3
Lug
2014

La concorrenza nei servizi pubblici locali: il caso dei rifiuti

Nei giorni scorsi, la Corte dei conti – ne ha scritto bene Sergio Rizzo sul CorrierEconomia – ha riproposto all’attenzione generale una delle piaghe dell’economia italiana, quella delle società partecipate dallo Stato e dagli enti locali. Secondo la magistratura contabile, assommando queste e quelle, nonché le società da esse a propria volta controllate e i vari organismi diversi (consorzi, fondazioni…), si superano le 8000 unità. Il costo complessivo di questa galassia, pari al totale dei trasferimenti ricevuti a qualsiasi titolo dai ministeri, ammontava a 26 miliardi di euro nel 2013 e a 83 miliardi di euro nell’ultimo triennio. Agli enti locali la parte del leone, con oltre 5000 società, un terzo delle quali in perdita strutturale.
A prescindere dalle nefaste conseguenze finanziarie, tale stato di cose esercita un impatto negativo sulla concorrenzialità del mercato. Il capitalismo municipale soffoca l’iniziativa privata in settori particolarmente significativi per la qualità della vita dei cittadini: pensiamo al trasporto pubblico locale oppure al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti – oggetto di un ricco convegno organizzato a Padova da Confindustria Veneto.
È necessario sgombrare il campo da un equivoco pervasivo: a quasi tre anni dallo sciagurato referendum sull’acqua pubblica e dall’abrogazione del comma 23-bis del d.l. 112/2008, ha ancora pieno vigore nel nostro ordinamento il principio di tutela della concorrenza nei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che discende direttamente dalla normativa comunitaria ed è stato, da ultimo, riaffermato dal d.l. 179/2012 (art. 34, co. 20-21).
In particolare, si devono ritenere ancora operanti i tre metodi di affidamento: quello tramite gara ad evidenza pubblica, quello disposto a società a capitale misto, previo esperimento di gara per la scelta del socio privato, e quello diretto a società in house; e la scelta fra queste tre forme dovrà essere giustificata attraverso la predisposizione di un’apposita relazione, da pubblicarsi sul sito internet dell’ente o del consorzio procedente; qualora si deroghi al principio di tutela della concorrenza, la relazione dovrà indicare le ragioni specifiche per cui l’affidamento con gara non appaia in grado di perseguire l’interesse generale.
Inoltre, la società destinataria di affidamento in house deve rispondere a requisiti ben individuati: dev’essere di proprietà interamente pubblica, dev’essere soggetta da parte degli enti soci a un controllo analogo a quello che gli stessi possono esercitare sui propri uffici, deve svolgere la propria attività prevalentemente per conto e nell’interesse degli enti partecipanti, dev’eseguire direttamente la totalità delle attività affidatele e astenersi dallo svolgimento di attività imprenditoriali estranee all’affidamento, salvo quelle accessorie o strumentali.
Come il dimostrabile favore legislativo per l’affidamento con gara si traduca nella pratica è tutt’altra questione: gli affidamenti in house in carenza dei presupposti sono la norma – con l’effetto di legittimare, così, il malcostume dei subappalti delle società in house, delle relazioni redatte dalla società affidataria anziché dall’ente affidante, degli affidamenti sotto soglia, del controllo politico e delle gestioni opportunistiche, che nulla hanno a che vedere con il controllo analogo prescritto dalla disciplina rilevante, e persino dell’inversione dei rapporti di forza tra società partecipate e enti partecipanti.
Va, poi, segnalata la vicenda della definizione dei bacini territoriali che dovrebbero rimpiazzare i comuni nella gestione degli affidamenti. Il d.l. 138/2011 e il successivo d.l. 150/2013 imponevano l’individuazione di ambiti territoriali ottimali, tali da “massimizzare l’efficienza dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli inerenti al settore dei rifiuti urbani”, stabilendo che la loro estensione dovesse essere, di norma, almeno pari a quella del territorio provinciale e fissando al 30 giugno 2014 la scadenza per l’istituzione dei relativi enti di governo e per la deliberazione dei nuovi affidamenti, pena il commissariamento a opera dei prefetti competenti e, in ogni caso, la cessazione degli affidamenti non conformi alla data del 31 dicembre 2014. (Tuttavia, sino al 2020, le società pubbliche quotate potranno avvalersi di una deroga al requisito della proprietà completamente pubblica.)
Il Veneto – ma lo spirito di conservazione è analogamente diffuso anche in altre regioni – si è dapprima accodato a quest’orientamento con la legge regionale 52/2012, salvo poi distaccarsene con la delibera 13/2014 della Giunta, che ha portato a dodici il numero degli ATO, così da ricalcare fedelmente le aree di operatività delle attuali gestioni in house. Inutile precisare che tutti i dodici ATO sono ad oggi paralizzati dalla mancata istituzione degli organi di governo – situazione che ha indotto il consigliere regionale Diego Bottacin a invocare, come previsto dalla norma, l’intervento del prefetti.
Allo stato attuale, sono una manciata gli enti che, in Veneto, assegnano la gestione del servizio rifiuti con procedura competitiva: si tratta di alcune comunità montane del bellunese, del consorzio Padova Sud, del comune di Albignasego (PD), e dei comuni di Mason, Molvena e Pianezze (VI), la cui gara è al momento in corso. Secondo le stime illustrate da Jacopo Bercelli, sulla base di dati pubblicamente disponibili, queste gestioni costano in media 73 €/abitante contro i 103 €/abitante dgli affidamenti in house, con un risparmio de 30%. A chi rileva che si tratta di un confronto improprio, perché ogni territorio ha esigenze specifiche, è agevole rispondere che – alla luce della perdurante carenza di concorrenza – si tratta anche dell’unico confronto possibile. Una delle ragioni più solide per preferire l’affidamento con gara risiede proprio nella facoltà di opporre un vaglio concreto all’affermazione fideistica dell’efficienza dell’in house. La procedura competitiva è un meccanismo di scoperta, che fa emergere i mezzi e i processi più adeguati alla fornitura del servizio e ne determina l’effettivo prezzo di mercato.
In questo paese, chi richiede una maggior apertura al mercato si trova solitamente nella scomoda posizione di reclamare riforme normative per modificare lo status quo; nel caso dei servizi pubblici locali, viceversa, la richiesta è ben più modesta: si tratta di dare applicazione a una disciplina già vigente. Non necessariamente una disciplina ottimale: possiamo immaginare – e si praticano altrove – modalità di gestione in cui gli operatori competano nel mercato e non per il mercato. Tuttavia, rispetto alla pratica del settore, tagliare le unghie alle partecipate e dare spazio ai privati sarebbe oggi una boccata d’ossigeno per imprese e contribuenti.

