta e piu’ anni di dominio comunista, il clan famigliare resta il fondamento solido della societa’ cinese.
Mario,
segnalazione interessante, grazie.
Cito: “Sarebbe interessante, a questo proposito, approfondire se ed in che modo le famiglie prestatrici cinesi riescono a tutelare il proprio credito.”
Beh, penso che la forma di compensazione gia’ incorpori l’assenza di tutela legale (al di la’ del premio per il rischio di incappare in sanzioni per l’attivita’ illegale): se i tassi di interesse in questo mercato sono liberi, allora devono compensare anche per il rischio di default; in questo senso -adverse selection a parte – credo che il mercato funzioni bene anche senza “tutele” per i creditori.
Mi sembra interessante la conseguenza: i prestiti illegali hanno tassi piu’ alti di quelli di quelli che prevarrebbero in condizioni di libero mercato perche’ devono compensare per quei due fattori artificiali (rischio di sanzioni, assenza di tutela legale) al di la’ di tutto il resto (ad es., rischio di credito). In un certo senso, self-defeating in the first place.
@Ferdinando Monte
Ferdinando, assolutamente d’accordo con te. Il mio riferimento alla tutela del credito, più che all’aspetto della quantificazione del contributo al costo del credito, era però volto soprattutto ad immaginare le modalità di recupero del credito, magari attraverso forme di violenza privata 🙂
@Mario Seminerio
Eh si, esatto, anche io pensavo a questo: siccome e’ molto costoso ricorrere a violenza privata, incorpori questo nel tasso di interesse.
Grazie!
Tutto sommato fanno quello che in un sistema non distorto dovrebbero fare le banche cioè prestare soldi a chi ha voglia di intraprendere non fare carry-trade.
Mi pare che indicare l’usura come un parallelo sia riduttivo: questa pratica è usura, almeno secondo i criteri propri della nostra legislazione, o ci si avvicina molto.
Del resto, il tasso non può non incorporare il rischio che il debitore non onori spontaneamente il debito e che sia necessario il ricorso alla coazione: se la pratica è legale, la coazione è offerta dall’ordinamento giuridico; se non lo è, la coazione è altrettanto illegale ed allora il tasso sale a livelli vertiginosi.
In un sistema in cui le banche sono soggette a controllo prudenziale, l’usura è il risultato dell’impossibilità di accedere al credito legale per le controparti più rischiose: ma basta che la politica lo voglia, e si finanzia l’acquisto della casa per la clientela subprime, con le conseguenze note.
Forse sarebbe opportuno promuovere uno studio approfondito sulle conseguenze perverse della regolazione prudenziale.
Si, ma nel caso cinese non è detto che le erogazioni vadano a debitori ultramarginali ad alto rischio. C’è una disallocazione di risorse che deriva dal fatto che il rendimento dei depositi è artificiosamente fissato dalle autorità, ed oggi esprime tassi reali negativi. I risparmiatori reagiscono a questo disincentivo trovando altre forme di mercati del credito, non formalizzate. Se il mercato cinese del credito fosse meno distorto e distorsivo, i debitori “prime” non si troverebbero a pagare tassi che esprimono un rischio di credito che non è ad essi direttamente imputabile.
Mi pare che forme di contatto creditizio diretto fossero già presenti su internet. E non vorrei sbagliare ma anche il famoso microcredito più o meno rientra in queste fattispecie che Seminero direi ha già delineato nel carattere essenziale:
– un imprenditore cerca denaro che non gli è dato dalle banche (forse non alle condizioni che lui vuol sopportare)
– un capitalista (ogni risparmiatore è capitalista, lo evidenziò già Wicksell 1898, poi il termine si è corrotto) cerca un impiego con una certa remunerazione.
– i due si incontrano su una base che reputano di reciproca soddisfazione (che la legge lo chiami usura, è un altro ordine di problema, che riguarda quanto facciamo coincidere lo spazio economico con quello giuridico).
Un’altra domanda che dovremmo porci, assieme a le altre cui Seminero direi ha già risposto, è: se il sistema bancario è “fuori gioco” in queste transazioni, sbaglia lui o sono i privati prestatori che misurano male il rischio di questi imprenditori? Oppure è il solo limite massimo di tasso che impedisce l’operatività bancaria, quindi la normativa è inadatta per il pricing corretto del rischio?
@Leonardo, IHC
vero, ma il concetto soggiacente alla disintermediazione bancaria via Internet è il ranking basato sulla onorabilità del debitore. Qualcosa del genere avviene già (in scala minore su eBay). L’unico elemento della catena che dovrebbe essere svolto al di fuori del sistema “automatizzato” è il recupero crediti, ma questo è facilmente esternalizzabile, e gestibile senza coordinamento centrale.
@Alessandro Stagni
quanto tu dici però riguarda la fattibilità teorica di una totale disintermediazione, che è chiaramente possibile.
Il però ripeto che sarebbe interessante soffermarsi sull’altro ordine di problema: stante che esistono (non possono esistere: esistono già) due diversi circuiti di credito, bancario e “disintermediato”, in questo caso in Cina, il privato si è inserito in un segmento che a causa della regolamentazione le banche non possono coprire (quindi ci sarebbe un “errore” sul dimensionamento dell’usura?) oppure esiste una differenza di valutazione a priori del rapporto rischio rendimento? E in questo secondo caso, una delle due parti è in errore quindi assume un rischio non ripagato dal tasso? Alla Stiglitz: c’è asimmetria informativa tra banche e prestatori privati (chiaramente a svantaggio dei privati)?
Chiedo questo perché sicuramente non esiste una base pubblica di rating dei prenditori cui i privati prestatori possano attingere, e nel caso mi chiedo come i privati valutano il merito di credito… oppure le banche forniscono un mercato nero delle informazioni (e anche tanti strozzini, in Italia, individuano le prede grazie a segnalazioni di bancari compiacenti)?