La responsabilità solidale negli appalti figlia della irresponsabilità di uno Stato mai solidale con il Paese – di Enrico Zanetti
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Enrico Zanetti.
Negli scorsi mesi, prima con il Decreto “semplificazioni fiscali” (DL 16/2012) e poi con il Decreto “crescita e sviluppo” (DL 83/2012), sono state introdotte una serie di disposizioni che con le semplificazioni e la crescita nulla hanno a che vedere.
In particolare, si tratta delle norme che rimettono in pista la responsabilità solidale dell’appaltatore con il suo subappaltatore per il versamento dell’IVA e delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente. Un’operazione che era stata già accarezzata dal legislatore nel 2006 (con il famigerato “Decreto Visco-Bersani”) e che era stata opportunamente neutralizzata nel 2008.
A volte ritornano, dunque.
Se il subappaltatore non versa, l’appaltatore risponde in solido, divenendone quindi garante a favore dello Stato.
Non viene risparmiato nemmeno il committente originario: se l’appaltatore o i suoi subappaltatori non versano IVA e ritenute all’Erario, la responsabilità solidale non opera, ma può scattare una sanzione da 5mila a 200mila euro.
Come possono, committente e appaltatore, evitare di incorrere, rispettivamente, nelle sanzioni e nella responsabilità solidale? Devono richiedere alla propria controparte idonea documentazione comprovante la regolarità dei versamenti all’Erario prima di procedere al pagamento del corrispettivo contrattuale.
Insomma, il “contrasto di interessi”, quando può essere declinato a favore del contribuente, sotto forma di detrazioni o deduzioni, convince poco chi siede nelle istituzioni; quando invece può essere declinato a favore dello Stato, sotto forma di responsabilità solidali e sanzioni per omesso controllo dei doveri altrui, convince e pure molto.
Il problema è che questo ribaltamento sulle imprese del lavoro di tutela dell’Erario, che dovrebbe competere ad enti a ciò precipuamente preposti (e finanziati, come tutta la pubblica amministrazione, con le tasse pagate da quelle stesse imprese) rischia di mandare in cortocircuito un sistema economico già allo stremo.
Che senso ha parlare di semplificazione degli adempimenti burocratici, crescita dell’economica e velocizzazione dei pagamenti alle imprese e tra imprese, se poi si introducono norme che, al solo fine di dare maggiori garanzie ad un Erario evidentemente non in grado di tutelarsi da solo con controlli efficienti e tempestivi, vanno nella direzione opposta della esplosione degli adempimenti, del rallentamento dell’economia e del blocco dei pagamenti alle imprese e tra imprese?
In questi mesi, le imprese hanno già compreso la portata di ciò che è stato loro scaricato addosso, ma l’esasperazione a oggi non è ancora esplosa per il semplice fatto che, come opportunamente chiarito dall’Agenzia delle Entrate, i nuovi obblighi si applicano per i contratti stipulati dal 12 agosto 2012 e limitatamente ai corrispettivi contrattuali la cui scadenza di pagamento è successiva all’11 ottobre 2012.
Questione ancora di poco tempo e il numero di imprese, costrette a confrontarsi in concreto con una disciplina che nulla ha a che vedere con semplificazione e crescita, sarà elevatissimo.
Ci sarà chi ci marcerà sopra per non pagare il proprio fornitore e chi si ritroverà suo malgrado appreso a responsabilità che non dovrebbero essere sue, esplodendo ulteriormente il suo rischio di impresa.
In altre parole, a farne le spese, per un verso o per l’altro, saranno gli operatori economici che si comportano seriamente, sia nel rapporto con le loro controparti contrattuali che nei confronti dello Stato.
La cosa più stupefacente è che, recentemente, in occasione di pubblici convegni, esponenti di primissimo piano dell’Agenzia hanno preso le distanze da questa norma, sottolineando che la sua introduzione non è stata proposta né caldeggiata a Governo e Parlamento dall’Amministrazione finanziaria italiana (nonostante, aggiungiamo noi fuor di ipocrisia, quest’ultima sia stata per il resto l’ispiratrice di larga parte delle norme fiscali degli ultimi anni finalizzate al sistema dei controlli).
