La “sindrome spagnola” arriva in Italia?
Questo fine settimana la Catalogna, uno dei motori economici della Spagna, che vale circa il 20 per cento del PIL nazionale, va alle elezioni. Le spinte indipendentiste sempre più forti creano un ulteriore problema per il Governo centrale di Madrid guidato da Mariano Rajoy.
Artur Mas, leader del partito nazionalista catalano, il CIU, dovrebbe vincere in agilità le elezioni senza tuttavia arrivare alla maggioranza assoluta. Sarà difficile trovare l’appoggio dell’estrema sinistra catalana, ma sul tema di effettuare un referendum per l’indipendenza della Catalogna, non sarà impossibile trovare un accordo.
Le elezioni spagnole arrivano forse nel momento peggiore per l’economia spagnola. Le ultime statistiche dimostrano che il mercato immobiliare continua a retrocedere, con i prezzi in caduta di oltre il 35 per cento dall’inizio dello scoppio della bolla.
L’obiettivo di deficit non sarà rispettato neanche questo anno, mentre l’economia non dovrebbe crescere fino al 2014.
Il problema principale rimane la disoccupazione ormai al 26 per cento, mentre per i giovani il tasso è superiore al 50 per cento. Una situazione tragica che affossa i conti dello Stato spagnolo. Per pagare i sussidi di disoccupazione ad un quarto della popolazione attiva, il Governo di Madrid non riesce nemmeno lontanamente ad avvicinarsi al 3 per cento nel rapporto deficit/PIL, mentre il debito corre inesorabilmente verso il 100 per cento.
Da cosa è stata creata la disoccupazione?
Lo scoppio della bolla immobiliare è la prima causa di questa “tragedia” spagnola, perché il settore ha visto una caduta delle costruzioni anche del 70 per cento in molte regioni. La manodopera impiegata dal settore edile è stata espulsa dal mercato del lavoro e un esercito di manovali si è trovata a sopravvivere con il sussidio di disoccupazione.
Ma come si è arrivati alla bolla immobiliare? Di chi è la colpa?
Sbaglia chi addita le cause della bolla immobiliare al mercato. Il mercato centra poco, perché il settore immobiliare è stato gonfiato dalle casse di risparmio regionali e le cajas erano di gestione diretta della politica.
I vertici di tutte le casse di risparmio erano in mano alle amministrazioni politiche regionali, da Bankia a Caixa Catalunya, tutte istituzioni salvate con oltre 50 miliardi di euro pubblici derivanti dai contribuenti.
Le cajas finanziavano costruttori edili e famiglie nella costruzione e nell’acquisto degli immobili al fine di mantenere un livello d’occupazione e di crescita troppo alto, fino ad arrivare ad un punto in cui il mercato immobiliare non ha che potuto crollare.
Era il 2007 e i prezzi delle case cominciarono a scendere trascinandosi con sé tutte le società immobiliari. Le società immobiliari finanziate dalle casse di risparmio trascinarono presto nell’abisso anche queste ultime fino ad arrivare all’intervento diretto dello Stato per il salvataggio.
Si stima che nella pancia delle banche spagnole ci siano almeno altri 200 miliardi di debiti legati all’immobiliare che prima o poi dovranno essere svalutati.
Prima o poi, perché come dimostra il caso di Bankia, è possibile cercare di prolungare l’agonia di una banca, cercando di posticipare la svalutazione degli immobili. Se una cassa di risparmio ha acquistato un immobile e messo a bilancio per un valore pari a cento, ma nel frattempo tale immobile è sceso ad un valore pari a 30, è possibile aspettare ad effettuare la svalutazione, ma prima o poi dovrà essere fatto.
La bomba delle banche spagnole non è stata ancora disinnescata e il Governo spagnolo attende a dopo le elezioni catalane ad attivare il salvataggio spagnolo per motivi elettorali.
Cosa insegna il caso spagnolo?
Quando la commistione tra banche e politica è molto stretta i rischi di fallimento aumentano esponenzialmente.
È per questa ragione che il dato della caduta delle compravendite del 26 per cento nel terzo trimestre del 2012 in Italia dovrebbe preoccupare non poco perché potrebbe solo essere l’inizio di una “sindrome spagnola”.
siamo già ben oltre la sindrome spagnola.Abbiamo oltrepassato il punto di non ritorno che,in gergo aereonautico è il disastro totale!
Di sicuro se vediamo i prezzi degli immobili “normali” in città come Milano e li rapportiamo alle cifre che la gente “normale” può permettersi siamo da anni in una situazione abnorme e gonfiata a dismisura.
Ben venga la crisi immobiliare quindi, e quella delle amministrazioni pubbliche, delle pensioni d’oro ecc. – è dimostrato che le istituzioni e i sistemi economici non sanno autoregolamentarsi, e quando le cose vanno troppo oltre è solo un evento di natura traumatica che può riportare su un binario minimamente razionale.
