La paura e la ragione: una lettura hayekiana—di Mario Dal Co
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Mario Dal Co.
The Road to Unfreedom. Russia, Europe, America di Timothy Snyder, Tim Duggan Books, N.Y. 2018; traduzione: La paura e la ragione, Rizzoli 2018 (26 euro).
Una lettura hayekiana.
Contemporary events differ from history in that
we do not know the results they will produce.
F. A. Hayek, The Road to Serfdom, Routledge 1944.
Echochamber e cybercascade
Con la citazione all’inizio di questa lettura ho voluto segnare il fatto che, se il titolo di Snyder sembra rendere omaggio a Friedrich Hayek, in realtà il testo non lo cita neppure. Questo limite, sul quale torneremo in diversi punti di questa nostra lettura, non impedisce a Snyder di dare un contributo decisivo alla storiografia che interpreta gli eventi dei nostri tempi dominati dalle nuove sorgenti di informazione e comunicazione. Oggi, le narrazioni a più larga diffusione non sono basate, in prevalenza, su notizie o su informazioni verificabili; esse originano nella rete stessa, vi rimbalzano autoalimentandosi, dilagano nei social network.
Un esempio. Sul mio profilo che la mia navigazione in rete produce presso chi governa e gestisce gli accessi ad internet, poniamo che io risulti sensibile al tema del terrorismo islamico: sarà facile saturarmi di mail, link e like riferiti a narrazioni non vere, distorte o semplicemente decontestualizzate, che diventano la materia prima perché la mia rabbia cresca. Quelle notizie, infatti, sono accreditate ai miei occhi da migliaia di like, magari originati da botnet, ossia non da veri utenti, ma da reti di computer inconsapevolmente gestiti da entità esterne. Eppure, nonostante questa (falsa) onnipresenza del mio problema nel panorama dell’informazione globale, quel problema (proprio perché e falso) non è sufficientemente rappresentato nei media, o nel programma di una forza politica o nell’agenda del governo. Comincerò a non sentirmi ascoltato dalla classe dirigente, dalle istituzioni, dai media: essi mi tradiscono. La mia frustrazione aumenterà perché le mie ossessioni sembrano condivise da chi è rinchiuso, insieme a me, nelle stesse echochamber dei social network, esposto alle cybercascade della rete, privo di strumenti critici, senza il beneficio del dubbio, anche lui disposto ad esarcerbare i toni e le ingiurie. Con gli altri reclusi nelle echochamber, svilupperò un’attitudine sempre più estremista ed intollerante, come nelle tifoserie o nelle carceri. In questo contesto la divergenza tra la realtà e il mio modo di vedere il mondo attraverso ashtag o tweet, aumenta sempre di più. Quello strumento formidabile di accesso alla conoscenza e all’informazione che è internet, si è trasformato in un paranoico letto di contenzione del mio giudizio. La mia disponibilità ad ascoltare le ragioni degli altri, che costituiscono gran parte della realtà sociale in cui sono immerso e con cui dovrei relazionarmi, si riduce. Non riesco a vedere altro che le mie ossessioni, e se anche non esistono al di fuori di me, o se le loro radici sono più complesse e nascoste di quanto appaiano sui social network, non per questo perdono la loro forza di condizionare il mio essere sociale e la mia percezione dei temi e delle narrazioni. In ogni caso il passo è fatto: la mia capacità critica è minata. Il risultato della manipolazione è già raggiunto.
Gruppi legati direttamente, e non, a governi e lobby di potere lanciano nelle cybercascade prodotte dai social network messaggi destinati ai diversi target che vogliono raggiungere, per accrescerne la polarizzazione, l’intolleranza, la necessità di scontro. Per ottenere questo risultato bisogna alimentare le echochamber della rete, dove la voglia di scontro nutre gruppi sostanzialmente chiusi in cui la ripetizione di opinioni sempre più grottesche senza contraddittorio, senza verifica critica, senza spazio per il dibattito crea le nuove tribù dell’intolleranza che rimpiazza la democrazia (C. Sunstein, #republic, Princeton University Press, 2017).
