29
Mar
2014

La tariffa idrica dopo il referendum

Grazie a due recenti sentenze, finalmente si chiariscono alcuni concetti tanto basilari quanto banali relativi al servizio idrico: ossia, che tale servizio è un servizio di interesse economico e, pertanto, i costi vanno integralmente coperti con i ricavi. Ci sono voluti quasi tre anni (dal referendum fuffa a oggi), ma almeno si può festeggiare il lieto fine. Se così vogliamo definire il fatto di ribadire principi economici tanto basilari quanto banali.

Lo stesso Tar sottolinea che le istanze presentate dalle associazioni dei consumatori sono soprattutto di natura politica e, quindi, non perseguibili per mero effetto del referendum che, essendo per l’appunto abrogativo, non può istituire nessuna nuova legge. Non di secondaria importanza è rilevare come spesso le istanze difese dalle associazioni dei consumatori avrebbero rischiato di danneggiare proprio gli utenti: se accolte, questi ultimi avrebbero potuto con molta probabilità subire un aumento della tariffa o un peggioramento del servizio! Non solo: le parti ricorrenti confondono la risorsa idrica con il servizio e, di conseguenza, accusano l’Aeegsi di non occuparsi di temi di cui non è competente per legge.

In particolare, le recenti sentenze del Tar Lombardia (no. 779 e 780/2014), hanno rifiutato – con motivazioni molto simili – i ricorsi presentati rispettivamente dall’Associazione “Acqua Bene Comune” e Federconsumatori – Federazione Nazionale, e dal Codacons. Queste ultime mettevano in discussione il metodo tariffario transitorio (MTT) come determinato con la delibera n. 585/2012/R/idr dall’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico (“Aeegsi”, ex AEEG).

Gli esponenti consideravano gli oneri finanziari disposti dall’Autorità una surrettizia reintroduzione dalla remunerazione del capitale investito, in violazione dell’esito del secondo quesito referendario. Si ribadisce qui l’importanza del rispetto del principio del full cost recovery, previsto non solo dalle norme nazionali ma anche da quelle comunitarie. Del resto tra il coprire i costi con i ricavi e fare profitti c’è una bella differenza.

Peraltro assimilare i due metodi è una forzatura palese, dal momento che la formula per il riconoscimento degli oneri finanziari del MTT utilizza due parametri variabili in base a diversi fattori economici, cioè il tasso di interesse di riferimento e la componente a copertura della rischiosità, diversamente dalla misura fissa del 7%. La variabilità dipende dal fatto che il costo del capitale va determinato ex post, in base al costo effettivo dell’impresa, mentre il 7% era fissato ex ante, garantendo cosi quella che il Tar definisce una “rendita parassitaria” all’operatore, che si vedeva assicurata una sorta di remunerazione fissa pur senza aver effettuato alcun investimento.

Riconoscendo poi in tariffa il solo capitale di debito – come chiesto dai ricorrenti – e non quello proprio, si sarebbe avuto l’effetto paradossale di premiare l’indebitamento esterno dei gestori (l’unico riconosciuto in tariffa), rispetto all’utilizzo di mezzi propri. L’indebitamento comporta inevitabilmente un aumento della tariffa – proprio a scapito dei consumatori – necessario a coprire gli oneri finanziari connessi al ricorso al credito bancario.

I ricorrenti avrebbero poi voluto che gli oneri finanziari fossero rimborsati a piè di lista, anziché secondo i costi standard. Eppure il primo metodo implicherebbe un trasferimento sull’utenza – tramite le tariffe – delle inefficienze (molto probabili, quando viene riconosciuto qualsiasi tipo di costo, anche quelli superflui o inefficienti), mentre il costo standard è preferito in quanto premia, e quindi, incentiva, l’efficienza del gestore (ed è infatti quello più utilizzato dalle autorità indipendenti), perché riconosce solo i costi che non superano una certa media prefissata (standard).

Secondo le parti ricorrenti, il fondo per i nuovi investimenti (FoNI) avrebbe costituito una provvista per i futuri investimenti, in contrasto con il principio della necessaria corrispettività della tariffa (previsto dalla sentenza n. 335/2008 della Corte Costituzionale dove si stabiliva che, in mancanza del servizio di depurazione, non si può imporne il pagamento della relativa quota tariffaria all’utente).  Tuttavia, il fondo serve a migliorare rete e impianti, proprio a vantaggio dei consumatori.

I ricorrenti avrebbero poi voluto escludere gli ammortamenti sui contributi a fondo perduto (AMM), sebbene rappresentino beni e, quindi, costituiscano costi (una sorta di costo per il degrado del bene) che vanno integralmente coperti (sempre nel rispetto del principio del full cost recovery).

Si denunciava infine la retroattività della delibera emanata nel 2012, che avrebbe effetti anche nel biennio 2012-2013: senza un nuovo metodo tariffario, tuttavia, sarebbero rimaste in vigore le precedenti tariffe, certamente non più favorevoli per i consumatori di quelle stabilite dall’Aeegsi.

In generale, le parti ricorrenti sembrano non aver chiaro quali sono le competenze in capo all’Autorità cui si oppongono: il Codacons ha infatti allegato una delibera del comune di Napoli dove si sostiene che l’acqua è un bene comune (che, come sottolinea il Tar, è una “circostanza non smentita nel nostro ordinamento, nel quale l’art. 144 del D.Lgs. 152/2006 attribuisce natura demaniale al bene “acqua”). Forse dimenticava, o magari è stata solo distrazione, che l’Autorità – parte alla quale si opponeva – si occupa di altro, ossia del servizio idrico integrato…

Infatti, anche con riguardo al tema della qualità dell’acqua destinata al consumo umano (problemi di alti contenuti di arsenico e altre sostanze pericolose), il Tar sottolinea come la tutela ambientale dell’acqua per l’uso umano sia oggetto di una specifica disciplina contenuta nel D.Lgs. 31/2001, mentre l’Aeegsi sia competente sui temi tariffari.

Tutto è bene quel che finisce bene, ma questo finale sembra proprio suggerire che non ci fosse proprio nulla da iniziare.

2 Responses

  1. Matteo

    Tema su cui, se si insiste, se ci si incaponisce, si possono prevedere solo legnate. Un poco come quello del nucleare. Quando viene creato il tabù addirittura a livello verbale, sintattico, c’è poco da fare, insistere somiglia molto a fare la propaganda per l’incesto.

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