LA SCONFITTA DEL MANTRA LIBERISTA/RIGORISTA
Gli effetti recessivi delle politiche liberiste/rigoriste di austherity,dopo aver sprofondato i paesi mediterranei, ora insidiano anche Francia e Germania. La perversa spirale recessione/austerità/recessione stà uccidendo il sistema economico europeo. Non si combattere la recessione con manovre recessive.
La maggioranza dei cittadini/elettori -in USA come in Europa- chiede investimenti pubblici x rilanciare l’economia, incisive politiche redistributive (patrimoniale), difesa del welfare e governo della globalizzazione.
In sintesi politiche economiche di matrice Keynesiana; ovvero più laburismo e meno liberismo.
Cari signori, senza il buon vecchio Keynes non se ne esce. Esattamente come negli anni 30. Negli USA lo hanno capito; in Europa si traccheggia.
Consiglio la lettura del libro del nobel Payul Krugman “Uscire dalla crisi,adesso!” 2012 ed Garzanti
E lavorare di più? Conosco la situazione spagnola (e la italiana), lavorandoci da molti anni. Anche la portoghese, idem. Se meno di 1/3 della popolazione deve mantenere tutto il resto (incluso, per esempio, le utilissime le rotonde che arricchiscono giorno dopo giorno la nostra rete stradale, e il ceto impiegatizio ministeriale, pilastri portanti le une degli essenziali servizi comunali e provinciali e le altre della società italiana – come più volte calorosamente ricordato dall’arcisindaco sindaco Alemanno), con competitori internazionali che crescono tecnologicamente e aumentano le loro competenze – Cina, sud Corea e Messico, per esempio – mi pare difficile mantenere i livelli di reddito, e neppure lontanamente immaginabile aumentarli.
Ci si prova, tra quel terzo di schiavi della generazione 2.0, lavoratori e imprenditori e partite iva, lavorando di più. Purtroppo, è necessario un piccolo contributo anche da quel terzo che non espone prezzi ma tariffe, che occupa un posto di lavoro e non è tenuto anche a fare un lavoro. Un piccolo contributo: per esempio un 50% di lavoro in più dai prof di ogni ordine e grado della nostra scuola (dai, che passando da 3,5 a 7 ore al giorno, scende anche il livello dello stress lavoro-correlato, c’é meno tempo per pensarci. Naturalmente vale per tutti, vigili urbani, forestali, amministrativi delle asl, dei comuni, delle regioni, dei ministeri, ecc ecc). Un 10% di disoccupazione per ripensarci e riaggiornarsi per quelli che al loro prezioso posto non hanno mai prodotto nulla ma in cambio hanno fatto dei danni (per l’Italia, l’analisi scientifica sui nullafacenti della funzione pubblica di Ichino non si trova più nelle librerie, ma si può comprare on-line sul suo sito. Se fosse in portoghese, andrebbe bene pure per loro. Per la Spagna, l’articolo di Giuricin è ben spiega come, dal suo “posto di lavoro” non solo non produce nulla, ma crea enormi danni, peraltro ben calcolabili).
Errata: “Per la Spagna, l’articolo di Giuricin ben spiega come il funzionariato, dal suo “posto di lavoro”, non solo non ha prodotto nulla, ma ha creato enormi danni, peraltro ben calcolabili”.
Spero (credo) che Artur Mas stravinca e ottenga la maggioranza assoluta. Cambierebbero in meglio le prospettive della spagna e di tutta l’UE
@Luciano
Dare del liberista alle manovre per risucchiare soldi alle imprese ed ai lavoratori per darli in mano al pubblico spreco è una tipica menzogna dei neokeynesiani, quelli che fanno rivoltare nella tomba anche Keynes. Fortunatamente chi legge questo blog è uno che ragiona e non cade nel trucco demagogico come persone di bassa cultura e alta emotività, le preda preferite dei teleimbonitori.
Il settore pubblico partorisce solo carrozzoni che servono a giustificare poltrone ove collocare gli amici ed i trombati dei partiti. Roba per la nomenclatura, non per chi vuole la libertà individuale ed economica.
Quanto a Paul Krugman, che pensi ai suoi alieni ( vedere http://business.time.com/2011/08/16/paul-krugman-an-alien-invasion-could-fix-the-economy/ ). Detto da Crozza è humor, detto con la pretesa di insegnare economia è stupidità allo stato puro.
Credo che sia un problema di ipocrisia. Tutte le persone di buon senso sanno che la configurazione finale di organizzazioni di dimensioni continentali dovrà essere per problemi Organizzativi e SOCIALI una struttura di stati federati. Se ne parlava già negli anni 60 di macroregioni (10 milioni di abitanti +/- 20% in funzione cultura e morfologia.
Abbiamo semplicemente una classe politica e dirigente troppo mediocre e attaccata alla poltrona, tutto qua.
Si dovrebbe fare un piano a 20 anni per mettere in condizione tutti gli stati di poter firmare un fiscal compact locale.
