15
Lug
2013

La trasparenza non ha bisogno di eroi, ma di digitalizzazione.

Beato è quel popolo che non ha bisogno di eroi, ma in Italia la tentazione è di ricorrervi affinché ambiti pubblici possano ben funzionare. Eppure basterebbe un legislatore che non necessita di iper-delegare per riuscire a regolare, una normativa delegata più flessibilmente concepita, una P.A. da semplificare prima ancora che da ammodernare, una dirigenza pubblica cui non servono incentivi né sanzioni per sapere di dover attuare: in sintesi, una farraginosità sia legislativa che amministrativa quanto più possibile sfrondata. E mentre rivoluzioni operative continuano a essere sempre proclamate e mai concretamente condotte, finisce per divenire esso stesso eroe, quel popolo che continua a dibattersi tra norme complesse, principi non applicati e burocrazia immutata, se pure in versione tecnologica.

 

Eppure la digitalizzazione, oltre a disclosure e openness[1], può effettivamente concorrere, mediante l’uso dei più evoluti strumenti dell’informazione e della comunicazione, a realizzare “trasparenza”: mezzo e al tempo stesso obiettivo della partecipazione della collettività ai processi cui è variamente interessata, al fine non solo di controllare, ma anche di collaborare e, comunque, di contare.

 

Un modello di amministrazione non gerarchizzato, meno autoritativo e più partecipato necessita, innanzi tutto, di un terreno di scambio comune. Questo è il fine della digitalizzazione della P.A.: consentire a quest’ultima e a quelli che dei suoi servizi si avvalgono di relazionarsi e interagire più agevolmente, condividendo gli strumenti tecnologici più idonei al dialogo reciproco. Il fine ulteriore è quello di estendere tale tecnologia a settori specifici e via via più ampi, che su quegli strumenti  trovino la base per una progressiva evoluzione. Il punto di partenza è l’e-governemnent, vale a dire l’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione applicato a un vasto campo di funzioni amministrative.[2] L’applicazione di quelle tecnologie ai più vari ambiti ne costituisce l’evoluzione: e-procurement (sistema elettronico di approvvigionamento di beni e servizi), e-id (identificazione elettronica), e-health (la gestione elettronica della sanità), e-justice (la gestione elettronica della giustizia), e-learning (trasmissione della conoscenza mediante le tecniche informatiche e la rete) ecc.. In questo modo, la digitalizzazione può favorire celerità negli adempimenti, snellimento delle procedure, coinvolgimento dei cittadini, controllo del pubblico agire, messa a confronto di risultati e, quindi, anche competizione tra operatori: così essa può attenuare i danni che il monopolio pubblico produce, introducendo nel suo ambito meccanismi di funzionamento simili a quelli che nel libero mercato promuovono e premiano comportamenti più efficienti, consentendo qualità dei servizi resi, risparmi di spesa e  vantaggi per l’intero sistema.

 

Quello sopra tracciato è stato il progetto normativo e operativo che in Italia, negli ultimi anni, ha visto protagonista la tecnologia variamente applicata: ma in questo Paese troppo spesso si resta convinti che bastino leggi e parole per fare innovazione. Nel 2005 venne emanato il d.lgs. n. 82, il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), strumento preposto a operare una rivoluzione tecnologica e culturale.[3] Di fatto, il Codice pur introducendo importanti nuovi istituti – dal documento digitale, alla PEC, ai pagamenti informatici – di fatto si risolveva nell’enunciazione di principi programmatici destinati a restare inattuati. Da un lato, la presenza di norme non direttamente esecutive privava tali istituti di un’immediata valenza pratica; dall’altro, la mancanza di un apparato sanzionatorio trasformava una serie di disposizioni in una sorta di mero invito alla loro applicazione. Pur essendo, quindi, il CAD teoricamente idoneo a sovvertire i paradigmi non solo organizzativi e procedimentali, ma anche culturali, di un’amministrazione dall’agire obsoleto, tuttavia non poteva dirsi aver realizzato la buona intenzione di un’amministrazione digitale. Nel 2010, con il d.lgs. 235 venne emanato il “nuovo” CAD. Oltre a introdurre norme che conferissero effettività alle sue disposizioni mediante meccanismi di premialità e sanzione[4],  ammodernò gli strumenti previsti, per adeguarli al rapido sviluppo tecnologico.[5] L’intento, ancora una volta, sarebbe stato lodevole, se il legislatore avesse attuato quanto precedentemente aveva sancito e, quindi, se prima di riformulare leggi avesse concretamente reso applicabili, mediante la necessaria normativa secondaria, quelle già esistenti. Ma si era posto due vincoli ineludibili, che non solo non favorivano, ma rendevano oltremodo ardua l’impresa. Da un lato, all’art. 3, aveva disposto il diritto dei cittadini e delle imprese all’uso delle tecnologie telematiche  nelle  comunicazioni  con  amministrazioni e soggetti pubblici ai sensi e, quindi, nei limiti di quanto previsto dallo stesso CAD: si era così obbligato, nell’intento di un costante ammodernamento amministrativo, a dover “inseguire” con le norme di cui allo stesso Codice una tecnologia che rapidamente diveniva obsoleta. Dall’altro, all’art. 71, aveva previsto che quelle norme venissero attuate mediante “regole tecniche”, dalla predisposizione non agevole e dalla modificabilità non flessibile né spedita.[6]  E’ così che il legislatore si è trovato a dover aggiornare, a causa del progresso tecnologico, norme primarie, da lungo tempo restate inapplicate per la mancanza di norme secondarie che le concretizzassero. Norme primarie che, una volta aggiornate, erano destinate per lungo tempo a restare di nuovo inapplicate, necessitando dell’attuazione da parte di altre norme secondarie; e norme secondarie il cui inevitabile ritardo nell’emanazione era comunque sempre giustificato dalla complessità degli interessi coinvolti, dalla numerosità dei soggetti delegati alla loro composizione e, quindi, alla conseguente difficoltà di elaborazione e successiva emanazione. La sincronicità richiede metodo e quest’ultimo, a propria volta, priorità definite, obiettivi condivisi, procedure semplici: solo così i tempi previsti si rispettano e gli adempimenti efficacemente si assolvono. Il digitale consente ingenti risparmi e, quindi, ritardare costa. Contraddizioni di uno Stato, se da un lato invoca risparmi di spesa, dall’altro stenta a compiere sollecitamente quanto li consentirebbe.[7]

