La magia del lavoro fisso a costo fisso
Uno dei primi atti politici di Luigi Di Maio, in qualità di Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, è stato, nei primi giorni del mese di giugno, incontrare i riders, cioè i fattorini che in bici fanno consegne a domicilio e che chiedono il riconoscimento di diritti e tutele. L’obiettivo di questo appuntamento era “arrivare ad aprire un tavolo di regole condivise”. Sui pericoli del tentativo di regolamentazione dei riders e, in generale, sui problemi correlati all’ingessatura in briglie regolatorie, per lo più obsolete, dei servizi resi dalle piattaforme di intermediazione, della cd. gig economy, bene ha detto e scritto su questo blog Carlo Stagnaro e vale la pena ascoltare gli interventi dell’incontro organizzato sul tema da IBL ed ADAPT.
Le derive di quest’ansia da normazione non faranno, peraltro, che moltiplicarsi a dismisura. Mettiamo in guardia il Ministro Di Maio: potrebbe essere arrivata, per lui, l’ora del tavolo dei maghi. Già, perché come si può pensare di tutelare i riders e non chi legge i tarocchi per telefono? La notizia è di questi giorni: ”Cartomante a 7 cent/minuto: denuncia alla Cgil”. “Non ho mai preso in giro nessuno” dice la lavoratrice discriminata e precaria, “ho semplicemente letto le carte dicendo con molto tatto quello che riuscivo a decifrare. Quello che ho capito è che in realtà la gente aveva solo bisogno di parlare con qualcuno”. È questo il racconto della giovane che ha lavorato per oltre un anno come cartomante in un call center di Taranto con la promessa di un guadagno di 7 centesimi per ogni minuto di conversazione. Lo scorso mese, però, ha lasciato il posto di lavoro perché, in realtà, svolgeva un impiego full time, ma non nella retribuzione e si è rivolta alla Cgil che ha segnalato il caso del call center che cerca cartomanti con annunci sul web. “Inizialmente lavoravo 6 ore al giorno, poi siccome i clienti chiedevano di parlare con me ho iniziato a lavorare anche 8 ore al giorno. Si lavorava 6 giorni alla settimana e ogni mese dovevo garantire 2 domeniche. Per ottenere il pagamento mensile era un’odissea ogni volta”.
Facendo un facile e immediato calcolo, guadagnare 7 centesimi al minuto significa guadagnare 4,20€ all’ora. È poco? È tanto? C’è chi potrebbe dire che si tratta di un lavoro utile, assistere sventurati in cerca di riposte sul loro futuro, o semplicemente di una voce amica, dunque un lavoro con una funzione, come dire, sociale. Altri, più cinicamente, potrebbero dire che 4 euro e 20 centesimi all’ora per sparare cretinate al telefono sono pure troppe. Chissà cosa penserebbe il Ministro: lo immaginiamo al “tavolo condiviso” con maghi, maghesse, lettori di tarocchi più o meno taroccati, che chiederanno più diritti, più tutele, più dignità, full time, tempo indeterminato, e paga oraria minima come da CCNL. Sì, ma quale? Il CCNL degli assistenti sociali o quello dei cialtroni? Il Ministro, di certo, non potrebbe disinteressarsene, sono lavoratori dignitosi anche loro, perché privarli del sacrosanto diritto a un bel contratto a tempo indeterminato e a una paga oraria minima?
Questa tragicomica vicenda che potrebbe ispirare una commedia di Totò, ci aiuta a capire come sia concettualmente molto pericoloso credere che si possa definire per legge il costo del lavoro, tanto più in una situazione del mercato del lavoro come l’attuale, così delicata, fragile e in grande ritardo rispetto alle tante riforme che ancora sarebbero necessarie, purtroppo in senso diametralmente opposto a quanto ha iniziato a fare l’attuale maggioranza che sta puntando, chiaramente, all’introduzione del costo minimo orario, al cosiddetto minimun wage.
Stabilire il costo minimo di un’ora di lavoro potrebbe sembrare una via facile mentre, in realtà, si tratterebbe di inchiodare, frenare la mobilità del mercato del lavoro, chiuderlo, renderlo asfittico, impedirne l’inclusività, il libero accesso; comprimere la libertà di contrattazione, oggi, non farebbe altro che escludere ed estromettere da un lato e, dall’altro, alzare a dismisura le pretese, fino alle più bislacche e ridicole, di chi nel mondo del lavoro c’è già. Insomma, quanto può valere raccontare favole al telefono, sono tanti o pochi 4 euro e 20 centesimi all’ora?: per avere una risposta converrebbe, davvero, cercarla nei fondi del caffè o nella palla di vetro.
Proprio per evitare che lo Stato arrivi a doversi occupare di tutelare il diritto al lavoro degli affabulatori, è bene impedire che giochi questa partita, perché è perdente in partenza. A tale proposito è davvero molto utile rileggere le pagine di un grande italiano, spesso dimenticato, Ernesto Rossi che nel suo libro Abolire la miseria (Laterza, 2002 [1945]), sul salario minimo, scriveva:
Stabilire per legge un salario minimo nazionale non equivale a mettere in grado tutti gli operai di guadagnare un tale salario. Se significasse ciò da molto tempo la miseria sarebbe scomparsa dalla faccia della terra. Anzi non ci sarebbe alcun limite alle possibilità di miglioramento delle condizioni dei lavoratori: basterebbe aumentare indefinitivamente l’altezza del salario minimo. Il fatto invece è che le imprese per reggersi in piedi devono rendere: non sono istituti di pubblica beneficienza (…) Vietare agli imprenditori di pagare per un certo lavoro un salario inferiore ad un certo minimo, vorrebbe dire escludere da esso tutti coloro che avrebbero una produttività troppo bassa per arrivare a tale minimo. (…) Di ciò si sono accorti in America i neri degli stati del sud ai quali i sindacati degli operai bianchi – sotto pretesa di assumerne le difese ma in verità per eliminarli dal mercato del lavoro – vogliono estendere i contratti salariali che sono riusciti ad imporre negli stati del nord. Essi spesso protestano contro questa non richiesta generosità, preferendo salari più bassi, con maggiori opportunità di lavoro.