Come e per chi
Sunstein spiegava come, mentre il saggio di Snyder, che stiamo commentando, indaga per chi, ossia chi ha interesse a veder scivolare nel caos sovranista e in una deriva autoritaria le democrazie liberali.
Sunstein ci portava a vedere come può avvenire il condizionamento dell’opinione pubblica ad opera di manipolatori intenzionali e come questa manipolazione sia possibile sfruttando il funzionamento proprio dei social network e degli algoritmi di profilazione individuale.
Snyder indaga su chi lo sta facendo e per quale motivo.
Ai gruppi di potere o ai governi autoritari che stanno dietro di loro non interessa tanto diffondere idee e ideologie coerenti, quanto creare un nemico, offrendo capri espiatori che assorbano e neutralizzino la capacità individuale di muovere critiche, di avanzare proposte, di promuovere un’alternanza di governo, di sognare un futuro diverso, di richiedere riforme che promuovano la mobilità sociale, magri in un futuro aperto per i propri figli. Il cittadino, in questo modo, tralascia di controllare le attività di quei centri di potere, siano essi gruppi oligarchici, o governi autoritari; rinuncia a domandarsi se le attività dell’amministrazione pubblica possano essere migliorate, rese efficaci, rispettose dei diritti dei cittadini.
La guerra cibernetica è già in corso, in una forma ancora più devastante del furto delle identità o dei segreti industriali. Usa botnet specializzati, controllati da centri occulti al servizio dei governi autoritari e delle loro emanazioni, per indebolire e mettere in crisi i paesi o i partiti nemici: bloccando le loro infrastrutture, violando le mail e soprattutto usando gli algoritmi dei social network per condizionare l’opinione pubblica.
Nel tavolo del gioco democratico si è introdotto un giocatore ombra, che non appare perché è un baro e sposta l’ago della bilancia, che diventa truccata. La manina di Putin a volte si nasconde dietro la rete televisiva RT (Russia Today) a dar man forte alle destre estreme europee (p. 100), oppure attacca producendo forti smagliature come nelle elezioni americane, nella Brexit, nel successo di Alternative fuer Deutschland, nei finanziamenti alla Le Pen, nelle aperture russofile dei due partiti che sostengono l’attuale governo italiano.
Incubi che ritornano
Gli incubi del ventesimo secolo possono tornare, secondo Snyder. Se essi sono di nuovo sulla soglia della nostra casa, nel sonno della ragione, da cui ci credevamo definitivamente destati, possiamo ripiombare. Razzismo, intolleranza sessuale, macismo e infine la perdita della rule of law, nella lettura di Dicey (sovranità della legge, non arbitrarietà del governo, eguaglianza davanti alla magistratura), sono in agguato: strisciando si diffondono. Sono al servizio dei gruppi autoritari che vogliono costituire l’autocrazia, ingigantendo la percezione delle frustrazioni di masse di cittadini ai quali si vuole togliere la facoltà di avere una propria voce critica, limitando la libertà di opinione, minando la credibilità della stampa, indebolendo i diritti delle minoranze etniche, civili, politiche. Il potere autoritario propone continuamente nemici che nell’immaginario si moltiplicano, nella rete si ripresentano, nella narrazione fittizia divengono sempre più efferati e sempre più minacciosi e nella realtà creano una insicurezza che produce un autoritarismo sempre più frustrato e sempre più rabbiosamente orientato contro i “nemici del popolo”: l’élite, la casta, le istituzioni, l’Europa, le banche, i mercati, gli stranieri. Dentro alla categoria spregiata di élite sono in corso di inserimento, da parte delle forze politiche sovraniste: la cultura, la scienza, la professione. Troviamo nei social network che: i medici sono al servizio delle case farmaceutiche e quindi i vaccini sono dannosi; il tumore non ha protocolli scientifici di cura ma si sconfigge con rituali; i giornalisti sono dannosi perché al servizio dei poteri forti; i mercati finanziari sono strumenti di sfruttamento degli innocenti da parte di una lobby internazionale che finanzia le migrazioni per tenere sotto il suo tallone gli innocenti popoli delle nazioni; la moderata Angela Merkel, politica tra le più attente alle ragioni dell’Italia, diventa un odioso nemico.
