La corsa all’oro
Dopo che nei giorni scorsi la Reserve Bank of India ha acquistato dal Fondo Monetario Internazionale 200 tonnellate di oro, e dopo le indiscrezioni che ipotizzano un prossimo divieto di esportazione di oro e argento per i residenti cinesi, gli ultimi dati dello stesso FMI segnalano che le banche centrali sono diventate compratrici nette di oro. Questa tendenza è figlia delle vendite nette degli istituti di emissione dei paesi sviluppati e dei massicci acquisti da parte di quelle dei paesi emergenti. In questo secondo caso il fenomeno è ulteriormente disaggregabile, con Cina e India che acquistano, e gli altri paesi emergenti ancora al palo. Ma la tendenza è potenzialmente esplosiva.
Le banche centrali del G7 hanno attualmente circa il 35 per cento delle proprie riserve detenute sotto forma di oro, contro solo il 3,5 per cento delle restanti nazioni del G20. E questo malgrado il fatto che questi stessi paesi incidano per quasi il 50 per cento della crescita delle riserve globali verificatasi nell’ultimo quinquennio, grazie ai loro modelli di sviluppo basati su cambio debole, esportazioni ed ampi e crescenti surplus delle partite correnti. Se le banche centrali non-G7 decidessero di aumentare anche solo al 10 per cento l’allocazione dei propri attivi in oro, ciò si tradurrebbe nell’acquisto di 370 milioni di once troy del metallo giallo, pari a circa il 20 per cento dell’offerta aurifera fuori dalle miniere, secondo dati ufficiosi.
La motivazione di aumento del peso dell’oro sul totale delle riserve delle banche centrali è da ricondurre soprattutto all’esigenza di diversificazione da parte di paesi che hanno ormai vistosi squilibri di portafoglio, causati da una politica di peg al dollaro al quale rischiano seriamente di impiccarsi. In aggiunta, vi è il crescente timore di un debasement del biglietto verde, cioè del suo inarrestabile svilimento per effetto delle pratiche di easing quantitativo adottate dalla Fed, oggi in funzione di stimolo monetario, domani forse per sostenere un deficit di bilancio incomprimibile a causa di una crescita troppo debole. Se pensate che questo ragionamento sia fallace perché le banche centrali restano pur sempre divorziate dai Tesori nazionali e non possono agire da agenzie quasi-fiscali, ricordate che viviamo tempi eccezionali. Analoghe considerazioni di domanda, con tutti i caveat del caso, valgono per i metalli industriali come il rame.
Anche se ovviamente non possiamo parlare di reintroduzione surrettizia del gold standard, il mondo sta iniziando a cercare una valuta di riserva la cui offerta sia poco o per nulla inflazionabile, ad esempio perché vincolata in senso fisico, e l’oro è perfetto per questo ruolo. Ecco perché importanti gestori di hedge funds, come Paul Tudor Jones, stanno sempre più scommettendo sul metallo giallo.
Sarà anche “diversificazione” frutto di sofisticati studi ecc ecc ma ha anche tutta l’aria di essere sfiducia in grande stile nei confronti della fuffa finanziaria e monetaria che circola a più non posso…