 

E così, mentre anche le più attuali disposizioni del CAD restavano in cerca di un autore che desse loro concreta realizzazione, nel 2012 altre se ne aggiungevano. Nel marzo 2012, infatti, si istituiva l’Agenda Digitale[8], i  cui contenuti venivano sostanziati dal d.l. n. 179 (c.d. “Decreto crescita 2.0”): così, mentre si apportavano ulteriori integrazioni e modifiche al CAD e si innovavano strumenti di e-government, si interveniva sulla digitalizzazione in ambiti e settori specifici quali sanità, giustizia, scuola, trasporto. Ma accanto a chi ancora una volta esultava per la tecnologia e l’innovazione sempre più variamente declinate, plaudendo agli indubbi vantaggi che ne sarebbero conseguiti, vi era chi più prosaicamente richiamava l’attenzione sulle nuove e ulteriori norme attuative da emanare.

 

L’ultimo intervento in materia è quello ad opera del c.d. “decreto del fare” (d.l. n. 69/2013, attualmente in fase di conversione) che, ancora una volta nonostante le buone intenzioni proclamate, il digitale sembra però più sfiorarlo che concretizzarlo. Perché l’Agenda digitale è ancora ben lungi dall’essere realizzata[9], mentre i soggetti coinvolti, al fine di più efficacemente agire, anziché essere ridotti, agevolmente semplificando, vengono aumentati, ancor più complicando.[10]

 

La burocrazia, che è sempre e in ogni ambito sinonimo di stallo, per l’innovazione lo è ancora di più. Anche il legislatore ne è espressione, quando emana norme primarie che necessitano di una  congerie di regole attuative e queste ultime, a propria volta, devono scaturire da una ramificazione di strutture, ognuna con i propri interessi da salvaguardare e i propri assetti da mantenere. Tra competenze diffuse e centri di potere moltiplicati, l’equilibrismo di un complicato coordinamento depriva non solo delle risorse umane e materiali che impegna, ma dei risparmi che, non attuando, rimanda[11]. Ed espressione di burocrazia continua a restare un’Amministrazione che solo nelle intenzioni si aspira a rendere realmente evoluta e trasparente, modello di partecipativa interazione, anziché di gerarchica sovraordinazione. Perché un’effettiva modernizzazione della P.A. che si traduca in efficienza ed efficacia non si realizza con nuove leggi, in mancanza di nuova cultura. I sistemi tecnologici più moderni, se vengono calati dall’alto a improntare modalità operative congegnate su pregressi processi formalistici e obsoleti, inducono ulteriori meccanismi tortuosi, anche se in formato digitale.  E strutture poco propense alla tecnologia e molto resistenti all’abbandono di vecchi schemi, in un quadro di mancanza di investimenti in mezzi e risorse per la preparazione professionale all’innovazione, produrranno nuova farraginosità operativa: perché senza un’adeguata formazione di chi è preposto a usarli, gli strumenti tecnologici più raffinati non solo non comportano vantaggi, ma creano disagi, per chi li deve utilizzare così come per di quell’utilizzo è destinatario. Così, nel concorso tra burocrazia legislativa, che dispone e non attua ma complicatamente delega, e burocrazia amministrativa, che digitalizza ma non si innova, il corto circuito è  inevitabile.

