31
Ott
2013

La fine della recessione spagnola – parte 2

Quali sono stati i fattori di maggiore rilevanza per la fine della recessione spagnola? In parte rispondevamo l’altro ieri su Leoniblog, con un grafico che rappresentava un settore importante dell’economia: l’automotive.

Negli ultimi anni in Italia si è parlato spesso di Fiat e dell’importanza di questo settore dell’economia in grado di produrre occupazione e veicoli da esportare. Mentre in Italia si parlava, molte volte a sproposito, e purtroppo poco cambiava, l’Italia rimaneva al palo, mentre in Spagna arrivavano gli investitori stranieri che portavano occupazione e sviluppavano il settore.

In Spagna si producono più veicoli che in Francia e il triplo dell’Italia, mentre il nostro paese annega tra mancanza di flessibilità contrattuale in uscita, burocrazia ed un peso delle tasse che strangola l’economia.

Questo è solo un esempio, ma l’Italia non è riuscita a ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto negli ultimi anni; anzi lo ha aumentato più degli altri paesi europei, perdendo di fatto competitività. Non è colpa dell’Euro, è colpa del sistema Italia che continua ad essere incapace a riformarsi.

È facile dare la colpa al fattore esterno incontrollabile, ma invece di piangere sarebbe meglio attuare per ridurre la spesa pubblica e liberare le risorse per abbassare la pressione fiscale.

In Spagna, non è tutto oro quello che luccica. Questo è ovvio ed il Paese è alle prese con la fine dello scoppio della bolla immobiliare che ha portato la disoccupazione a livelli elevatissimi, sopra il 27 per cento.

Il sussidio di disoccupazione più forte che in Italia, permette alla Spagna di abbassare il livello delle persone che non lavorano e non cercano lavoro, che in Italia sono circa 3 milioni come ha sottolineato l’Istat. In Spagna si iscrivono al sistema di welfare per ricevere il sussidio di disoccupazione.

Il conteggio della disoccupazione in Italia è inoltre falsato dal fatto che le persone in cassa integrazione non sono conteggiate nel tasso di disoccupazione.

È chiaro dunque che la crisi italiana, non è così distante da quella spagnola in termini di occupazione, e non è un caso che guardando la popolazione attiva la Spagna abbia valori più “europei” di quelli italiani.

Lo scoppio della bolla immobiliare ha prodotto gravissimi danni all’economia e all’occupazione ed in particolare al settore delle cajas che sono state nazionalizzate con i soldi dei contribuenti spagnoli. Un enorme spreco di denaro pubblico derivante dalla pessima gestione politica di queste casse di risparmio.

Le cajas hanno dunque trascinato a fondo l’economia e rimane il grande punto interrogativo per il futuro della Spagna. Anche per questa ragione il debito pubblico spagnolo rischia di sfondare quota 100 rispetto al prodotto interno lordo, appesantendo anche la gestione corrente a causa dell’impatto della spesa per gli interessi.

Vi è da dire che la recente rivalutazione dell’Euro, rischia di rallentare l’export che è stato nell’ultimo periodo il motore della crescita spagnola.

È importante anche per il paese iberico continuare sulla strada delle riforme, con più coraggio nel settore del mercato del lavoro e dei sussidi di disoccupazione.

È chiaro che in questo periodo intervenire in questi due settori è estremamente delicato e anti-popolare, ma è evidente che una riforma è necessaria.

 

Twitter: @AndreaGiuricin

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11 Responses

  1. giancarlo

    Esimio sig. Giurì in
    Lei propugna l’abbattimento dei sussidi? Lei vorrebbe abbattere ancora i salari? Le pongo una domanda. Abbattendo i salari si riduce il PIL e dunque chi dovrebbe acquistare le automobili prodotte in più proprio grazie alla deflazione, visto che proprio gli operai avranno un minore reddito disponibile? Non le basta, ancora, il danno causato dalle politiche mercantiliste deflattive della germania? Se ne sono accorti anche in USA, che si lamentano sempre più apertamente con la merkel. Lei invece continua a battere il chiodo dell’austerità e della deflazione?

  2. Sara

    Il rancore verso Keynes acceca..si preferisce difendere la demenziale idea della crescita attraverso austerità (utile solo alla Germania) piuttosto che ammettere la necessità di politiche economiche espansive.