Ebbene: si può sapere allora chi si è sognato di introdurre questa ennesima norma intrisa di prevaricazione statalista sul legittimo diritto del privato di fare la sua parte di operatore economico e di pretendere, al contempo, che altri svolgano quella di controllore dell’interesse erariale?
Perché è chiaro che l’effetto di una siffatta norma è proprio quella di anteporre, a mali estremi, le ragioni del Fisco a quelle della sopravvivenza stessa dell’impresa: non mi basta che dichiari (e quindi non evadi), se poi non versi nei termini (perché non hai liquidità e anteponi il pagamento di dipendenti e fornitori); se fai così, autorizzo il tuo cliente a non pagarti a sua volta (e chi se ne frega se in questo modo aggravo definitivamente la tua crisi di liquidità) e, per essere certo che non lo faccia, lo minaccio pure con l’assunzione di responsabilità e sanzioni.
Una norma dunque che scarica sulle imprese funzioni di tutela dell’Erario che non appartengono loro e crea l’ennesimo presupposto fiscale per l’aggravamento delle situazioni di crisi.
E se per caso saltasse fuori, come a questo punto pare, che questa norma orfana di padri si sia praticamente riscritta da sola, quanto ci vorrà prima di derubricarla una seconda volta, evitando così che dispieghi tutta la sua dirompente perniciosità sul sistema economico?
Per inserire norme inopportune e prevaricatrici è sempre bastato in questi ultimi anni il primo decreto di passaggio.
Possibile che, per una volta, non si possa fare altrettanto per eliminarne una che nessuno sembra avere richiesto e di cui l’economia del Paese non ha certo bisogno?
Allora… l’azienda turistica in cui lavoro aveva affidato le pulizie delle camere ad una impresa di pulizie. Questa lavorava in alcuni alberghi e villaggi turistici. Ad un certo punto una catena non paga più le fatture all’impresa (prima pagavano a 90 gg) che rimane con un credito notevole visto che si trattava dei masi di maggior lavoro (giugno settembre). L’impresa non ce la fa più a pagare gli stipendi e i contributi dei dipendenti, compresi quelli che avevano lavorato da noi. Quindi, anche se noi abbiamo sempre pagato regolarmente tutte le fatture, ci troviamo ad essere obbligati in solido per le persone che hanno lavorato da noi a causa di una terza ditta che da mesi e mesi non ha pagato più un centesimo dei suoi debiti verso l’impresa di puilizie. Siamo ancora in uno stato di diritto? Un qualsiasi imprenditore si trova appeso ad un filo, senza nessuna certezza se non quella che il filo te lo può tagliare chiunque, anche involontariamente. In Italia, chi cerca di fare l’imprenditore (il piccolo imprenditore) per lavorare e dare lavoro è oggi un autolesionista!
Chiedo a Chicago Blog di voler rendere nota la lista dei parlamentari che hanno, con il proprio voto, consentito la conversione in legge delle disposizioni citate, che definire “allucinanti” è poca cosa. Dato che è assai probabile che molti di loro si ricandideranno, vorrei almeno evitare di contribuire, con il mio eventuale voto, alla loro rielezione. Caro Oscar Giannino, la cosa è fattibile?
Quoto Mike. Fuori i nomi.
… Confindustria, Confartigianato, CNA, Bortolussi e compagnia cantante…
Troppo occupati ad usare la rappresentanza come trampolino di lancio per carriere politiche…
E poi chiediamoci chissà come mai nessuno investe in Italia. Adesso hanno un’altrs buona ragione per scegliere il Burundi.
Ci sono molte aziende che rischiano la chiusura grazie a questa norma.
Doveva riguardare l’edilizia ma è cosi generica che potrebbe andare bene anche per chi effettua il servizio di pulizie conto terzi.