 

Niente è gratuito, servono investimenti di risorse finanziarie, ma anche di volontà, sia istituzionali sia individuali, che vadano oltre gli interessi di dettaglio. Tali investimenti devono tradursi in termini di credibilità e quest’ultima dev’essere il risultato della misurabilità dei risultati che con quegli investimenti ci si impegna ad ottenere. E i risultati, ma soprattutto le carenze di risultati, devono a propria volta comportare conseguenze che discendano da responsabilità ben individuate, nonostante competenze tanto condivise quanto, al contempo, frammentate: quelle di chi deve legiferare per concretizzare e non solo per delegare; di chi deve mediare per comparare, comporre e soppesare una varietà di interessi che mai tutti compiutamente potrà soddisfare; di chi deve praticare una mentalità ispirata all’”apertura” prima ancora che una tecnologia modernamente innovativa; di chi, infine, nelle strutture preposte al contatto con i cittadini, deve adeguatamente valutare per poi premiare o sanzionare chi si adoperi per migliorare l’operatività e, quindi, rendere un concreto beneficio alla collettività. Solo dall’interazione tra norme di qualità ed efficaci pubbliche azioni potrà forse emergere un’effettiva buona amministrazione. Fine e al contempo mezzo di disclosure, opennes e digitalizzazione: perché la trasparenza non continui a restare una questione da “eroi”.

 

 

 

 

 

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza (Consob)

 


[2] L’e-governement viene così definito dall’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) “The use of information and communication technologies, and particularly the Internet, as a tool to achieve better government”. Al riguardo, per un esame compiuto del concetto e delle sue applicazioni, v.  http://www.oecd.org/gov/budgeting/43496369.pdf

[3] Il ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca, lo definiva come idoneo a “liberare gli italiani da molti ed anacronistici obblighi e adempimenti verso le Pubbliche Amministrazioni”, nonché a “eliminare sprechi, restituire maggior valore ai contribuenti, come pure di essere alla base di nuovi e più moderni modelli organizzativi, rendendo più produttivo ed efficace il lavoro negli uffici pubblici”.

[4] Al riguardo, l’ art. 12, c. 1-ter del CAD,  introdotto dal d.lgs. n. 235/2010, dispone che l’attuazione delle disposizioni del Codice rileva non solo ai fini della responsabilità disciplinare di cui agli artt. 21 e 55 del d.lgs. n. 165/2001, ma anche ai fini della misurazione e valutazione della performance organizzativa ed individuale dei dirigenti.

[5] Per un elenco delle innovazioni normative apportate dal d.lgs. n. 235/2010, http://www.funzionepubblica.gov.it/lazione-del-ministro/cad/nuovo-codice-dellamministrazione-digitale.aspx

[6] Norme “dettate, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o del  Ministro delegato per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con i Ministri competenti, sentita la  Conferenza  unificata  di  cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ed  il Garante per  la  protezione  dei  dati  personali  nelle  materie  di competenza, previa acquisizione obbligatoria del  parere  tecnico  di DigitPA”. L’Autorità incaricata di occuparsi del digitale, negli ultimi venti anni,  ha cambiato quattro volte nome e competenze: da AIPA (Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione), a CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione), a DigitPA e, infine, a Agenzia per l’Italia Digitale (istituita con d.l. n. 83/2012).

[7] Ad esempio, secondo l’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano, dalla fatturazione elettronica (resa obbligatoria nel 2007, ma le cui regole tecniche sono state introdotte nel maggio 2013) si possono ottenere risparmi diretti di oltre 1 miliardo di euro l’anno, considerando solo gli impatti interni alle P.A.; di circa 1,6 miliardi di euro l’anno, considerando anche i potenziali effetti positivi sui fornitori della P.A. stessa; di circa 3 miliardi di euro per il Sistema Paese, nell’ipotesi che, a partire da questo obbligo, la fatturazione elettronica si diffonda anche solo nel 20% dei rapporti tra imprese http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:7v3aOSCP8ZEJ:www.osservatori.net/c/document_library/get_file%3FfolderId%3D1160389%26name%3DDLFE-22534.pdf+&cd=3&hl=it&ct=clnk&gl=it

[8] L’ADI è stata realizzata in seguito alla sottoscrizione nel 2010, da parte di tutti gli Stati membri della UE, dell’Agenda Digitale Europea e ogni Stato si è impegnato a recepirla nel proprio ordinamento. Essa è basata su “sette pilastri” ed elenca più di cento azioni da mettere in pratica. Un commissario europeo ha il compito di verificare che i principi dell’Agenda siano attuati da tutti gli stati membri http://ec.europa.eu/digital-agenda/digital-agenda-europe .