  3. Gaetano Morgante

    Sperare che un governo di sinistra operi delle riforme per la liberalizzazione del mercato del lavoro (art.18) è come sperare che un astemio promuova la produzione di superalcolici, assurdo! Restare nella globalizzazione vuol dire adattare il costo dei fattori produttivi al costo del miglior offerente sul mercato mondiale, altrimenti la competitività viene meno e con essa la possibilità di contrastare le importazioni e promuovere le esportazioni. Purtroppo tra i costi legati alla manodopera vi è anche il costo sul welfare garantito dallo Stato che si riflette nel costo dei contributi previdenziali e assistenziali che inevitabilmente se si vuole rimanere competitivi a livello mondiale, occorre ridurre. Morale: accettare la globalizzazione vuol dire anche accettare un cambiamento negativo per tutti quelli che sono i parametri di welfare conquistati dalla classe lavoratrice negli ultimi 50 anni. Gli assiomi di Milton Friedman se possono valere su scala globale e in valore assoluto, valgono poco o niente se si considera la difesa del benessere in una singola area geografica.

  4. Francesco_P

    @Sara, 1 novembre 2013,
    i sostenitori della spesa pubblica compiono un atto di disonestà intellettuale quando identificano il rigore della Merkel con il liberismo. La politica economica tedesca si limita a predicare il rigore di bilancio senza intervenire sulle cause del dissesto dei bilanci, cioè l’eccesso di spesa pubblica e di burocrazia. Il “mostro” del governo Monti, la traduzione in italiano dell’illiberalità della politica economica di Wolfgang Schauble e della Bundesbank, non ha sortito effetti sulla contrazione delle spesa pubblica, che invece è aumentata; Monti e il suo statalismo hanno accresciuto la velocità della caduta sottraendo risorse all’economia attraverso l’inasprimento fiscale.
    Si ricordi che l’attuale livello del debito pubblico italiano costa poco più del 6% del PIL, un vero salasso che le imprese e i privati pagano attraverso la pressione fiscale. Le banche acquistano titoli di Stato per finanziare il debito pubblico: questo comporta che il sistema creditizio disponga di meno risorse per finanziare le imprese ed i privati. E’ lo stato bulimico che deve dimagrire ricorrendo alla dieta ed anche alla chirurgia del bendaggio gastrico.
    Oggi parlare di aumento del debito pubblico è semplicemente incompatibile con la realtà dell’economia italiana: è pura illusione. Grazie spendaccioni pubblici!
    Essere liberali significa applicare il rigore sulle competenze e sull’organizzazione dello Stato, le cui funzioni non sono certo quelle di imbrigliare la capacità del sistema economico di generare ricchezza grazie all’intelligenza ed all’imprenditorialità.

  5. Sara

    @Gaetano
    “..accettare la globalizzazione”..”gli assiomi di Milton Fridman”..peccato che nel mondo reale tutti i paesi (USA,UK,Giappone,Russia, Brasile,Cina,India e Bric vari) portano avanti -in modo più o meno sfacciato- politiche protezioniste, interventiste, di sussidi alle industrie nazionali e di svalutazione competitiva. L’Europa fa invece la “mezza vergine” liberista/rigorista; almeno sino a che la cosa porta vantaggi alla Germania (e il resto dell’Unione tace subento).

  6. Domanda: ma se noi avessimo la possibilità di fare deficit come la Spagna, e se avessimo ricevuto gli aiuti alle banche che ha ricevuto la Spagna, che non saremmo cresciuti anche noi, e magari anche molto di più? È molto originale il vostro modo di parlare di economia, un tantino di parte direi. La vostra sfortuna è che la gente oggi si può informare (e lo si nota dai commenti).

  7. Italia spesa pubblica 2010 – 795 miliardi; 2011 – 798 mld; 2012 – 801 mld;
    per il 2013 previsione 807 mld. Se questa è l’austerity di cui parla Sara, sono d’accordo con lei, non serve all’Italia, non sono sicuro che serva alla Germania, anche se effettivamente è nota l’attitudine dei consulenti regionali all’acquisto di mercedes e audi. Riguardo alle politiche espansive invece, non è per mancare di rispetto alla fede nel profeta del moltiplicatore, ma dopo quattro decenni abbondanti in cui l’Italia ha sempre fatto deficit, cioè ha consumato più di quello che ha prodotto, si può anche pensare di provare a cambiare strada e vedere che succede; anche perché qui sta andando tutto in malora e perseverare nella stessa politica (più spesa, più tasse, più deficit, più debito) ad alcuni appare un tantino diabolico. Poi che la gente informandosi trovi motivi a sostegno della statalizzazione dell’economia non è strano, la maggior parte degli organi di informazione (e dei politici) adorano la politica portata avanti fino ad oggi.