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1 Response

  1. Riguardo al tema delle municipalizzate, vorrei focalizzare l’attenzione sul comparto della gestione rifiuti. Segnalo un interessante e completo report sull’argomento elaborato da Cassa Depositi e Prestiti.

    http://www.cassaddpp.it/static/upload/stu/studio-di-settore-n.5-2014_rifiuti.pdf

    In considerazione della dimensione quantitativa del problema (32.000.000 di ton/anno di RSU – oltre 200.000.000 di rifiuti speciali solo in Italia) e delle differenti tecnologie utilizzate, dalla ricerca emerge come vi siano enormi spazi di miglioramento.
    Parrebbe che la sola Italia sprechi oltre 1 miliardo di euro all’anno solo per il mancato sfruttamento del contenuto energetico dei rifiuti smaltiti in discarica; senza considerare le ingenti somme destinate alla incapacità cronica delle Regioni del sud di uscire dall’emergenza (= smaltimento di rifiuti all’estero con costi pazzeschi) e le sanzioni applicate all’Italia per il mancato rispetto delle direttive europee.

    Non mi sembra che vi sia un particolare interesse all’argomento, se non per i casi di gravi illeciti operati dalla malavita organizzata.
    Sarebbe invece assai produttivo un confronto serio sull’argomento, che in tempi brevi potrebbe generare ricchezza per le imprese del comparto, posti di lavoro e innovazione tecnologica.

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