[9] Per un’analisi circa la posizione dell’Italia rispetto alla media dei Paesi europei nella realizzazione dei temi chiave dell’Agenda Digitale Europea, che poi coincidono con quelli dell’ADI, v. il Rapporto annuale “Digital Agenda Scoreboard”, pubblicato nel giugno 2013  https://ec.europa.eu/digital-agenda/en/scoreboard . Inoltre, vengono qui riportate tabelle riepilogative degli adempimenti previsti dall’ADI, compresi quelli già effettuati,: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/dossier/file_internets/000/000/163/IX_-_Agenda_digitale.pdf

[10] A seguito del d.l. n. 69/2013, oltre all’Agenzia per l’Italia Digitale (http://www.digitpa.gov.it/ente/agenzia-litalia-digitale-i-suoi-compiti), vi è la Cabina di regia, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un suo delegato, attualmente composta dai ministri dello sviluppo economico, per la pubblica amministrazione, per la coesione territoriale, dell’istruzione, dell’università, dell’economia e finanze, della salute (e di volta in volta integrata dai Ministri interessati alla trattazione di specifiche questioni), nonché da un Presidente di regione e di un Sindaco designati dalla Conferenza Unificata (http://www.agenda-digitale.it/agenda_digitale/index.php/strategia-italiana/cabina-di-regia). Nell’ambito della cabina di regia è istituito un Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale italiana, “organismo consultivo… composto da esperti in materia di innovazione tecnologica e da esponenti delle imprese private e delle università”, presieduto dal Commissario del Governo per l’attuazione dell’agenda digitale che è al tempo stesso a capo di una struttura di missione per l’attuazione dell’ADI istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Al riguardo, v. anche http://www.leoniblog.it/2013/07/11/il-decreto-del-fare-art-13-agenda-digitale-ii/

[11] L’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano ha così stimato, a febbraio 2013, l’ammontare di risorse che l’attuazione dell’Agenda Digitale potrebbe liberare:  http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:JGZA_W8mHvUJ:www.osservatori.net/c/document_library/get_file%3FfolderId%3D1160389%26name%3DDLFE-21407.pdf+&cd=4&hl=it&ct=clnk&gl=it

 

 

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3 Responses

  1. Gianfranco

    Solo un appunto: “In questo modo, la digitalizzazione può favorire celerità negli adempimenti, snellimento delle procedure, coinvolgimento dei cittadini, controllo del pubblico agire, messa a confronto di risultati e, quindi, anche competizione tra operatori.”

    Lo prenda come un dato di fatto, da un idiota che sono 25 anni che istalla sistemi informativi in giro per il mondo: l’Italia e’ troppo turbolenta, a livello legislativo, per riuscire a mantenere un qualunque sistema informativo al passo con le nuove normative, spesso contraddittorie, che vengono scritte e contraddette (nella piu’ totale inutilita’) ad un ritmo snervante.

    La qualita’ di un sistema informativo e’ il riflesso dei processi che implementa e niente piu’.
    Anche se lo spirito santo scendesse su tutti gli statali questa notte, implementare quelle regole sarebbe comunque impossibile.

    Tranne, ovviamente, per le cose di poco conto. Come gli orari dei treni dello stato.

    Cordialmente
    Gianfranco

  2. Dino Caliman

    Vediamo se dà l’idea comportamentale dei nostri governi nel gestire l’Italia.Non è più strutturata per assomigliare all’olmo od a una delle nostre piante autoctone. Penso che l’icona sia diventata una mangrovia. Le radici sporgenti per adattarsi ai vari cicli economici che non è in grado di controllare. Il fusto che determina il flusso delle : Comunicazioni,regolamenti,gestione del denaro ecc.affichè l’organismo Italia sopravviva e/o si sviluppi. Rami e rametti(comuni) con foglie che rappresentano il nostro operare per vivere. Oggi godiamo lo strumento telematico che ci permette di comunicare ed operare in forma completa tra noi ed in parte,purtroppo,con il nostro socio (economicamente,senza togliere nulla alle istituzioni) Stato. Noi, democraticamente, stiamo accettando che esistano ancora tutta una serie di strutture esterne al fusto. Strutture che gestiscono ancora con il mezzo cartaceo i nostri atti con lo Stato. Questà modalità non razionale,e non trasparente. è all’origine delle nostre vicissitudini, creano tutti i nostri,alla fine falsi, problemi che siamo costretti giorno per giorno a prestare attenzione e discuterne il più delle volte a vuoto, la maggioranza “sente”che non cambia nulla.

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