La sacra famiglia
Che cosa sia il deal Fiat/Chrysler, ce lo dirà solo il tempo. Con Franco Debenedetti, ci eravamo fatti qualche domanda del genere che sui giornali di oggi non si trovano. Il perché, si capisce. Da una parte, i giornali hanno tutto l’interesse a descrivere con toni epici la “avventura americana” di Marchionne, se non altro per ragioni di prioprietà e quattrino. L’influenza di Fiat non si sente solo su Stampa e Corriere, ma anche sul Sole, in quanto socio di peso (e, tradizionalmente, “azionista di riferimento”) di Confindustria. Questi tre giornali, più Repubblica, sono quelli che contano in Italia. I giornalisti di tutte le altre testate dove vogliono finire a scrivere? Ma lì, è ovvio. Pertanto, conviene loro mostrarsi accomodanti, rispettosi e gentili verso la Real Casa. Non è un’accusa di dettaglio, è solo la constatazione di un trend.
A questo atteggiamento della stampa, che non è il piatto del giorno ma un filo rosso della storia italiana, si aggiunga che la comunicazione del governo (Giulio Tremonti in primis) è tutta improntata sull’Italia che ce la fa mentre gli altri affondano, il nostro sistema bancario che non sa le lingue e quindi non langue, “la vera ricchezza che viene solo dal lavoro e mai dalla finanza” (Berlusconi, ieri, fra una dichiarazione sulle veline e l’altra), eccetera. Quindi che Obama “chiami” Fiat fa garrire le bandiere al vento.
Tutto torna, tutto si capisce. Non ho gli strumenti per fare un’analisi puntuale del deal – quale spero possa fare magari Oscar Giannino, su queste colonne. C’è solo una cosa che mi stupisce e mi lascia ammirato. La diversa fine degli Agnelli e dei Savoia. Monarchi a Torino prima gli uni e poi gli altri, l’una famiglia e l’altra forse più fortunate negli esponenti tenuti lontani dal bastone del comando (Umberto II, e Umberto Agnelli), a differenza dei principi finiti a ballare sotto le stelle, gli Agnelli sono riusciti a conservare la corte all’estinzione del casato. Il mio regno, per un giornale!