La libertà della rete condannata a Milano
L’attesa sentenza sul caso Google-Vividown è arrivata ed ha un sapore agrodolce. Con l’usuale caveat – per leggere la motivazione sarà necessario attendere tre mesi – è possibile esprimere un primo giudizio.
Che il giudice abbia assolto gli imputati per l’accusa di diffamazione è senz’altro significativo: tanto perché si trattava del capo d’imputazione centrale nella ricostruzione del PM, quanto perché era quello di più spiccata offensività. Non è, però, rassicurante la valutazione alternativa accolta nel dispositivo, che condanna tre dirigenti di Google per illecito trattamento dei dati personali.
La decisione sembra implicare, grottescamente, un onere amministrativo addirittura superiore al filtraggio preventivo dei contenuti: quello di ottenere da ogni soggetto coinvolto l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini.
Se è vero che solo le motivazioni potranno chiarire il percorso argomentativo del giudice Oscar Magi, è pur certo che siamo di fronte ad un precedente assai pericoloso per l’evoluzione dei servizi basati su user generated content. Mi pare che le avvisaglie siano chiare: basti pensare al caso dei giorni scorsi in cui WordPress.com ha censurato un intero blog per la presenza di un commento potenzialmente lesivo dell’immagine di un’azienda d’abbigliamento.
sara’, ma come sai, io avevo previsto questo esito un anno fa e, sulla base delle informazioni che ho, come dicevo nel mio intervento all’istituto, forse non e’ nemmeno una decisione sbagliata.
Siamo sicuri sicuri sicuri (senza vedere le carte) che YT avesse fatto tutto a norma ?
Se io apro un ufficio in USA e gestisco un web per il mercato USA e non metto i contatti per la DMCA (Digital Millenium Copyright Act), come previsto dalla legge, e se qualcuno usa il mio sito per piratare, cosa mi succede ?
questo e’ sufficiente per dire che negli USA e’ a rischio la comunicazione su Internet ?
io aspetto di conoscere i fatti, prima di esprimere un giudizio definitivo. Sulla base di cio’ che mi e’ stato riferito, ho l’impressione, appunto, che fosse l’esito piu’ scontato.. http://is.gd/944et
p.s. saro’ lieto di sbagliarmi, saro’ lieto di sapere che Google vincera’ in appello e che dimostrera’ di avere avuto un comportamento assolutamente diligente e ineccepibile.
Grazie, Stefano, per il commento. Purtroppo siamo tutti in difficoltà e senza la motivazione del giudice andiamo un po’ a tentoni. Però è una decisione un po’ strana – stante l’assoluzione per la diffamazione – e piuttosto pericolosa.Vedremo.
Io sposo la tesi che la sentenza non potrebbe essere altrimenti.
E che la soluzione starebbe in una form che Google si farebbe firmare elettronicamente. Sarebbe in pratica una liberatoria con cui, chi mette il contenuto di turno, se ne assume la responsabilità in termini di privacy e quant’altro. E’ un’operazione banalissima e velocissima e che si fa in diversi altri casi, mai mandato un CV?
Quindi, la gente comincerebbe a capire che la rete non è terra di nessuno. E la giustizia avrebbe un capo d’imputazione preciso da cui l’utente della rete non potrebbe scappare. Un po’ come quando si va negli USA ed in aereo devi rispondere a domande del tipo “Vieni negli USA a fare atti terroristici?”. Sicurmente molto terra terra ma altrettanto efficace nell’accertazione delle responsabilità.
In rete si trova di tutto, fucilazioni, assalti, violenze, suicidii: è un’onda inarrestabile ed inevitabile se accade che una Rete metta in contatto ogni punto del globo e della dimensione umana.
E’ però inammissibile che un servizio quasi essenziale come Google consenta la facile ricerca del link di un video amatoriale, in cui vengono mostrate torture realmente messe in pratica, mentre un’intera nazione reagisce sdegnata ed impotente.
Assolutamente corretto, credo anzi che sia ora di eliminare l’idea che su Internet si possa restare anonimi ed irriconoscibili.
Internet per passare alla versione 3.0 deve rendere tutti gli utenti responsabili di quello che fanno inrete, nel mondo “virtuale” esttamente come in quello reale.
Alberto