Intanto dalle parole si passa ai fatti: le violenze razziste aumentano anche nel nostro Paese all’insegna “Questo è il Paese di Salvini” – come urlavano i portabagagli di Venezia mentre bastonavano un africano e la signora spagnola, guida turistica del Vaticano, che cercava di difenderlo (Corriere del Veneto, 10 luglio 2018). La rule of law viene travolta dal continuo tentativo del Ministro dell’interno di scavalcare la magistratura e la legge per perseguire i propri obiettivi di consenso popolare, come dimostra il richiamo del Presidente della Repubblica al governo in occasione del blocco della nave militare italiana carica di profughi fuori dal porto, che ha cercato di imporre, senza fondamento giuridico, lo stesso Ministro.
Amicizie pericolose
Snyder mette in campo la sua straordinaria conoscenza delle lingue, che gli consente di accedere direttamente alle nuove fonti sfuggenti della rete e a riconoscere gli “emittenti” anche quando sono nascosti. Ne risulta una interpretazione dell’involuzione autoritaria delle macroaree Russia, Europa, Stati Uniti. Professore di storia a Yale, getta nuova luce sulle vicende dei nostri giorni che richiamano le tragedie del ‘900, quelle dei totalitarismi fascisti, nazisti e comunisti. A fronte di quelle tragedie le gaffes del Vice-premier Di Maio, le artiglierie verbali del Vice-premier Salvini rivolte contro i più deboli – da Malta alle barche cariche di naufraghi-, i balbettamenti sui pizzini perduti del Presidente del Consiglio prof. Conte possono apparire frammenti di rinverdite farse Atellane, ma non vanno presi alla leggera.
Non vanno presi alla leggera, perché il primo mese di attività del nuovo governo, coincide con un aumento del numero dei morti nel Mediterraneo centrale, passati da 11 di maggio a 679 di giugno 2018, come ricorda Annalisa Camilli (La rotta più pericolosa del mondo, su Internazionale ,https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/07/03/morti-migranti-mediterraneo-libia). Non andrebbero presi alla leggera nemmeno da parte delle marionette in scena, non tutte consapevoli di recitare a soggetto per un regista attrezzato che muove i fili entro reti che lui controlla.
A tale proposito è bene che gli amici di Putin ricordino, come noi ricordiamo, il destino umano e politico di Yanukovyc, che chiese un prestito da Putin mentre rifiutava la firma del trattato tra l’Unione Europea e l’Ucraina. Quelle mosse suscitarono la rivolta di piazza Maidan, l’amico Putin invase il Paese, ci furono migliaia di morti, lo smembramento, il caos economico e politico. Tra le carte trovate nell’ufficio abbandonato da Yanukovych c’erano anche i pagamenti a Paul Manafort, futuro responsabile della campagna elettorale di Donal Trump (pp 127 e ss).
