La never-ending story delle Concessioni balneari
Il Consiglio di Stato boccia (nuovamente) una proroga
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco Bruno
In un recente Focus dell’Istituto Bruno Leoni, mi chiedevo cosa avrebbe fatto il Governo Meloni sul tema delle concessioni balneari. Per il momento, come prevedibile, ha preso tempo, allungando di un anno la proroga delle concessioni in essere rispetto alla scadenza del 31 dicembre 2023 prevista dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 18 del novembre 2021.
Era ed è altrettanto prevedibile che – difficilmente – la giustizia amministrativa, così come quella dell’Unione europea, muterà il suo orientamento sul tema. D’altronde, i giudici di Palazzo Spada l’avevano scritto chiaramente nella sentenza sopracitata:
Si precisa sin da ora che eventuali proroghe legislative del termine così individuato (…) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere.
Ed infatti l’orientamento non sembra affatto cambiato, come dimostra una recente pronuncia del medesimo Consiglio di Stato (n. 2192/2023). Il caso nasce nel 2021, quando l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deciso di impugnare una deliberazione del Comune di Manduria che, sulla stregua della Legge di Bilancio 2019 (Governo Conte 1), aveva esteso la durata delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2033. Il ricorso dell’AGCM era stato respinto dal TAR Puglia – Lecce in primo grado, prima di approdare dinnanzi all’organo superiore della giustizia amministrativa. Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello dell’AGCM, annullando la sentenza del TAR e la delibera del Comune di Manduria.
Nelle motivazioni della sentenza, vi è una ricostruzione in linea con la citata sentenza del medesimo CdS del 2021 e con la sentenza del 14 luglio 2016 della Corte di Giustizia UE. La pronuncia si concentra in primo luogo sull’appello incidentale proposto da una delle resistenti, la società Ca.De.Me. Tralasciando i primi due motivi di appello incidentale, prettamente relativi alle dinamiche processuali, con il terzo motivo è stata affrontata di nuovo la questione della presunta inapplicabilità della Direttiva Bolkestein al caso delle concessioni balneari, poiché l’oggetto delle stesse sarebbe un bene e non un servizio. Ho già trattato la questione nel Focus succitato, quindi è sufficiente ricordare che la sentenza smonta nuovamente la ricostruzione meramente formalistica che porterebbe a distinguere tra concessione di beni ed autorizzazione di un’attività. La sostanza è che si tratta di un bene concesso per esercitare un’attività economica e, come tale, rientra nel campo di applicazione della Direttiva. La sentenza si allinea a quanto richiamato nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria del 2021, che viene richiamata.
Il quarto motivo dell’appello incidentale concerne invece altre due questioni.
La prima è più legata al caso di specie. A dire dei resistenti, non ci sarebbe lesione della concorrenza, perché l’area oggetto di concessione sarebbe raggiungibile solo attraverso una proprietà privata riguarda l’asserita mancata lesione della concorrenza. Questo non sarebbe vero, secondo la relazione tecnica depositata dall’AGCM, ma per i giudici sarebbe comunque irrilevante, perché la deliberazione del Comune di Manduria avrebbe carattere generale, non particolare.
La seconda riguarda invece un tema ricorrente in tutti i contenziosi sul tema: l’asserita mancanza di scarsità delle risorse. Secondo la resistente, non vi sarebbe alcuna scarsità, perché su 16 chilometri di coste nel Comune, 3 chilometri sono destinati ad essere oggetto di concessioni e solo 500 metri sarebbero effettivamente concessi. I giudici, richiamando i principi europei secondo i quali si deve analizzare il contesto del territorio comunale, sostengono che avere solo 3 chilometri di costa contendibili, rappresenta una chiara dimostrazione della scarsità delle risorse contendibili.
Accogliendo invece i motivi di appello proposti dall’AGCM contro la sentenza del TAR, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che:
- il Comune di Manduria, con la deliberazione impugnata, ha scelto di adeguarsi alla normativa interna (la Legge di Bilancio 2019), ignorando il diritto UE e, pertanto, ha leso la libera concorrenza e il corretto funzionamento del mercato;
- non c’era alcuna necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale;
- l’articolo 12 della Direttiva Bolkestein ha carattere di auto-esecuzione, come ben spiegato dall’Adunanza Plenaria del 2021, non serve un’ulteriore disciplina di dettaglio;
- non è vero che solo i giudici possono disapplicare una norma nazionale interna per prevalenza del diritto UE, ma può farlo qualsiasi organo dello Stato, qualsiasi pubblica amministrazione.
La sentenza appena riassunta, per sommi capi, è importante non solo per aver confermato l’orientamento che si sta consolidando della giustizia amministrativa sul tema, ma anche per aver confermato la legittimità ad agire dell’AGCM. Ciò potrà dare forza all’azione dell’Autorità, a difesa dei principi di libera concorrenza.
Se il Governo continuerà a prendere tempo ed a non intervenire legislativamente, si rischia una proliferazione enorme di contenziosi amministrativi. Non sembra un risultato edificante, per nessuna delle parti in gioco, operatori del settore compresi.