  8. Sara

    @Francesco
    Se i sostenitori di politiche espansive compiono un atto di “disonestà intellettuale” i rigoristi -mi consenta- hanno abbandonato da tempo la razionalità.
    Le regole rigide del Fiscal Compact (3% deficit, 60% debito in 20 anni) non hanno alcuna reale giustificazione scientifica. Numeri in libertà. Il problema è l’insostenibilità di tale “tabella di marcia” da parte della maggioranza dei paesi UE (compresi alcuni stati sostenitori del rigore)..una tabella di marcia che sprofonda l’Unione nella recessione/deflazione e porta dritti alla disintegrazione della moneta unica (con tutti i disastri facilmente immaginabili). In USA, Giappone e BRIC si ragiona in modo opposto e i risultati positivi sono tangibili.

  9. Sara

    @Silvio
    Riqualificare la spesa pubblica? Sempre. Ridurla durante una fase espansiva? Opzione praticabile. Ridurla durante una fase recessiva? Sbagliato.
    I quattro decenni di cui parli (1945-1985) hanno coinciso x l’Italia (e tutto l’occidente,USA compresi) con il più alto ritmo di sviluppo economico e aumento di ricchezza per i cittadini a memoria d’uomo (economisti e storici definiscono questa fase i “30 ruggenti”).
    Le politiche “alternative” a Keynes (Neoliberismo) sono state implementate a livello globale (Italia compresa) dal 1979 a oggi. L’epilogo della parabola/ricetta neoliberista (deregulation dei mercati, finanziarizzazione dell’economia, smantellamento del welfare, riduzione della progressività fiscale) è stato il Credit-Crunch Globale (e Recessione Globale conseguente) del 2008.Perseverare nella stessa politica (alla Tea Party) appare a (quasi) tutti un tantino diabolico.

  10. No Sara, io intendevo i decenni dal 1970 ad oggi, nei quali in Italia non c’è stato un solo anno senza “politiche espansive” della spesa pubblica e senza deficit. Questo non se vogliamo definirlo keynesiano ono ma è un fatto, il resto sono opinioni e io le rispetto, se Keynes ti piace pazienza, sei in ottima e numerosa compagnia (Bernanke, Summers, Tremonti, Fassina ecc.. .) a me però non convince. Mi convinceva ai tempi dell’università perché lo presentavano come infallibile, approfondendo successivamente ho cambiato idea. Riguardo al resto delle politiche che citi, dico solo che il problema dei mercati finanziari non è che hanno poche regole, ma che quelle che abbiamo sono sbagliate e la finanziarizzazione dell’economia è il frutto avvelenato e inevitabile delle politiche espansive delle banche centrali; fornendo benzina illimitata ai piromani della finanza non gonfieremo che bolle, derivati… comunque non mi piace ragionare con le etichette, ma se dici che quanto fatto in Italia dal 1979 a oggi è “neoliberista” allora chiaramente io non sono “neoliberista”, qualunque cosa significhi.

  11. giancarlo

    Complimenti alla Spagna
    Solo che il deficit dove lo mettiamo? Il deficit spagnolo quest’anno starà ben oltre il 6%.
    Com’è che dall’alto delle sue tesi lei dimentica di mettere sull’altro piatto della bilancia il tallone d’Achille del deficit?
    Com’è che se l’Italia sfora di uno 0,1 il mitico parametro deficit-PIL, lei (e tutti quelli come lei, in italia e a bruxelles-berlino) fa un sermone (e giù legnate a volontà), mentre se la Spagna sta “fuori fido” il doppio di noi, lei se ne frega e non dà legnate, nè un buffetto?
    Si rende conto che se l’Italia avesse avuto la possibilità di sforare al 4% oggi staremmo per chiudere un bilancio assai diverso? E questo grazie ad un ridotto drenaggio dei redditi da parte dello stato? Non parliamo se avessimo sforato il6%, come fa la Spagna.
    E poi mi fa ridere il suo confronto fra il settore automotive spagnolo e quello italiano.
    Non ho dubbi. Lei ha studiato molto più di me. Purtroppo però, per essere obbiettivi ed equilibrati nelle analisi non c’è scuola, università o master che tengano!
    Se il suo obbiettivo era scrivere qualcosa contro l’Italia, avrebbe potuto più semplicemente commentare l’ultima partita della NS nazionale. Non occorrono master in quel caso.
    Buonasera
    PS un consiglio: cambiate registro perchè a dire il vero ci stiamo proprio scocciando di questi criteri asimmetrici di valutazione. Io personalmente ci sono cascato per anni ma ora mi sono svegliato dal torpore. Fate un servizio al vostro paese: siate più obbiettivi o verrete travolti pure voi

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