Eterno / inevitabile
La categoria dell’eterno, contrapposta a quella dell’ inevitabile, secondo Snyder, appartiene alla politica autocratica. Essa abolisce il presente dall’orizzonte delle scelte individuali, perché fonte di potenziale instabilità per l’autocrate e riscrive il passato per renderlo identico al futuro, come in Orwell. L’episodio più grottesco di questa riscrittura: la riesumazione e la risepoltura della salma di Ilyn per la regia di Putin, sarà richiamato più avanti. L’altra categoria, l’inevitabile, è foriera di disimpegno e di incapacità di reazione: “Nella versione americana, la natura porta il mercato, il mercato la democrazia e questa la felicità. In quella europea la storia porta la nazione, che impara dalla guerra che la pace è cosa buona, e quindi sceglie l’integrazione e la prosperità” (p. 7). Questa visione meccanicistica era già stata demolita da Julien Benda nel suo Trahison des clercs (Le Cahiers Verts, Grasset 1927, citato da Hayek) quasi un secolo fa: “Va notato che il dogma della storia che obbedisce a leggi scientifiche è sostenuto in prevalenza dai partigiani dell’autorità; e ciò è naturale dal momento che vengono così rimosse due cose che essi vedono con orrore: la libertà umana e l’azione storica dell’individuo”.
Ma la caduta del comunismo ha dimostrato che non c’era alcuna certezza che la via segnata per la creazione di un mercato concorrenziale aperto e trasparente portasse nella direzione della democrazia liberale. Non c’è alcun automatismo. L’America e l’Europa ci hanno messo 25 anni a capirlo, e intanto qualcuno era divenuto sufficientemente forte per contrastare un mercato concorrenziale, e la democrazia liberale con la violenza. Snyder vuole riportare il presente nella storia, superando la paralisi dell’inevitabile e la sua incapacità di sconfiggere la politica dell’eterno.
Nella visione di Snyder gli autocrati, come Putin, una volta effettuato l’assalto al potere con i mezzi dell’illegalità e della prevaricazione, e dopo aver saldato il proprio potere con quello degli oligarchi che tengono in pugno la ricchezza del paese, hanno scarso interesse allo sviluppo economico, che si realizza solo con riforme e proteggendo la competizione con la rule of law.
A mio giudizio, un limite nel libro di Snyder sta nella connessione tra economia e democrazia, che rimane indefinita. Questo nesso si trova, a mio modo di vedere, nel principio di contendibilità, che a me sembra più fecondo dell’alternanza inevitabile / eterno cui rinvia Snyder per marcare il senso politico delle narrazioni ideologiche.
La contendibilità è la proprietà che lega il mercato concorrenziale alla democrazia liberale: tra i due ambiti non c’è nessun inevitabile legame e nessuna consecutio storica o logica. La contendibilità è una connotazione che il mercato e la politica possono avere se il sistema istituzionale lo prevede: i mercati sono contendibili se sono aperti, trasparenti e concorrenziali, ossia se vi è una rule of law efficace che li mantiene contendibili, e la democrazia rappresentativa è funzionante e tutela le minoranze se il potere è contendibile e la rule of law assicura il bilanciamento dei poteri e la responsabilità dei governanti davanti alla legge evitando, in questo modo, la costituzione di poteri autocratici.
Un secondo limite è il mancato riconoscimento delle ragioni teoriche che sempre Hayek aveva individuato, per cui ogni regime socialista o comunista che dichiara di agire nel nome dell’interesse collettivo e di non badare alla difesa dell’individuo, finisce inevitabilmente per attaccare una minoranza, un nemico interno o esterno, evolvendo necessariamente nel vicolo cieco del nazionalismo: “La tendenza universale delle politiche collettivistiche a diventare nazionalistiche non può essere considerata come interamente riconducibile alla necessità di assicurarsi un sostegno senza tentennamenti: significherebbe ignorare un fattore non meno importante…(La distribuzione egualitaria del capitale) che i socialisti proclamano come impegno verso i compagni che fanno parte dello stesso stato esistente, non sono affatto in grado di assicurala agli stranieri” (Hayek, cap. 10).
Questo passaggio di Hayek, avrebbe consentito a Snyder una più limpida spiegazione dei paradossi di Putin (come la riesumazione del fascista Ilyin e il nuovo funerale “sovietico”), con un richiamo meno insistito alla contrapposizione eterno-inevitabile, il cui carattere è più descrittivo che esplicativo.
