La scuola ai tempi del coronavirus e del wi-fi
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Tomaso Invernizzi*
Ormai da almeno un paio di settimane le scuole italiane hanno iniziato ad attrezzarsi per offrire una didattica a distanza a milioni di studentesse e studenti. Le esperienze non possono che essere diverse a seconda dei gradi di istruzione, delle capacità didattiche degli insegnanti, delle risorse disponibili. I sindacati si sono subito affrettati a sottolineare che i docenti non sono tenuti da contratto a insegnare a distanza, ed in effetti non si può pensare sia corretto ricorrere ogni giorno alla propria connessione internet per lavorare. Ma in una situazione di emergenza come la presente, quante sono le situazioni eccezionali? In quali condizioni lavorano medici, infermieri ed operatori socio-sanitari (questi ultimi in particolare ben poco retribuiti)? E quanti altri lavoratori mettono a repentaglio la loro salute ed altrui per garantire la produzione e la distribuzione di beni indispensabili?
Certo, il lavoro del docente va inteso come una professione, e non come una vocazione, però la condizione presente deve spingere ad interrogarsi sul significato della funzione docente ed educativa, per una volta, forse, senza prescindere da alcune considerazioni di carattere etico-politico, pensando, da garantiti in un frangente in cui milioni di partite Iva non stanno percependo alcun guadagno ed altri lo hanno perso o stanno perdendo, in quale modo si possa restituire qualcosa alla società.
Articoli scientifici, come la review pubblicata quest’anno da The Lancet, “The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence”, mostrano che, in occasione della quarantena legata all’influenza equina in Australia, la fascia d’età che si è rivelata più predisposta ad effetti psicologici negativi (sindrome post traumatica da stress, depressione, ansia, insonnia, irritabilità… anche a lungo termine) è quella tra i 16 e i 24 anni, l’età degli studenti del triennio delle superiori e dell’università. La possibilità, anche soltanto per mezz’ora al giorno, di vedere, per quanto attraverso uno schermo, compagni e professori, è probabilmente protettiva, permettendo un parziale mantenimento dei contatti sociali e della normalità possibile in una condizione altrimenti del tutto innaturale. In questo senso, come scrivono gli autori dell’articolo già citato “having a working mobile phone is now a necessity, not a luxury”, avere un telefono mobile per il lavoro è attualmente una necessità, non un lusso. Con buona pace dei detrattori delle tecnologie. Inoltre, gli allievi ricevono indicazioni, sintesi, consegne e riscontri dai docenti che si impegnano nella didattica a distanza attraverso il registro elettronico, ormai diffuso da anni in tutte le scuole.
Inserire tra i provvedimenti del governo per la gestione dell’emergenza un piano per dotare di strumenti informatici e wi-fi le famiglie che ne siano sprovviste (comprese quelle dei docenti) non è un vezzo da cultori della cultura (o della tecnologia) che non sono sufficientemente sensibili all’esigenza di comprare il maggior numero possibile di respiratori e mascherine. Si tratterebbe di una misura utile a garantire, oltre il diritto all’istruzione sancito dalla Costituzione, le pari opportunità in materia di scolarizzazione ed il benessere psicologico. Altrimenti avremmo una condizione di brutta discriminazione a danno di coloro che provengono da famiglie meno fortunate, con al medesimo tempo minor accesso al sapere e maggiore rischio di problemi psicologici.
Lo sapete che lo Stato con il più alto grado di digitalizzazione in Europa è l’Estonia?
* docente di scuola secondaria di secondo grado