La liberalizzazione del mercato elettrico: quando i dati non dicono quello che sembrano dire
Pochi giorni fa, il presidente dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera), Stefano Besseghini, ha presentato la relazione annuale sull’andamento dei settori regolati. Tra le tante considerazioni espresse sul mercato elettrico, due sono particolarmente importanti e – all’apparenza – contraddittorie: l’urgenza di procedere con l’apertura del mercato e la cautela riguardo al rischio di aumenti dei prezzi.
Premessa per contestualizzare il ragionamento. Il tema è il completamento della liberalizzazione del mercato elettrico, che dovrebbe compiersi (dopo innumerevoli rinvii) tra il 2021 per le piccole imprese e il 2022 per microimprese e famiglie. Attualmente, tutti sono liberi di scegliere un fornitore, ma circa la metà dei consumatori domestici e un terzo delle pmi sono serviti attraverso un servizio chiamato “maggior tutela”, che viene erogato in regime di monopolio territoriale dalle società collegate al gestore della rete di distribuzione a prezzi fissati dall’Arera stessa. Questa coesistenza tra prezzi liberi e prezzi regolati è fonte di innumerevoli distorsioni, rischia di penalizzare i consumatori sia sul fronte dei prezzi sia su quello dell’innovazione commerciale, è stata al centro di ripetuti e gravi abusi, e pone problemi non banali riguardo alle modalità del suo superamento.
Ecco: Besseghini ha anzitutto avvertito che, a causa dei continui ritardi nell’attuazione delle riforme, “il servizio elettrico rischia di passare da antesignano della liberalizzazione a buon ultimo”. Tuttavia: “Nel 2019 i clienti domestici hanno pagato mediamente il 26% in più sul mercato libero, per l’approvvigionamento dell’energia elettrica”. Ecco: queste parole (che sono state ampiamente riprese sulla stampa) vanno dissezionate, perché sembra che dicano una cosa ma in realtà ne dicono una molto diversa. Purtroppo, l’una è intuitiva e sbagliata, l’altra richiede un po’ di ragionamento.
Per capire dove sta il trucco, osservate attentamente questa vignetta:
Ci mostra come un dato, in sé corretto, possa generare fraintendimento se preso a sé stante. Per comprendere realmente il significato di quel dato, infatti, occorrono altre informazioni.
Quali informazioni mancano per decifrare il delta del 26 per cento tra i prezzi tutelati (cioè fissati dal regolatore) e quelli del mercato? Il fatto è che non stiamo parlando di prodotti omogenei: stiamo parlando di prodotti diversi, e quindi siamo nella classica comparazione tra mele e pere. Il servizio di maggior tutela prevede l’erogazione di energia elettrica, senza alcun servizio aggiuntivo, a un prezzo variabile aggiornato trimestralmente. Al contrario, le offerte sul libero mercato presentano una grande eterogeneità (riflessa dalla variabilità del prezzo), in quanto alcune ricalcano la struttura della tutela (e normalmente sono “a sconto”), mentre altre contengono i servizi più differenziati. Lo spiega bene la stessa Relazione: “Alcune di queste offerte includono forniture a prezzo bloccato per un periodo predeterminato (uno o due anni), in cui i meccanismi di aggiornamento dei corrispettivi non sono influenzati dalle dinamiche congiunturali dei prezzi dell’energia, ma dipendono in misura rilevante dalla data di sottoscrizione dei contratti (e, in particolare, dalle attese sull’andamento dei prezzi dell’energia esistenti in quel momento) e dalla durata dei contratti stessi (più è lunga, più il prezzo pattuito deve tenere conto dei rischi di mutamento del mercato). Altre offerte sono a prezzo variabile: alcune di queste prevedono sconti sulla componente materia prima, altre ancora, invece, vantaggi sull’acquisto di altri beni o servizi (come sconti al supermercato, sul carburante, su servizi telefonici, servizi di manutenzione assicurazione ecc.). Ancora, altre offerte sono legate al rispetto di determinate soglie di consumo, superate le quali scattano componenti aggiuntive di prezzo” (p.166)
Su questo punto segnalo un piccolo giallo. Nel discorso di presentazione, Besseghini ha detto: “Pur scontando le possibili differenze in termini di condizioni contrattuali e di servizio offerto, questo differenziale di prezzo rappresenta certamente un elemento di attenzione” (enfasi aggiunta). Ma nel testo formale della Relazione annuale sta scritto: “Tali elementi possono spiegare le differenze nei livelli dei corrispettivi medi unitari che si riscontrano tra mercato libero e servizio di maggior tutela” (enfasi aggiunta). Le due frasi, pur simili, hanno sfumature diverse, e inducono una reazione opposta. Chi ha ragione allora: Besseghini o Besseghini? Io dico Besseghini. E vi spiego perché.
