29
Ott
2013

La fine della recessione spagnola – parte 1

Alla fine la Spagna è uscita dalla recessione. Una timida crescita del prodotto interno lordo nel terzo trimestre, come indica la Banca di Spagna, evidenzia la fine della recessione.

Da un punto di vista tecnico, si ricorda, una recessione è sostanziata da almeno due trimestri consecutivi di caduta del PIL e in Spagna erano due anni che l’economia mostrava il segno meno.

Una crescita dello 0,1 per cento tuttavia non “fa il bel tempo”, ma indica che qualcosa sta cambiando. Anche i dati della disoccupazione, in leggero calo da alcuni mesi, danno un’altra indicazione. Le percentuali rimangono sempre elevatissime, ma il sondaggio sulla forza lavoro e la disoccupazione uscito nei giorni scorsi mostra una discesa del tasso di disoccupazione sotto il 26 per cento.

Cosa sta succedendo alla Spagna? Riuscirà l’Italia a seguire il paese Iberico?

Se alla prima domanda non è impossibile rispondere, sulla seconda è alquanto difficile.

In Spagna, da alcuni anni si stanno compiendo riforme. Alcune coraggiose, altre meno, ma le riforme vanno avanti.

Il Governo Zapatero, poco prima di andare alle elezioni e perderle in maniera disastrosa decise non solo di congelare i salari pubblici, ma addirittura di ridurli tra il 5 e il 10 per cento.

Il Governo Rajoy, forte di una maggioranza assoluta, ha agito sia sul mercato del lavoro, sul tema delle liberalizzazioni e anche in tema di sviluppo dell’imprenditoria. I tagli alla spesa pubblica vi sono stati, per cercare di non aumentare eccessivamente la tassazione e quindi deprimere l’economia.

Forse non è un caso che in questi due anni di recessione, quella spagnola è stata molto meno dura di quella italiana.

La misura dei tagli alla spesa pubblica tuttavia non è risolutiva di uno dei problemi maggiori della Spagna, il deficit, che continua a rimanere ben superiore al 6 per cento anche nel 2013.

I sussidi di disoccupazione pesano in maniera preponderante sulla spesa pubblica perché il sistema continua ad essere relativamente generoso nei confronti di chi perde lavoro. Per due anni esiste un sussidio di circa l’80 per cento del salario, chiaramente con un tetto massimo, mentre successivamente vi è un sussidio di oltre 400 euro al mese.

Questo sistema tuttavia se protegge in maniera universale chi perde il lavoro, al contrario dell’Italia dove si va avanti con la cassa integrazione in deroga, ha il contraltare di non incentivare i disoccupati a cercare lavoro.

Le ultime stime parlano di un’economia sommersa pari al 28 per cento.

Cosa succede infatti? Gli spagnoli si cercano un “lavoretto in nero”, mentre ricevono il sussidio di disoccupazione.

Oltretutto questo sussidio non ha vincoli stretti di ricerca di nuova occupazione e non è facile perderlo. Quindi il sistema incentiva a non cercarsi un lavoro.

La spesa pubblica è difficile da ridurre in queste condizioni difficilmente modificabili in tempi di forte crisi economica, ma è indubbio che qualcosa dovrà essere fatto dal Governo Rajoy.

Perlomeno la crescita della tassazione non è stata eccessiva come in Italia e rimane molti punti percentuali sotto a quella italiana e dunque l’attività economica ne risente meno.

Le riforme attuate hanno invece permesso una riduzione del costo unitario del lavoro di quasi 10 punti percentuali con il conseguente aumento della competitività del sistema Spagna, in particolar modo nel settore produttivo.