La rivolta di piazza Maidan
Lo scandaglio di Snyder penetra nella superficie liscia, che, dopo il crollo del muro di Berlino, molti si illusero di poter solcare con il vascello della società democratica, considerandolo inaffondabile. Si è creduto che la navigazione fosse segnata dal superamento delle contrapposizioni storiche del secolo precedente e che ciò ponesse al di fuori dell’orizzonte della storia il rischio di involuzione autoritaria delle società democratiche. Nel suo primo mezzo secolo di esistenza, il grande successo della costruzione dell’Unione Europea apparve come una straordinaria esemplificazione della capacità di attrazione della rule of law, e sembrò impossibile che i popoli e i governi democratici potessero sottrarvisi.
Ma quando Puntin compì il colpo di stato che lo portò alla presidenza nuovamente nel 2012, sull’onda della procurata guerra in Cecenia, condizionando le elezioni e sovvertendo le regole che impedivano la sua rielezione e prolungando la durata del proprio mandato, quello che sembrava un vicinato amichevole tra Unione Europea e Federazione Russa, si trasforma, nelle mani del nuovo autocrate, in uno scontro. La prima vittima è l’Ucraina, di cui fino al 2008 era addirittura auspicata, da parte russa, l’entrata nell’Unione. Anzi, la prima vittima è l’opinione pubblica, poichè l’invasione dell’Ucraina è banco di prova per una guerra ibrida nella quale, oltre alle armi convenzionali, gli attacchi attraverso la rete divengono parte integrante della strategia di destabilizzazione e sopraffazione dell’avversario.
Ricorda Snyder: “Nel maggio 2014 il sito web della Commissione Elettorale Centrale dell’Ucraina fu manipolato per mostrare che un nazionalista (destinatario solo dell’1% dei voti) aveva vinto le elezioni presidenziali. Le autorità ucraine presero l’hacker all’ultimo momento utile, ma la televisione russa, non sapendo che era stato scoperto, trasmise quella stessa infografica annunciando falsamente che il nazionalista era stato eletto presidente dell’Ucraina” (p. 193, traduzione dello scrivente). Seguono attacchi ai media ucraini, alla rete elettrica, alle ferrovie, ai porti, al tesoro, ai ministeri delle finanze, delle infrastrutture e della difesa.
Questa svolta di Putin contro l’Ucraina, è simultanea all’attacco all’Unione Europea: da un lato Putin sente la necessità di assumere la posizione di potere autocratico, in dispregio delle regole, dall’altro Maidan lo ha convinto che l’Unione Europea costituisce un pericoloso richiamo, per paesi e popoli che possono essere attratti come gli Ucraini dalla tutela dei diritti civili e politici che il progetto europeo esige e porta con sé. E’ dopo Maidan che l’Unione Europea diviene l’obiettivo primario della politica di destabilizzazione di Putin.
Dal 2014 la Russia penetra nella reti delle email della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato, di diverse organizzazioni non-governative. Mentre Putin dichiara che nel sud est dell’Ucraina non ci sono truppe russe, le sue forze speciali a Sloviansk gettano la maschera dichiarandosi per quel che sono. La guerra della disinformazione sistematica sul web produce i suoi risultati: alla fine del 2014 solo l’8% degli intervistati russi si sentiva responsabile di quanto accaduto in Ucraina “l’Occidente è contrario a qualunque cosa faccia la Russia, non devi prestare attenzione alle loro pretese”(p. 195). La realtà esce di scena, salvo rientrare per essere soffocata immediatamente quando i cadaveri dei soldati vengono rimpatriati, circondati da un alone di terrore: “il Comitato delle Madri dei Soldati che teneva una lista delle vittime venne dichiarato “agente straniero” dal governo, i giornalisti che riportavano notizie sui caduti furono bastonati: la guerra continuava ma a luci spente” (ibidem).