Il dato del 26 per cento nasce da questa Tabella.
Come si vede, il prezzo del mercato libero è inferiore a quello della tutela per la classe di consumo più bassa (<1.000 kWh/anno) e maggiore per le altre. Prima di trarre conclusioni, fatemi mettere sul tavolo altri tre indizi. Osservazione importante: questi dati non si riferiscono alle offerte disponibili ma ai contratti conclusi (cioè i corrispettivi concretamente fatturati dalle imprese campione).
Indizio #1: le fasce di consumo centrali – quelle nelle quali il differenziale tra libero e tutelato è massimo – sono anche quelle nelle quali c’è la massima dispersione dei prezzi. Questo suggerisce che ci sia anche maggiore differenziazione nei prodotti venduti.
Indizio #2: I prezzi su libero mercato per i clienti non domestici sono nettamente inferiori ai prezzi di tutela.
Indizio #3: il tasso di uscita dalla tutela continua a crescere nel tempo.
Naturalmente ci sarebbero anche altri dettagli di cui tenere conto (per esempio, i beneficiari del bonus elettrico sono ugualmente rappresentati tra i clienti tutelati e quelli sul libero? Io credo di no). Ma, per semplicità, possiamo pure ignorarli. Solo due spiegazioni possono rendere coerenti tra loro questi dati.
Spiegazione numero 1: i venditori sul libero mercato sono in condizione di esercitare potere di mercato e costringere i consumatori a pagare 126 quello che potrebbero acquistare a 100, ma perdono questa abilità quando si trovano davanti i proprietari di garage o seconde case sfitte (la classe di consumo più bassa) oppure piccoli o micro-imprenditori. La maggior parte dei consumatori sono incapaci di vedere la fregatura, e infatti continuano a fuggire dalla tutela, ma diventano improvvisamente negoziatori abilissimi quando scelgono il fornitore di energia elettrica per il garage.
Spiegazione numero 2: i proprietari di garage o seconde case sfitte e gli imprenditori non sono interessati a prodotti complessi, ma alla mera fornitura della commodity, quindi scelgono l’offerta più economica. Le stesse persone, quando devono scegliere un fornitore per la casa di residenza, tendono a preferire offerte che contengano servizi aggiuntivi (e forse un prezzo bloccato) e, in generale, sanno cosa fanno. Esattamente come quando fanno la spesa al supermercato, quando cambiano l’auto o quando scelgono il gestore telefonico.
In sintesi, la domanda a cui rispondere è questa: la spesa energetica rappresenta attorno al 3-5 per cento della spesa totale delle famiglie. Quella per l’energia elettrica ne è una frazione. E’ verosimile che le persone che sono in grado di amministrare razionalmente il 95 per cento del proprio budget, oltre alle forniture elettriche del magazzino e del negozio, diventino improvvisamente tontoloni quando concludono un contratto per la luce di casa propria?
Le offerte delle tariffe energetiche sono ben più complesse e sicuramente meno chiare alla gente comune di tanti altri capitoli di spesa. Tanto che el compagnie sono state obbligate ad aggiungere due paginate in bolletta nel tentativo di spiegarlo agli utenti. In più viene chiesto a chi sta per stipulare il contratto una capacità di previsione della quantità dei consumi e della loro allocazione temporale molto più complessa di altri capitoli di spesa.
La capacità di scelta nelle spese di molti italiani non mi sembra così elevata. Ricorrendo agli stessi esempi la gran maggioranza possiede auto di proprietà accollandosi tutti gli oneri di manenzione e tasse di possesso quando una buona metà spenderebbe di meno con il leasing a lungo termine.
Se non vogliamo mischiare mele con pere, non mischiamo anche l’offerta energetica con i presunti “servizi aggiunti”. Quando la mia compagnia energetica mi propone uno sconto sulla fornitura telefonica presso una compagnia alla quale sono già cliente e con una tariffa inferiore, non si tratta di “servizio aggiunto” ma di “specchietto per le allodole”.