Nelle imprese si è espansa a macchia d’olio ed è quindi utilizzata da molti per congelare i pagamenti dovuti per lavori già fatturati.
Se il ministero delle finanze o l’agenzia delle entrate non daranno presto una chiarificazione, ovvero che la norma vale solo per le aziende edili, saranno molti gli imprenditori che non avendo ricevuto i pagamenti a loro dovuti dovranno dichiarare il fallimento.
Bene o male una piccola azienda con un po’di dipendenti anche se galleggia metà del suo fatturato lo versa allo stato.
Bene da domani grazie a questa norma senza specificazione lo stato non riceverà più introiti dalle aziende fallite, anzi avrà solo spese (curatori fallimentari, ecc…).
Benissimo, andiamo avanti così..
Ho appena ricevuto l’ennesima mail di un cliente:
“La presente per comunicarVi che al fine di poter pagare le riba da voi emesse e in scadenza, dobbiamo ricevere da parte vs. la documentazione attestante la regolarità dei versamenti Iva e ritenute lavoro dipendente.”
Noi emettiamo 300 fatture di media al mese, questo significa inviare 300 autocertificazioni compilate con gli estremi degli F24 dei versamenti, questo per evitare scuse per i mancati pagamenti, si perchè alcuni come questo cliente te lo chiedono, altri attendono che sia tu a chiamarli dopo che hanno respinto la Riba in scadenza !! per cui costi di insoluto, costi per il recupero del credito, costi per il personale impegnato a documentare gli avvenuti pagamenti, alla faccia della semplificazione !!! Proprio ora che avevamo finalmente messo in piedi l’invio automatico delle fatture via mail o fax !! a mio avviso i ‘fantasisti’ che creano queste leggi-pocate NON HANNO MAI LAVORATO !!!
Aggiungo altri due aspetti: 1) Questa normativa nasce per appalti e servizi, ma viene forzata da alcuni clienti anche per forniture di beni (ho già ricevuto i moduli via e-mail da alcuni clienti cui forniamo beni materiali (apparecchiature) con annuncio che se non fornisco la documentazione richiesta non pagheranno le fatture quando sarà il momento); 2) Privacy: sia per IVA che ritenute vengono chiesti non solo data e numero di protocollo dei versamenti (che di sè basterebbero), ma anche l’importo. Questo secondo me è un dato sensibile che in teoria serve solo al committente a sapere che può stare tranquillo a procedere al pagamento: la dicitura sul modulo ricevuto dice: “giusta articolo 13 D.Lgs n. 196/2003, i dati raccolti saranno trattati, anche con strumenti informatici, esclusivamente nell’ambito del procedimento per il quale la presente dichiarazione viene resa”, ma in pratica il dato viene conservato e reso disponibile all’amministrazione del cliente (che succede in caso di verifica fiscale dal cliente? che tutela ho se i numeri vanno in mano a chissà chi?). Il rapporto cittadino fisco deve essere diretto, il fisco chiede, accerta, ed il cittadino risponde (possibilmente entro i limiti di uno stato di diritto). Non si può chiedere al cittadino di disseminare tutta la nazione (ogni suo cliente) con gli estremi dei suoi versamenti fiscali. Pensate ad un corriere che per ogni ritiro che effettua (di contratto di servizio si tratta) rischia di dovere presentarsi con una specie di relazione di bilancio da lasciare a ciascuno. Lo stesso per chi fa e-commerce. Ma scherziamo?
Questo va a fare il paio con la normativa che per verificare il corretto inquadramento di un dipendente che opera presso un cliente (anche un semplice tecnico che si recasse a riparare una fotocopiatrice), richiede il cedolino dello stipendio al quale -bontà loro- viene accettato l’oscuramento degli importi (perchè il responsabile della sicurezza di un’azienda deve conoscere gli stipendi dei tecnici che ivi si recano a prestare qualsiasi servizio?). In questo caso invece vengono esplicitamente richiesti gl’importi di IVA e ritenute versati.
