La politica contro il glifosato: perchè non oscurare anche il sole?
Lunedì 27 novembre i 28 Stati membri dell’Unione Europea hanno deciso, attraverso un voto a maggioranza qualificata, di rinnovare la licenza del glifosato fino al 2022. Questa decisione pone così fine ad una lunga diatriba politica iniziata due anni fa e garantisce maggiori certezze all’intero settore agricolo europeo.
Nell’ambito di un protocollo di licenza UE, l’autorizzazione del glifosato sarebbe già dovuta avvenire entro il 30 giugno 2016, ma proprio a causa della mancanza di un accordo al momento del voto del Consiglio, la Commissione aveva optato per una proroga di 18 mesi. Nonostante i numerosi tentativi di mediazione, durante il più recente voto del 9 novembre 2017 i 28 Stati membri non avevano ancora trovato un compromesso. Quel giorno, 14 paesi si espressero a favore del rinnovo, 9 si schierarono contro (tra questi anche Belgio, Francia ed Italia), mentre 5 (tra cui anche la Germania, in quel momento alle prese con un potenziale accordo tra CDU, FDP e Verdi) decisero di astenersi.
La vicenda si è però finalmente risolta settimana scorsa grazie alla decisione di Berlino di appoggiare il rinnovo. Con ben 18 voti favorevoli, 8 contrari e 1 solo astenuto (il Portogallo), gli Stati membri hanno rinnovato l’utilizzo del glifosato. Subito dopo il voto Emmanuel Macron ha immediatamente confermato che il suo esecutivo prenderà tutte le misure necessarie affinché il glifosato (un diserbante non selettivo, ovvero una molecola che elimina indistintamente tutte le erbe infettanti) venga vietato dalla Francia nel giro di tre anni, non appena sarà disponibile un’alternativa. Il governo italiano e quello belga hanno subito appoggiato le istanze francesi spiegando che il voto va contro la tutela dei cittadini europei e dell’ambiente.
Come risulta però essere evidente, la volontà di eliminare l’utilizzo del glifosato a livello comunitario è esclusivamente politica. Fino ad oggi, infatti, l’utilizzo del glifosato è sempre stato ritenuto relativamente innocuo. Non è un caso, dunque, che la maggior parte degli studi più recenti ed importanti sulla molecola in questione spieghino come quest’ultima non sia cancerogena per l’uomo. Ad esempio, nel novembre 2015, l’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha pubblicato una nuova valutazione del glifosato in cui si afferma che “è improbabile che il glifosato sia geno-tossico (in altre parole, che danneggi il DNA) o che rappresenti un rischio di cancro per l’essere umano”. Allo stesso tempo, nel maggio del 2016 e nel marzo del 2017 sia la FAO che l’ECHA (l’Agenzia europea per le sostanze chimiche) hanno comunicato che non esistono problemi di cancerogenicità della sostanza. Le agenzie sanitarie nazionali di Canada, Australia, Giappone e Nuova Zelanda hanno ribadito lo stesso concetto, mentre secondo l’NPIC (il National Pesticide Information Center) degli Stati Uniti, questa molecola, quando ingerita, passa per la maggior parte attraverso il corpo in modo rapido, venendo subito espulsa.
L’unico studio che ha inserito il glifosato tra le sostante “probabilmente tossiche” è quello pubblicato nel 2015 dalla IARC, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. A questo proposito è pero necessaria un’importante precisazione: al gruppo delle sostanze “probabilmente cancerogene” (il gruppo 2A in base alla classificazione dello IARC) in cui si trova il glifosato appartiene anche la carne rossa, alcuni composti chimici utilizzati dai parrucchieri, o le sostanze che si sprigionano dalla frittura ad alte temperature. Secondo questa classificazione, il glifosato sarebbe, ad esempio, meno cancerogeno dell’esposizione al sole. Infine, come viene ricordato dalla IARC stessa, l’appartenenza a ciascun gruppo non è una misura del rischio concreto nella vita di tutti i giorni.
Nonostante la posizione praticamente univoca di tutti i maggiori studi scientifici, la questione glifosato è invece politicamente tossica. I governi di Belgio, Francia ed Italia, da superpotenze agricole dell’Unione quali sono, mirano ad ottenere notevoli vantaggi economici dalla norma. Bruxelles, Parigi e Roma vorrebbero infatti introdurre sul mercato un prodotto “europeo” che possa essere utilizzato al posto dell’attuale “Roundup”, erbicida brevettato e commercializzato dalla Monsanto.
Ad oggi, l’idea che molti politici europei stanno pensando di perseguire sarebbe quella di promuovere un erbicida più “naturale” come Beloukha, un prodotto a base di acido pelargonico di origine vegetale per il controllo non selettivo della vegetazione commercializzato da Jade, un’azienda francese controllata da Belchim, un consorziato agro-chimico belga. Dal 2015, in Italia, Beloukha viene distribuito in esclusiva da Novamont, azienda che due anni fa ha raggiunto un accordo con Consorzi Agrari d’Italia, società a cui fanno riferimento tutti i membri di Coldiretti. Inutile, a questo proposito, ricordare come Coldiretti da tempo si batta purtroppo per i propri interessi lobbystici anziché per tutelare gli agricoltori italiani. Da questo punto di vista la recente vicenda Fidenato-OGM e la continua battaglia contro l’accordo di libero scambio con il Canada non lasciano alcun dubbio: meglio proteggere gli interessi di poche aziende “amiche” piuttosto che tutelare veramente i nostri produttori e raccontare la verità ai cittadini.
Se nel corso dei prossimi anni Beloukha sarà effettivamente in grado di sostituire Roundup in quanto prodotto di qualità superiore con prezzo competitivo, i primi ad accorgersene saranno certamente gli agricoltori europei e non ci sarà bisogno di alcun intervento legislativo. Al contrario, se il consenso scientifico continuerà ad esprimersi in modo esaustivo in materia e Beloukha non riuscirà ad imporsi sul mercato perché prodotto di qualità inferiore o perché prodotto troppo costoso rispetto alla concorrenza, è giusto che Roundup continui ad essere – anche in un futuro – la prima scelta per i nostri coltivatori.
Tutto questo ci porta ad una drammatica conclusione, ormai triste leitmotiv della politica odierna: in un ambito in cui il dibattito politico dovrebbe basarsi principalmente su studi, ricerche e test scientifici, la voglia di eliminare l’utilizzo del glifosato attraverso il ricorso al semplice “principio di precauzione” rischia di avere effetti negativi di lungo termine sull’avanzamento tecnologico del settore agricolo europeo, sull’efficienza operativa di milioni di aziende agricole e sull’export di numerosi paesi emergenti, come Argentina o Brasile. Una decisione del genere rischia inoltre di generare una doppia ed inefficiente legislazione, come già avvenuto nel caso degli organismi geneticamente modificati. Insomma, contrariamente a quanto viene spesso riportato da coloro che intendono difendere la nostra salute ed il nostro ambiente, un risultato del genere tutelerebbe solamente specifici interessi industriali.