Eurasia contro Unione Europea
In questo contesto viene rilanciato, da Putin e dal suo gruppo di potere, il progetto di Eurasia, una comunità non di regole, ma di spirito, di cultura popolare e religiosa, in contrasto alla corruzione dei costumi occidentali e alla democrazia liberale che di quella corruzione è portatrice. Una corruzione i cui sintomi, nella propaganda autocratica, sono l’omosessualità, le opposizioni politiche, civili e religiose, la libertà di stampa.
Sono memorabili le pagine in cui Snyder ripercorre le radice ideologiche e politiche di questa attualizzazione del panslavismo ottocentesco, dove ricostruisce la progressiva adesione di Putin all’ideologia di Ivan Ilyin, il teorico del fascismo russo infatuatosi di Mussolini ed Hitler. Ilyin voleva rimuovere dall’orizzonte politico la rivoluzione bolscevica, predicando la necessità di un “dittatore nazionale” destinato ad unire governo e popolo, poichè “noi dobbiamo respingere la politica intesa come meccanismo aritmetico (…) e la fede cieca nel numero dei voti e nel suo significato politico”. Una adesione, quella di Putin, che porta a gesti che sorprendono chi è ancorato agli schieramenti politici del ‘900 contrapposti e non comunicanti. Spicca, emblematica e lugubre, la riesumazione delle spoglie di Ivan Ilyin per ricevere ufficiale sepoltura, rendendo così onoranza di stile sovietico al teorico del fascismo russo. Snyder spiega il senso di queste contraddizioni, apparentemente incomprensibili, richiamando quella politica dell’eterno in cui passato, presente e futuro si fondono nella sostanza immutabile dell’ esercizio del potere dispotico. Questa unità immutabile è rivestita dal mito della nazione innocente.
Il mito della nazione innocente
Il mito si riveste di folcloristici costumi locali, in sostanza narra sempre la stessa cosa: prima della costruzione dell’Europa vi sarebbero state forti nazioni, ciascuna espressione di un popolo eroico e innocente. Sicura nella sua frontiera essa sarebbe oppressa da una élite privilegiata, moralmente corrotta, sessualmente decadente, internazionalista.
Nel mito ritroviamo elementi ideologici riconducibili sia a radici nazionaliste classiche (fascismo e nazismo), sia a radici marxiste (bolsceviche e comuniste). Entrambe quelle ideologie predicano al popolo la sua innocenza per fargli abbracciare un nuovo potere che lo libererà dall’élite sfruttatrice e corrotta, aderendo ad una idea di nazione-razza pura (la destra), o aderendo ad una società di uguali (la sinistra). Entrambe le ideologie vogliono liberare il popolo dal peccato originale dell’individualismo, creando il nemico esterno, sia esso costituito dagli ebrei, dagli zingari, dai kulaky, dai corrotti, dai decadenti, dagli omosessuali, dai neri, dai migranti, dalle minoranze, dagli oppositori, dai traditori. La dimensione individuale viene annullata perché soltanto su di essa si può costruire la critica al potere autoritario, si può proporre un cambiamento possibile, come portato di riforme democratiche.
Il mito della nazione innocente è privo di fondamento reale, basti pensare al destino delle nazioni tra le due guerre mondiali prede dell’uno e dell’altro impero autocratico entro i quali essere “incluse”, protagoniste di reciproche invasioni, violenze, sopraffazioni. In nome di quella innocenza si devono tacitare le minoranze, escludere i migranti, e quindi è necessario alimentare la disinformazione che distorce la percezione della realtà.
Alberto Alesina ha dimostrato il ruolo della disinformazione sul giudizio delle persone rispetto al tema dell’emigrazione: due campioni di intervistati rispondono in maniera del tutto diversa alla stessa domanda che misura la loro avversione agli immigrati. Il campione che risponde sulla base delle proprie percezioni (gli immigrati percepiti sono tre volte di più del numero reale, i musulmani due volte etc.) manifesta un forte pregiudizio, mentre il campione informato sui numeri reali, non manifesta alcun pregiudizio (La forza dei numeri, Corriere della Sera, 9 luglio 2018).