Dopo elezioni, rappresentatività centrale e presidenza diventano molto più semplici-
Consiglio ai lettori di leggere “Tutti gli errori di Keynes” IBL Libri così la finiremo di dire stupidaggini sulla necessità dell’intervento massivo dello stato nell’economia. Ridurre di un milione i dipendenti pubblici e ridurre le imposte ad un massimo del 30% del reddito. Dedurre tutte le spese sostenute per bisogni primari: ecco la vera soluzione.
Il Cancelliere austriaco Metternich molti anni fa aveva affermato che l’Italia era un espressione geografica : aveva perfettamente ragione . Se fossimo un paese civile come la Cecoslovacchia ci dovremmo dividere in almeno tre stati : Nord , Centro , Sud .
I problemi relativi dovrebbero essere discussi pacificamente – anche con l’intervento di mediatori internazionali – e dopo si avrebbero stati molto più coesi , per tradizioni, abitudini , mentalità . Solo che questo è un sogno : mai il sud accetterà di staccarsi dalla mammella nordista ; lavorare , anzi faticare , stanca . E’ meglio farsi mantenere .
Più o meno le stesse argomentazioni usate 80 anni fa contro Roosvelt e il New Deal. Sviluppo e crescita in USA e Europa dal secondo dopoguerra a oggi è frutto di politiche interventiste (dirette e indirette) di matrice Keynesiana.
Neppure “icone” politiche del liberismo come Raegan o la Thatcher hanno sostanzialmente ridotto l’intervento dei governi nell’economia. Semplicemente xchè non praticabile in una economia industriale moderna (ora definita post-industriale).
Rimandiamo i motivi alla rilettura di classici come Weber,Keynes e Schumpeter. La “parabola neoliberista” è stata -nella sostanza- un intervento massivo nella ripartizione tra profitti e salari; a vantaggio dei primi naturalmente.
Riduzione della progressività fiscale, riduzione del welfare, finanziarizzazione dell’economia, privatizzazioni (prontamente sostituite dal Keynesismo da spesa militare) hanno determinato alla ricchezza prodotta una distorsiva “gravitazione verso l’alto”. Le riflessioni di Krugman e Rajan in tal senso sono illuminanti
Notoriamente il New Deal ha radicalizzato una crisi economica del ’29 causata dalla manipolazione monetaria di stato e quindi poi cronicizzata dalla spesa pubblica di Roosevelt. Che le politiche di spesa – togliere a chi produce per dare a soggetti parassitari – sia in grado di produrre ricchezza e sviluppo e’ tesi non difendibile: e infatti avviene. Il disastro argentino e’ li’ a dimostrarlo, con il suo strascico di povertà, tensioni sociali, corruzione, malversazioni, perdita della libertà. Lo stesso caso spagnolo ci dice che lo statalismo genere odii e porta a far saltare l’unità. La fuga della Catalogna, stufa di mantenere i vizi di Madrid o dell’Andalusia, anticipa la voglia di andarsene del Veneto e della Lombardia. È solo questione di tempo, e lo statalismo che sta dissolvendo la Spagna porterà presto a dividere anche le diverse regioni d’Italia.
Penso che arriverà anche da noi.
@Federico
Mi consenta, signor Federico, di nutrire qualche perplessità riguardo la Sua analisi storica del New Deal. Un caro saluto.
@Luciano
permettimi di dirti che non condivido questa generalizzazione
@claudio di croce
e le Isole ?
A parte la battuta, non credo in questa divisione. Piuttosto in un federalismo con macroregioni che svolgano indirizzo e realtà locali che facciano gestione. Centri di spesa centralizzati per forniture standard e federalismo fiscale.
@Fabrizio
La Sicilia voleva essere annessa agli USA . potremmo dare la Sardegna alla Spagna : i sardi sono molto felici di avere un dialetto simile al catalano . Solo che nessuno vuole annettersi qualcosa di italiano .
se dobbiamo cominciare, molto volentieri….dalla Sicilia
palazzo dei normanni ai siciliani! col loro debito e la quota parte del debito pubblico italiano pro capite
credo che sarebbe un affare per loro e per noi
tanto a Milano, Bologna e Padova, e….. oltre la Mafia ormai abbiamo anche Ndrangheta e Camorra, cioè pieno regime di libera concorrenza ….alla Maroni.3
quindi non abbiamo nulla da temere
@giancarlo pagliarini
Noooo! Artur Mas deve perdere(come é avvenuto, siamo al 05.12.12),perché la sua non é una battaglia vera ma solo per coprire le “porcherie” della sua regione ( che non fu mai Nazione! )
da noi è del tutto diverso. non si costruisce il nuovo da decenni. le banche semmai hanno finanziato le compravendite dell’usato. ho visto centinaia di mutui a 15-20 anni concessi a extracomunitari col permesso di soggiorno che scadeva dopo pochi anni, buona parte dei quali sono in sofferenza. i crediti venivano cartolarizzati e rivenduti ai fondi pensione che adesso hanno cartasstraccia in mano: pignoramenti, esecuzioni che se van bene portano a casa un quarto del credito, aste deserte…non credo che da noi si vada verso lo scoppio di una bolla immobiliare. la bolla che sta scoppiando è quella dello stato sociale finanziato incoscientemente col debito pubblico.