La Colombia è davvero pronta per entrare nell’OCSE?
Il 23 e 24 aprile la commissione per il commercio internazionale dell’OCSE si riunirà per discutere l’ingresso della Colombia. Nonostante il rapido sviluppo economico e gli sforzi politici fatti per pacificare il territorio, il paese sudamericano continua a presentare istituzioni democratiche relativamente deboli e uno stato di diritto ancora poco sviluppato.
Il 23 e 24 aprile la commissione per il commercio internazionale dell’OCSE si riunirà per discutere l’ingresso della Colombia all’interno della prestigiosa organizzazione parigina.
Nata nel 1948 con lo scopo di usufruire al meglio degli aiuti statunitensi dell’European Recovery Program (ERP), meglio conosciuto come “Piano Marshall”, oggi l’OCSE rappresenta un chiaro obiettivo istituzionale per tutti i paesi in via di sviluppo. Nel 2010, dopo tre lunghi anni di monitoraggio, l’OCSE ha deciso, ad esempio, di far entrare nel suo ristretto club di nazioni avanzate il Cile, l’Estonia, Israele e la Slovenia. Nel maggio 2013 la Colombia e la Lettonia hanno avviato un negoziato di adesione. La Lettonia è diventata ufficialmente un membro OCSE nel 2016 mentre la Colombia dovrebbe entrare a far parte dell’organizzazione nel corso dei prossimi mesi. Se la commissione per il commercio internazionale dell’OCSE darà il suo via libera, l’accessione di Bogotà si trasformerà in semplice formalità.
Nel corso di questi ultimi anni Josè Angel Gurria, segretario generale dell’OCSE, ha iniziato un processo di apertura verso i paesi latino-americani più virtuosi, nella speranza di espandere i confini dell’organizzazione in un territorio che, nel corso di questi ultimi due decenni, ha visto il suo prodotto interno pro capite raddoppiare in termini di parità di potere d’acquisto.
Da un punto di vista puramente macroeconomico la Colombia è un ottimo candidato. Negli ultimi due decenni, infatti, importanti riforme strutturali hanno permesso al paese sudamericano di fare progressi economici e sociali molto importanti. La povertà assoluta è in constante calo, con solo il 5,5% della popolazione che vive in condizioni di estremo bisogno, rispetto al 16,2% del 2000. Nello stesso periodo, il prodotto nazionale lordo della Colombia è triplicato, passando da 97,7 miliardi di dollari a 286 miliardi. Oggi il paese sudamericano è la quarta economia più grande dell’America Latina ed è ormai una potenza regionale sempre più importante, soprattutto dal punto di vista culturale e diplomatico.
Nonostante il rapido sviluppo economico del paese e gli sforzi politici fatti in ambito di pacificazione del territorio, la Colombia rimane una nazione con istituzioni democratiche relativamente deboli e con uno stato di diritto ancora poco sviluppato. Secondo il più recente Rule of Law Index del World Justice Project, un’organizzazione no profit statunitense, la Colombia si posiziona al 72° posto nel mondo per la trasparenza delle sue istituzioni (government transparency), per la protezione e la sicurezza degli individui e della proprietà (fundamental individual rights and property rights) e per la responsabilità politica del governo (government accountability).
In particolare uno degli ambiti in cui la Colombia si allontana maggiormente dalle migliori pratiche dei paesi OCSE riguarda i diritti di proprietà nel settore dell’assistenza sanitaria. Di recente, infatti, la Colombia ha mostrato una certa riluttanza a rispettare tali diritti, obbligando una casa farmaceutica titolare solo dal 2016 di un importante brevetto per un farmaco antitumorale ad accettare un rilevante sconto sul prezzo rispetto alla prospettiva di una cancellazione dei diritti derivanti dal brevetto. Ad oggi il governo sta studiando ulteriori simili misure per i farmaci che combattono l’epatite C. A questo proposito è interessante notare come il mancato riconoscimento dei brevetti venga solitamente utilizzate da paesi, come ad esempio l’Egitto, il Mozambico, il Ghana, il Rwanda, che tendono ad essere mal governati ed amministrati.
Non riconoscere il valore e i diritti di brevetto, ad esempio forzando e anticipando la possibilità di «generalizzare» la produzione del farmaco, è, a tutti gli effetti, una violazione dei diritti di proprietà. Una politica distorsiva di questo tipo tende ad inviare segnali negativi sul mercato che solitamente percepisce un più alto rischio di investimento, un più alto rischio di collaborazione con aziende farmaceutiche locali e una propensione minore nell’immissione sul mercato di nuovi prodotti per la cura delle malattie. Un uso frequente di forme di «requisizione» del brevetto non solo può costringere le aziende straniere a ridurre gli investimenti, ma, in un periodo di tempo più lungo, può portare a seri problemi di copertura nella disponibilità dei farmaci e, paradossalmente, a prezzi più alti e a un sistema di distribuzione meno efficiente.
Inutile ricordare come l’utilizzo di politiche coercitive, per garantire sconti farmaceutici, sia estranea alle migliori pratiche a cui i paesi OCSE fanno costantemente riferimento. Contrariamente a quanto avviene in Colombia, i paesi OCSE tendono a risolvere i problemi relativi al prezzo dei farmaci attraverso lunghi processi di negoziazione e collaborazione, riconoscendo il ruolo centrale degli investimenti in ricerca e sviluppo come necessari per garantire un costante processo di innovazione.
Anche per questi motivi la commissione per il commercio internazionale dell’OCSE dovrebbe posticipare l’ormai imminente ingresso della Colombia nell’Organizzazione. Il rischio maggiore non sarebbe solo quello di compromettere la qualità e la reputazione dell’organizzazione stessa, ma anche di aprire le porte a futuri negoziati di adesione politicamente ed economicamente ingombranti con Argentina e Brasile, due paesi con forti problematiche interne, che da tempo mirano ad entrare nell’OCSE.
Due paroline sul fatto che l’OCSE è una mafia che ha come scopo principale quello di aiutare il fisco dei vari stati a spremere i cittadini NOOOO?
Il bello che questo è un sito che si proclama liberale.
Già, liberale come mariomonti