Ricordiamo, allora, che“le conseguenze morali della propaganda totalitaria sono …demolitrici di ogni morale poiché minano uno dei fondamenti di qualsiasi morale, il senso e il rispetto della verità” (Hayek, cap. 10).
Inclusione ed esclusione
Il mito della nazione innocente è continuamente evocato anche oggi dai sovranisti europei e americani nell’opporsi ai meccanismi di inclusione concordati, mediati e discussi sulla base di documentazioni preparatorie di eccellente livello tecnico, quali quelle dell’Unione Europea. Al processo di inclusione in una cittadinanza europea, che sortisce dalla rule of law, tipica dell’assetto dell’Unione, i sovranisti contrappongono l’inclusione per un qualche ordine primordiale (sangue, terra, religione, razza) che attacca le minoranze e le esclude dalla cittadinanza.
Nel capitolo terzo della seconda parte del Mein Kampf Hitler delineò la tripartizione delle persone giuridiche dello stato nazionalista: i soggetti dello Stato nazionalista, su base di nascita e di razza, possono diventare cittadini se maschi solo dopo il servizio militare e se femmine solo dopo il matrimonio, mentre gli stranieri non saranno mai cittadini. Applicò con rigore questo principio ad escludendum durante il suo governo, con gli esiti che sono noti. Soggetti dello Stato e stranieri non devono avere diritti di cittadinanza. Dopo l’accordo Stalin-Hitler del 1939 i due imperi autocratici si spartirono, infatti, il territorio della Polonia e sterminarono arbitrariamente i suoi cittadini sulla base della colpa di non fare parte del popolo invasore quale che esso fosse. L’inclusione autocratica avviene con la forza, per privare chi viene incluso della sua cittadinanza, privarlo della famiglia, della religione, della lingua, della cultura, della dignità e trasformarlo in un numero, e togliergli, ad libitum, la vita che non gli appartiene. E ciò è già avvenuto nel campo di concentramento nazista o nel gulag sovietico, e può avvenire e già avviene nell’hot spot del deserto nordafricano sventolato dai sovranisti europei o nei dintorni dei muri trumpiani, israeliani, orbaniani. Soddisfatto il Ministro dell’interno tedesco Horst Seehofer il 10 settembre festeggia“Per il mio 69 ° compleanno 69 persone sono state rimandate in Afghanistan – era qualcosa che non ho ordinato – ma è ben al di là di quanto si è fatto finora” (Frankfurte Allgemaine Zeitung 10 7 2018). Il suo ghigno si è spento quando è giunta la notizia del suicidio di uno dei deportati.
L’incubo, che incombe sull’Europa, di una nuova frantumazione ottenuta dagli istrioni Orban, Salvini, Farage, Seehofer, Kurz, si nutre di una babele di slogan e di invenzioni che alimentano tutti gli egoismi contrapposti indebolendo la capacità di criticare e cambiare il governo attraverso il processo democratico. Una babele destinata a sfuggire dalle loro mani, quando cominceranno a scaricare l’uno sull’altro le responsabilità di promesse non mantenute, finendo con il disgregare, con l’aiuto del prof. Savona Ministro per gli Affari europei, la fiducia dei mercati, sgretolando ricchezze e lavoro e spegnendo forse per decenni il progetto di una Unione governata dalla rule of law.