Quali sono dunque fattori spingono invece la Spagna fuori dalla recessione? Ne parliamo domani sempre su LeoniBlog, ma intanto anticipiamo un grafico.

veicoli

 

Twitter: @AndreaGiuricin

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3 Responses

  1. giancarlo

    Accidenti a questi lavoratori dipendenti! Sono proprio duri a morire! Sarebbe bello poter disporre della loro morte, oltre che della loro vita. In altri termini, tu li licenzi ma non muoiono, e si incassano il sussidio di disoccupazione per 24 mesi. Peccato. Sarebbe stato meglio se fossero morti il giorno del licenziamento. Così da non pesare sul bilancio. Lei caro esperto in economia parla di questi disgraziati e derelitti così come un ricercatore farebbe con i batteri per i quali sta studiando un antibiotico. Non le viene il dubbio che anche queste persone possano aver qualche diritto di vivere su questo pianeta? Non si pone un minimo dubbio lei, che dentro tutta questa crisi c’è comunque chi non ci sta perdendo, pur essendo stato la causa scatenante? Non si rende conto che se si continua ad abbattere i salari, crea un nuovo vuoto di domanda? Certamente, come ha dichiarato Monti, la cura migliore consiste nella distruzione della domanda interna, per contribuire a ribilanciare la bilancia pagamenti. Quando per far ciò bastava lasciare che il mondo continuasse a vivere senza forzature. Mi spiego meglio. Lei è per il liberismo? Se lo è perché non accetta l’idea che tutta la costruzione dell’euro (con i sui tassi di cambio nominali fissi) sia in aperto contrasto con le leggi di mercato? Perché lei propugna la ferrea legge domanda-offerta per le mele, come per i tassi d’interesse, come per un’impianto? Mentre il tasso di cambio DEVE RIMANERE FISSO? Mi sembra uno strano modo di essere liberisti…

  2. Il livore di Giancarlo mi sembra dettato più da un pregiudizio nei confronti dell’autore che su quanto scritto.
    1- Dove leggo: “Questo sistema tuttavia se protegge in maniera universale chi perde il lavoro, al contrario dell’Italia dove si va avanti con la cassa integrazione in deroga, ha il contraltare di non incentivare i disoccupati a cercare lavoro”; io interpreto così: il sistema è migliore di quello italiano perché è universale, ha il difetto di non stimolare il rientro nel mondo del lavoro; in particolare, come viene specificato più avanti, incentiva il lavoro nero e quindi l’evasione. Magari mi sbaglio e l’interpretazione autentica mi smentirà, ma leggerci un auspicio all’eccidio dei disoccupati è bizzarro
    2- Dal commento di Giancarlo sembra il sussidio sia la soluzione del problema; rispetto l’opinione, ma io penso che un nuovo lavoro, in regola, sia la soluzione, si ragiona su come raggiungere questo obiettivo. Altrimenti potremmo licenziare tutti e dare un sussidio permanente, così si starebbe meglio.
    3- Si può essere contrari all’Euro, ma tirarlo in ballo in qualunque contesto assomiglia un po’ ad un’ossessione. Certamente l’Euro è una costruzione contraria alle leggi di mercato, ma qui si parla d’altro. Il fatto che molti economisti liberisti siano contrari all’Euro e ai cambi fissi, non significa che non si possa uscire dallo schema (un po’ banale) di ridurre la crisi unicamente agli squilibri delle bilance dei pagamenti. Oltretutto, considerando che le prime manifestazioni della crisi si sono manifestate nell’area del dollaro (e della sterlina), la cui libera fluttuazioni, evidentemente, non basta a sanare squilibri che sono più profondi della semplice bilancia dei pagamenti.

  3. Spartacus

    @giancarlo
    La risposta è semplice. Il neoliberismo è la difesa dei privilegi dei più ricchi a danno dei più poveri e delle prerogative del grande capitale. Tutto ammantato dalla retorica della “ineluttabilità” delle presunte “leggi di mercato”, dalla litania sulle sorti “meravigliose e progressive” della deregulation e delle privatizzazioni, dalla mitologia del cittadino-consumatore e dallo slogan del meno stato (Welfare x i poveri) e meno tasse (x i ricchi, ovviamente). Una perplessità: ma non erano i liberisti a invocare -in Europa- la fine dell’ industria manifatturiera (obsoleta e sindacalizzata; orrore!) a vantaggio di un terziarizzazione/finanziarizzazione del sistema economico? Ricordate le lodi sperticate -prima del Credit Crunch Globale- al (terziarizzato/deregolamentato) capitalismo anglosassone vincente sull’obsoleto (manifatturiero/regolamentato) capitalismo renano?..Bhè è successo l’esatto opposto,con USA e Uk che corrono a re-industrializzare.

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