E pensare che per mandare una mail ad un cliente , in teoria dovrei avere la sua autorizzazione in quanto ho memorizzato il suo indirizzo di posta elettronica nel mio pc.
Questa richiesta, oltre al DURC (che per una fornitura pubblica con gara può essere richiesto fino a 3 volte, tra l’inizio della procedura fino al pagamento con 30gg di attesa per ciascuno) completa il quadro delle “semplificazioni fiscali”.
La voglia che viene è quella operare dall’estero, non-beninteso- per risparmiare sui pagamenti dovuti (anche se esosi), ma sulle scartoffie e procedure, ed i costi ad essi correlati che relegano questo paese fuori da ogni ragionevole competitività. Altro che Art.18….
Giusto. Vediamo i nomi. Almeno sappiamo cosa cercare -ed evitare- a febbraio…
@Riccardo
“La voglia che viene è quella operare dall’estero, non-beninteso- per risparmiare sui pagamenti dovuti (anche se esosi), ma sulle scartoffie e procedure, ed i costi ad essi correlati che relegano questo paese fuori da ogni ragionevole competitività. Altro che Art.18….”
Sacrosanto!
E permettere alle piccole Aziende che lo desiderano, gestire l’azienda su un SW gestionale linkato ai vari enti compreso fisco messo su un server dello stato? Potrebbero convergere tutte le loro energie su quello che sono preparati a fare, senza distrazioni di sorta. E’ trasparenza, certo e con l’efficenza ottenuta possono ottenere maggiori credenziali dai finanziatori , rapporti per nulla burrascosi con il ministero delle Finanze ecc.
Al punto in cui siamo fatto 30 con il controllo dei pagamenti basta far 31. E’ una riforma semplice e risparmiosa di costi(sia per le Az. che per lo Stato),energie e vite umane. Naturalmente se un cliente non paga, lo Stato non può pretendere la sua quota di tasse,anzi si farà diligente affinchè sia pagato senza che debba ricorrere all’avvocato. Nessuno di questi avrà più di che lamentarsi con le istituzioni per abuso di autorità.Nessuna asimmetria.
Ma un partito o movimento che ha il coraggio di sventrare l’attuale sistema pensa che ci sia? Per chi fatti i conti (la maggioranza), è convinto che conviene pagare in funzione del valore aggiunto della loro attività produttiva,gli altri lo voteranno è nel loro interesse.
Mi rifiuto.
Per fortuna il lavoro che facciamo in Italia configurabile come appalto è sempre meno (anche senza questa legge qua mancano sia i margini che la certezza del pagamento) quindi non mi è troppo difficile dire a tutti quelli che piantano storie che se vogliono le dannate carte le manderemo ma non accetteremo più ordini. Se queste fossero state le condizioni quando abbiamo iniziato 7 anni fa facilmente ci avrebbero fatto chiudere.
La follia è inziata con l’accettare che il DURC sia spedito via posta (!).
Riporto da sito dell’Inps:
“Il DURC viene spedito tramite posta, a mezzo raccomandata A.R. all’indirizzo del richiedente. I possessori di caselle di Posta Elettronica Certificata (PEC) possono ricevere notizie in merito alla procedura-DURC anche a mezzo di tale canale telematico”.
Si noti come attraverso la PEC (obbligatoria!) si possono avere notizie sulla procedura e non ricevere il documento. A leggerlo ho l’impressione che anche l’estensore se ne vergogni, ma forse è un eccesso di speranza nell’intelligenza dell’individuo.
Occorre che ognuno abolisca gli inutili mantra dell’innovazione/flessibilità/art.18/digitalizzazione/blabla e prenda atto che per ora abbiamo molto da fare nel riportare il semplice buon senso nel modo di concepire il lavoro.
Mi aspetto che prima o poi ci proibiscano di aprire all’estero diagnosticandoci la drapetomania.
C’è poco da dire. Ormai è chiaro che il lavoro che stanno facendo è quello per cui hanno avuto mandato, ovvero distruggere la piccola imprenditoria a favore della grande impresa.