La mano del potere
Già nel diciannovesimo secolo Alexis de Tocqueville, di ritorno dal suo viaggio negli Stati Uniti, metteva in guardia dalla tendenza a ritenere immuni i regimi democratici dal pericolo di scivolare verso una deriva autoritaria altrettanto illiberale quanto lo era stata quella delle monarchie assolute europee dei secoli precedenti. “Quanto a me – scriveva ne La Democrazia in America – quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m’importa di sapere chi mi opprime, e non sono più disposto ad infilare la mia testa nel giogo soltanto perché mi viene presentato da un milione di braccia”.
Qualche secolo più tardi Karl Popper ha ritenuto necessario riprendere il medesimo ammonimento ricordando nel suo libro più famoso (La Società aperta e i suoi nemici) che “anche una maggioranza può governare in maniera tirannica” e che la democrazia altro non è che un metodo utilizzato per consentire ad una comunità di assumere decisioni che non assicurano tuttavia a priori la tutela dei diritti individuali degli esseri umani.
A ragione, pertanto, i due pensatori liberali hanno sottolineato come la circostanza che il Governo di una Nazione sia espressione della maggioranza degli elettori anziché di una più o meno cospicua minoranza non offra da un punto di vista liberale alcuna garanzia aggiuntiva circa il riconoscimento e la tutela delle libertà fondamentali dei cittadini.
E’ nella forma di Stato, nel concreto atteggiarsi del rapporto fra l’Autorità e la libertà, fra potere pubblico ed individuo, invece, che va misurato il grado di liberalità del Governo e ancor più nella dimensione dello spazio che il variegato spettro dei soggetti pubblici riesce ad occupare a discapito dell’autonomia individuale (anche in economia ad esempio), tenuto conto che la forma di governo descrive, di contro, la ripartizione del potere fra i vari organi che compongono a livello centrale lo Stato e nulla di più.
Non è un caso, infatti, che l’evoluzione di paesi tradizionalmente liberali come il Regno Unito e gli Stati Uniti sia stata contrassegnata più dalle tappe che hanno inciso sul riconoscimento delle libertà individuali e sulla limitazione del potere pubblico che dalla revisione della forma di governo o del tasso di rappresentatività del Parlamento e degli esecutivi nazionali. La Magna Carta, il Bill of Rights, l’Human Rights Act, gli emendamenti della Costituzione degli Stati Uniti, una cultura fortemente impregnata di individualismo liberale e Tribunali realmente indipendenti hanno rappresentato, strada facendo, la vera garanzia contro qualsiasi pericolo di deriva autoritaria molto più di quanto lo abbiano fatto gli altri contrappesi di una forma di governo che è rimasta pur sempre presidenziale o di un regime parlamentare sin dalla sua nascita a forte impronta maggioritaria.
Appare davvero singolare, allora, come davanti al cosiddetto combinato disposto della riforma costituzionale e della legge elettorale a doppio turno di lista, l’attenzione di molti studiosi di diritto pubblico e di numerosi esponenti politici si sia concentrata in Italia su una presunta deriva autoritaria di cui non vi è obiettivamente traccia.
Nè la proposta di revisione della Costituzione (che non incide in nessun modo sul rapporto fra cittadino e autorità pubblica ma si limita ad alcuni ritocchi sulla forma di governo al fine di rendere più efficiente i processi decisionali) né la legge elettorale a doppio turno (il cui unico scopo è quello di garantire la stabilità di governo) alterano le caratteristiche di una forma di Stato come quella Italiana che è ben lungi in ogni caso dal poter essere definita autenticamente liberale e che molto è stata incisa fortunatamente dagli insegnamenti della Corte di Giustizia europea e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Sembra sfuggire ai più come all’interno del nostro “regime” democratico Governo e Parlamento possano in ordine sparso: appropriarsi di oltre metà del PIL prodotto dai cittadini e sperperarlo impunemente, controllare l’informazione pubblica, influire pesantemente sull’istruzione dei cittadini, scegliere in economia i vincitori e salvare i perdenti, limitare le libertà civili degli italiani, e tutto ciò tanto se siano rappresentativi di più del 50% degli elettori quanto se siano stati investiti da una semplice maggioranza relativa.
La gestione condivisa delle responsabilità all’interno di una forma di governo parlamentare a tendenza assembleare (non maggioritaria dunque) assicura unicamente l’affollarsi di più gruppi organizzati al banchetto della spartizione del potere statale a discapito dei diritti e delle libertà del singolo individuo. Nulla a che vedere con una battaglia per la libertà che possa arrestare una deriva autoritaria. Almeno fino ad ora.
@roccotodero