La Fed, Bernanke e i menestrelli di regime
In un bell’articolo pubblicato su “il Giornale” (E la Fed ‘compra’ gli economisti Usa), Marcello Foa richiama l’attenzione su un problema molto serio: e cioè sul fatto che circa 500 economisti americani, scelti tra i più prestigiosi e selezionati nelle università più quotate, sono sotto contratto con la Banca centrale americana o con una delle sue dodici sedi regionali.
L’articolo di Foa prende spunto da un pezzo di Ryan Grim pubblicato su Huffington Post, “Priceless: How the Federal Reverse Bought the Economic Profession”, in cui si stima che in considerazione del fatto che gli studiosi di economia monetaria di un certo rilievo in America sono tra i 1.000 e i 1.500, e considerando una certa rotazione tra gli studiosi sotto contratto con la Fed, è plausibile ritenere che oltre due terzi degli specialisti in tale ambito siano in qualche modo al servizio di Sua Maestà il Governatore, Ben Bernanke.
Già nel 2005, in un testo pubblicato sull’Econ Journal Watch (una pubblicazione dell’Atlas Economic Research Foundation), uno dei massimi studiosi di teoria monetaria e fautore del free banking, Lawrence H. White, aveva pubblicato uno studio intitolato “The Federal Reserve System’s Influence on Research in Monetary Economics”.
La conclusione a cui White arriva è giustamente feroce:
The Fed has an institutional interest in preserving the legal restrictions that generate its seigniorage revenues and the privileges that give it discretionary monetary policy and regulatory powers. Fed-sponsored research generally adheres to a high level of scholarship, but it does not follow that institutional bias is absent or that the appropriate level of scrutiny is zero.
La questione qui è particolarmente acuta (se si considera in che razza di crisi ci si trovi, e quanto sia rilevante il ruolo della Fed e degli economisti in tale disastro!), ma a ben guardare si potrebbe dire la stessa cosa per tanti altri ambiti. In verità, da secoli lo Stato ha messo sotto assedio le università e più in generale la cultura. Bisogna allorta che si comprenda una volta per tutte che la statizzazione della ricerca e dell’insegnamento, allora, non servono a garantire il bene della società nel suo insieme, a garantire l’accesso alla cultura ai ceti più o a superare una visione aristocratica del sapere, ma assai più prosaicamente a comprare l’acquiescenza dei dotti. E farne i menestrelli del regime.