La concorrenza promossa in Costituzione
Se la Costituzione è la raffigurazione, per quanto in modo fittizio, delle priorità di una determinata società che ad essa si sottopone, anche sue modifiche marginali possono svelare un passo importante nella cultura giuridica.
La settimana scorsa, durante l’esame della riforma costituzionale del titolo V, la Commissione affari costituzionali della Camera ha approvato l’inserimento della parola «promozione» nella materia statale della tutela della concorrenza. Se l’emendamento dovesse restare in piedi, quindi, la concorrenza sarà non solo oggetto di tutela, ma anche di promozione da parte dello Stato.
Dal punto di vista operativo, non è detto che cambi molto. Gli artifici linguistici della Costituzione sono – inutile nasconderlo – cera morbida nelle mani di chi governa. Possono fare molto, ma non è detto che bastino se al loro senso originario si oppone la forza dell’interpretazione.
Che la concorrenza sia promossa, oltre che tutelata, dallo Stato potrà essere importante soprattutto come argine a quella tendenza alla chiusura rispetto alle dinamiche concorrenziali di cui le regioni in primis sono state artefici, tramite il loro governo del territorio e la regolazione del commercio, ad esse affidata.
Promuovere la concorrenza, oltre che tutelarla, potrà apparire a una prima lettura un inutile esercizio retorico, ma è anche vero che, sempre parlando del piano pratico, l’aggiunta di questa parola potrà costituire quel freno alle rigidità regionali e locali già da anni stigmatizzate dal legislatore nazionale e tenute a bada dalla Corte costituzionale. Rigidità che trovano la loro origine nel semplice fatto che il regionalismo italiano, ben lontano dalle aspettative, è stato il raddoppiamento a livello territoriale dello sviluppo di una imprenditorialità clientelare che ha contribuito a fiaccare la nostra economia. Una simile replica ha peraltro consentito di comprendere più pienamente quanto la bassa competitività del nostro paese si debba, prima che a questioni strutturali e regolatorie, all’assenza di una cultura che, dal centro alla periferia, sappia rendere ragione delle virtù della competizione.
Per questo, al di là del merito pratico, l’aggiunta in Costituzione della parola «promozione» accanto a «concorrenza» può segnare un modo nuovo di concepire quest’ultima, non come situazione di confronto selvaggio da tenere a bada, ma come una dinamica da promuovere, oltre che tutelare, nella finalmente acquisita consapevolezza che la libera concorrenza è una condizione aperta, incessante e mai necessariamente acquisita per migliorare se stessi e pure la vita degli altri. Un passaggio importante, per un paese che ha sempre avuto il timore di dare alla concorrenza non già un significato di valore, ma anche soltanto un merito di efficacia nella promozione del benessere.