La crisi greca e l’euro: la lettura di George Tavlas
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco D’Ignazio.
In occasione della Lectio Marco Minghetti 2019, George Tavlas, sostituto del Governatore della Banca di Grecia nel Consiglio Direttivo della BCE e Membro del Consiglio di Politica Monetaria della Banca di Grecia, ha offerto – approfittando anche della sua esperienza durante i drammatici momenti della crisi sostenuta dal suo paese – un’interpretazione della dinamiche che hanno quasi portato la Grecia al default e rischiato di spaccare definitivamente l’eurozona.
In particolare, Tavlas ha incentrato la sua lettura degli eventi di quegli anni sul tema dell’azzardo morale, termine con cui in economia si definiscono i fallimenti di mercato che si verificano quando in un contratto una delle parti ha incentivi ad assumere dei rischi sapendo che il costo di tali rischi ricadrà soprattutto sulla controparte. Tali situazioni emergono solitamente da una distribuzione asimmetrica delle informazioni fra le due controparti al momento della stipulazione del contratto.
Nel caso greco, l’azzardo morale è sorto dalla convinzione di alcuni stati aderenti all’euro che in una situazione di loro incapacità nel far fronte al debito pubblico, gli altri partner dell’eurozona sarebbero intervenuti.
Tavlas ha cominciato la sua analisi con una digressione sullo sviluppo del dibattito accademico a cavallo dei decenni 1980-1990, periodo in cui il consenso scientifico è passato dal ritenere che gli svantaggi dell’integrazione monetaria superassero i vantaggi, al sostenere invece (a fronte della montante integrazione dei mercati finanziari, dei vari attacchi speculativi contro i sistemi a cambio fisso nel corso degli anni novanta, e di nuovi studi che dimostravano i notevoli progressi in termini di integrazione commerciale portati dall’integrazione monetaria) tale politica.
L’economista greco si è poi concentrato sulla situazione del suo paese, la sua storia economica e le motivazioni che l’hanno portato ad aderire al sistema euro.
Caratterizzata da una crescita debole, inflazione rampante e squilibrio della bilancia dei pagamenti negli anni ’80 e ’90, l’economia greca avrebbe dovuto trarre enormi vantaggi dall’adozione dell’euro, che avrebbe infatti permesso di stabilizzare l’inflazione e abbassare i tassi di interesse, creando quindi le condizioni per una solida crescita economica.
Negli anni fra il 2001 e il 2007 questo obbiettivo sembrò almeno in parte raggiunto, e il paese registrò in media una crescita annua del PIL del 4%, la seconda più alta in Europa.
Nello stesso periodo però il paese andò anche accumulando un crescente deficit delle partite correnti, e perse produttività. Inoltre una causa consistente dell’aumento del PIL era in realtà dovuta ad una crescente spesa pubblica.
Una parte consistente della lecture di Tavlas è stata poi dedicata al confronto fra il sistema Euro e il gold standard, considerato da molti padri dell’Unione, fra cui d’Estaing e Schmidt, un modello cui rifarsi nella creazione di un nuovo regime monetario europeo a cambi fissi.
Tavlas ha evidenziato le differenze fra le condizioni economiche nel periodo 1880-1914 e quelle odierne, prime fra tutte il fatto che la spesa pubblica nella maggior parte dei paesi aderenti al sistema aureo era circa il 10% del PIL, mentre oggi si attesta sul 50%. Ma soprattutto, il gold standard era dotato, al contrario del sistema euro, di un meccanismo di aggiustamento auto-correttivo, ovvero il deflusso delle riserve auree dai paesi in deficit persistente, disciplinando così l’accumulo di deficit, mentre l’area euro rimaneva essenzialmente priva di qualunque sistema auto-correttivo.
Dunque nel periodo antecedente la crisi i flussi di moneta e credito continuarono a crescere in paesi della periferia europea quali la Grecia peggiorando gli squilibri esistenti. Da qui il problema inizialmente posto dell’azzardo morale: mentre nel gold standard vi erano notevoli spread fra il debito pubblico di paesi come la Gran Bretagna e i paesi periferici a causa del rischi di credito, nell’eurozona tali spread non esistevano, proprio a causa dell’azzardo morale, dunque la Grecia, pur avendo un’economia essenzialmente non competitiva, nel decennio fra l’adozione dell’euro e lo scoppio della crisi finanziaria continuò a ricevere ingenti flussi di credito.
Ciò rese il tracollo al momento dello scoppio della crisi del debito ancora più drammatico, e sono note le dure misure di austerity cui la Grecia dovette sottoporsi dopo quella che fu essenzialmente una ristrutturazione del suo debito pubblico.
Sarebbe stato meglio per la Grecia, si interroga Tavlas nella conclusione della sua lecture, uscire dall’Unione monetaria, piuttosto che sottoporsi al programma di riforme?
Tornando nuovamente al paragone con il gold standard, è effettivamente vero che i paesi che abbandonarono per primi il Gold Exchange Standard negli anni trenta uscirono più velocemente dalla grande depressione. Nel caso greco però, il paese sarebbe dovuto ritornare alla valuta pre-euro, la dracma, associata ad un’alta inflazione, e nessun creditore esterno sarebbe stato disposto ad accettare pagamenti nella nuova valuta, ne tantomeno a concedere nuovi crediti. Ma soprattutto sarebbe venuto meno l’incentivo ad attuare quella serie di riforme strutturali grazie alle quali il paese negli ultimi tre anni è riuscito a realizzare un surplus del suo deficit fiscale strutturale, a consolidare il sistema bancario e migliorare finalmente la competitività.