La libertà rende il mondo migliore
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Andrea Marrocchesi.
Uno dei più grandi ed esiziali miti delle scienze economiche è quello secondo il quale il capitalismo( o libertà economica) generi grandi benefici per un ristretto ammontare di persone e che impoverisca la moltitudine. Le origini di questo pensiero risalgono, almeno in epoca contemporanea, a Karl Marx: il filosofo di Treviri asseriva che in un sistema capitalistico la competizione determinasse un calo dei profitti, rendendo necessario un maggiore sfruttamento dei lavoratori.
La teoria marxiana fu poi “aggiornata” da Vladimir Lenin. Questa modifica fu resa necessaria dal drastico miglioramento delle condizioni dei lavoratori nelle nazioni industrializzate rispetto all’epoca di Marx. Nella sua opera L’imperialismo, fase suprema del capitalismo , il rivoluzionario di U’janovsk elaborò una nuova tesi. L’aumento del benessere in Occidente era stato reso possibile dallo sfruttamento delle risorse nelle colonie. Questa idea esercitò una profonda influenza sulle future generazioni di leader africani che traghettarono i loro paesi verso l’indipendenza, rifiutando il modello capitalistico in favore del socialismo sovietico, con risulti spesso disastrosi, come nei cas di Tanzania e Zimbabwe.
Ma nonostante gli innumerevoli tentativi di ostacolarla, la libertà d’impresa ha continuato a migliorare le condizioni di vita non solo delle popolazioni occidentali, ma anche di quelle sottoposte a regimi socialisti. Ciò è statisticamente appurato dalla decuplicazione negli ultimi 200 anni del reddito medio pro-capite a livello mondiale. Paradossalmente, la libertà genera benefici anche per chi non ne gode direttamente.
Il Premio Nobel per l’Economia del 1974, l’austriaco Friedrich Hayek, spiegava cosi questo meccanismo nel suo libro del 1960 La società libera: “Non vi è dubbio che nella Storia maggioranze non libere abbiano beneficiato dell’esistenza di minoranze libere, e che oggi società non libere beneficino da quello che ottengono ed apprendono da società libere.”
Per citare un esempio concreto a sostegno di questa tesi, si può guardare ad un lavoro del 2002 di Stephen Van Dulken, ex curatore del Servizio Informazione Brevetti della British Library. Nel suo “Inventing the 20th Century: 100 Inventions that Shaped the World” . Come si evince dal titolo, Van Dulken identificò le 100 principali invenzioni del XX secolo, una per ogni anno. Dimostrando come la stragrande maggioranza provenisse da paesi liberi.
Basandosi sul paese di nascite dell’inventore, 47 erano statunitensi, 30 britannici, 4 francesi, 3 canadesi ,altrettanti tedeschi e 2 svedesi. Altri paesi liberi, fra cui l’Italia, contribuirono con un inventore a testa. Anche guardando gli Stati dove tali invenzioni sono state brevettate il quadro non è molto dissimile: gli Usa vantano 46 brevetti, la Gran Bretagna 29 ed altre 15 circa provengono da paesi democratici ed industrializzati come Francia, Germania, Canada, Giappone e Svizzera. Le invenzioni in questione sono tutte di una certa rilevanza: i refrigeratori, l’aria condizionata, l’aeroplano, la televisione, il computer, i microchip, il forno a microonde, l’aspirapolvere ed i telefoni cellulari solo per citarne alcune. Sebbene possa sembrare superfluo, queste invenzioni non hanno beneficiato solo i loro creatori ed i propri paesi d’origine: si sono piuttosto diffuse su scala globale, migliorando e facilitando la vita ad una platea sterminata di individui, compresi quelli oppressi da una qualche forma di tirannia.
Un altro esempio in ottica comparativa ci viene fornito dall’Africa subsahariana e gli Usa. Nel 1960, anno in cui la decolonizzazione dell’Africa può dirsi quasi totalmente completa, il reddito medio nell’Africa subsahariana era pari a 1075 dollari, mentre negli Usa era pari 17.000 dollari. Nel successivo mezzo secolo( le cifre sono in dollari 2010) il reddito reale africano è cresciuto del 55%, arrivando a 1660 dollari; il reddito statunitense, invece, crebbe del 203% passando da 17.000 a 51.000. Dunque, se nel 1960 il reddito medio americano era quasi 16 volte quello subsahariano, nel 2010 lo era di circa 30 volte. Un rapporto così sbilanciato può essere spiegato con l’applicazione, in molti paesi africani, di politiche socialiste e protezioniste, che hanno inibito la competizione interna e gli scambi col mondo esterno, portando ad una recrudescenza di situazione socioeconomiche già precarie.
Al contrario, l’intera Africa ha beneficiato dell’evoluzione tecnologica verificatasi nei paesi liberi e (è proprio il caso di dirlo) capitalisti. L’aeroplano, invenzione statunitense, ha permesso di consegnare derrate alimentari e medicinali nelle zone più profonde e inaccessibili del continente ; l’insulina sintetica, invenzione canadese, salva vite nell’Africa australe; la fotocopiatrice, altra invenzione statunitense, ha facilitato l’accesso all’istruzione delle fasce più deboli della popolazione.
Sebbene negli ultimi anni in Occidente abbia preso piede un certo pessimismo diffuso riguardo alle virtù della libertà economica e politica, personalmente voglio essere ottimista e pensare che questo trend negativo verrà invertito. Nel frattempo, per garantire un continuo progresso del umanità, come ci ha insegnato Hayek, è necessario che anche solo una minoranza del pianeta rimanga libera. E questa, almeno spero, è una sicurezza.