Abbandonare la via della schiavitù
Ma perché, ci si potrebbe chiedere, un gruppo dirigente, per quanto rozzo, dovrebbe prestarsi ad un gioco a somma negativa, in cui c’è solo da perdere? La risposta di Snyder è uno dei punti chiave del suo saggio. Snyder sgombra il campo da molti ragionamenti attendisti e riduzionisti, che si domandano quale motivo avrebbero gli avversari dell’Unione Europea a metterla in difficoltà se non per fisiologici scontri di interesse economico. Non è così: l’autocrate Putin che con costanza ha allevato le larve nei termitai sovranisti, basa il suo potere sul sostegno della cleptocrazia russa, e gli oligarchi che la compongono, hanno bisogno di Putin per mantenere la loro presa sulle ricchezze della Russia. Putin, a sua volta, trova utili i sovranisti europei per distruggere l’Unione, al fine di eliminare le sanzioni contro la Russia e soprattutto al fine di togliere dallo scenario un modello di riferimento per una società dove governano le leggi e la democrazia, dove il procedere comune è condiviso attraverso farraginosi, faticosi, dibattuti processi di mediazione. L’obiettivo è eliminare il rischio di attrazione che l’Unione Europea dimostrò di esercitare prima sui paesi ex satelliti dell’URSS e poi sull’Ucraina di piazza Maidan. Nelle parole del sociologo tedesco Andreas Kemper “Vedo piuttosto il grande pericolo che si crei una destra europea – con il sostegno dei fondi russi e il riconoscimento russo”.
Lo scandaglio di Snyder ripercorre passo dopo passo il procedere degli attacchi di Putin contro l’estabishment democratico negli Stati Uniti, nell’Europa, evidenzia gli aiuti che gli oligarchi hanno dato ad un Trump “imprenditore di successo” in realtà fallito del 2014, quando nessuna banca voleva più fargli credito avendo egli stesso accumulato, alla fine degli anni ‘90, circa quattro miliardi di dollari di debiti verso circa settanta banche (p. 220). Partito da piazza Maidan, Snyder si è ritrovato, anche con sua sorpresa, a Washington.
Regimi caratterizzati da un autoritarismo intollerabile, come nel caso della Russia o della Corea del Nord, divengono gli interlocutori privilegiati di un Trump alla ricerca della conferma popolare della svolta autoritaria che vuole imprimere al suo paese. In nome di questi suoi interessi, il presidente attacca l’Unione Europea proprio per la pervasività della rule of law della sua costruzione, delle libertà straordinarie che ha assicurato, della diffusione dei diritti e delle tutele che assicura con il suo welfare, con la sua prospettiva di inclusione che ha assicurato enormi benefici materiali e politici ai paesi dell’ex blocco comunista, con il suo impegno nella tutela dell’ambiente. La gravità della posizione di Trump è stata ben rappresentata da Federico Rampini: “È verso gli autocrati che si sente attratto questo presidente. La sua figura sta accelerando la crisi di sfiducia delle democrazie occidentali. Se non ci crede più colui che una volta si definiva il leader del mondo libero, perché dovrebbero crederci tanti cittadini?” (Così si sfascia l’Occidente, Repubblica, 9/6/2018). Il contributo di Snyder sta nel ricondurre questi comportamenti apparentemente irragionevoli, ad una logica stringente di potere, che impone, al leader autocratico e che aspira a diventarlo, di trovare “il nemico esterno necessario per il controllo all’interno del proprio paese” (p. 278).
La conclusione del saggio è un invito: “in condizioni di sfiducia e di isolamento, la creatività e l’energia virano verso la paranoia e la cospirazione, una febbrile ripetizione dei più antichi errori…Ma se vediamo la storia per ciò che è, riconosciamo il nostro posto e ciò che potremmo cambiare e come potremo migliorare. Arrestiamo la nostra sconsiderata oscillazione tra inevitabile ed eterno e imbocchiamo la via della libertà, incamminandoci nella politica della responsabilità” (p. 279).
Un invito all’ impegno culturale, civile e politico che richiama da vicino la constatazione amarissima di Hayek “Quando il fluire della civiltà prende una improvvisa svolta, quando al posto del continuo progresso che noi ci attendiamo, troviamo noi stessi sotto la minaccia di mali che associavamo alle età di un passato barbaro, naturalmente accusiamo qualunque cosa tranne noi stessi” (Hayek, cap. 1).