Jacques Delors: un socialdemocratico vero, architetto di un’Europa alla francese
Pubblichiamo in traduzione italiana l’articolo di Jacques Garello comparso sul sito dell’Institut de Recherches Economiques et Fiscales il 29 dicembre 2023
Il tributo reso a Jacques Delors è stato quasi unanime. Questo tributo è giustificato se si guarda all’uomo e alle sue idee, ma spesso si dimentica l’azione politica del Ministro dell’Economia nel 1981 e dell’estensore del Trattato di Maastricht nel 1992.
Jacques Delors è sempre stato fedele alle sue opinioni. Non ha mai nascosto il fatto di essere un socialdemocratico. Uomo dalle forti convinzioni, non era un uomo di potere. Voleva promuovere le sue idee, ma non era un politico arrivista. Questo può sembrare sorprendente oggi, visto lo spettacolo offerto dalla classe politica odierna. In effetti, alcuni commentatori hanno provato a immaginare come sarebbe stata la Francia con Delors presidente al posto di Mitterrand nel 1981.
La Francia del programma comune della sinistra
Ovviamente, quando ci si attiene al programma della socialdemocrazia si può agire solo come socialdemocratici. Questo spiega il fallimento iniziale di Jacques Delors, ministro dell’Economia nei governi Mauroy dal 1981 al 1983. Il keynesismo insegna che la crescita viene incrementata stimolando la spesa pubblica e privata, aumentando il salario minimo del 10% e le prestazioni sociali del 25%. La crescita prevista per il 1983 però non si concretizzò e il deficit di bilancio (già presente sotto Giscard dal 1974) salì improvvisamente dal 2% al 4% del PIL. Ma i maggiori sconvolgimenti furono portati, da un lato, dalle nazionalizzazioni previste dal programma comune della sinistra (che coinvolsero la grande industria, le banche e la finanza) e, dall’altro, dalla svalutazione del franco francese. Rispetto al suo valore nel sistema monetario europeo in vigore all’epoca, il franco fu svalutato tre volte in meno di un anno e la Banque de France dovette vendere metà delle sue riserve valutarie per sostenere il franco.
Il governo voleva anche assumere un gran numero di lavoratori dell’industria siderurgica, che in seguito sarebbero diventati disoccupati. Regolamentò la settimana lavorativa (nel gennaio 1982), impose la partecipazione dei sindacati alla gestione (legge Auroux) e fissò una quota di alloggi sociali in ogni comune (legge Gayssot). Lo stato attuale del nostro Codice del lavoro e del Codice urbanistico deve quindi molto a queste iniziative socialdemocratiche (sostenute dai ministri comunisti del governo Mauroy 2).
L’Europa sociale: Maastricht
Jacques Delors lasciò il governo per diventare Presidente della Commissione europea. Mitterrand e Adenauer accettarono di affidargli le sorti dell’Europa. Sapevano che era un europeo convinto, un cattolico progressista e capace di organizzare l’Europa secondo un progetto che non era né quello di Jean Monnet né quello del Trattato di Roma.
Jean Monnet era un pianificatore socialista, voleva creare imprese europee in tutti i campi e si opponeva all’economia di mercato, perché secondo lui il mercato significava disordine. Al contrario, Adenauer, De Gasperi e Schuman, riuniti a Roma con l’appoggio del Vaticano[1], sognavano un’Europa dell’armonia, dell’Unione, e credevano che il mercato unico fosse un modo per creare solidarietà tra popoli che si erano odiati per un secolo.
L’originalità di Jacques Delors è stata quella di collocarsi a metà strada tra queste due visioni. La sua idea era quella di un’Europa sociale che permettesse a tutti i popoli di condividere il proprio futuro. Traspose in Europa le convinzioni che avevano animato il suo ministero parigino: un’Europa sociale, con una carta sociale molto sviluppata e… una moneta unica. In quel periodo, Margaret Thatcher cominciava a battersi per un’Europa aperta e nel suo discorso di Bruges espresse la sua ostilità a qualsiasi forma di integrazione europea. L’Atto Unico Europeo, pubblicato nel 1986, sancì la sua vittoria: si trattava del modello più liberale possibile all’epoca e fu firmato da Laurent Fabius, il Primo Ministro francese, ma ratificato da Jacques Chirac, che gli succedette come Primo Ministro nel 1986.
Jacques Delors non aveva ancora detto la sua ultima parola e intendeva far prevalere le sue idee facendo aggiungere all’Atto Unico un’appendice relativa alla creazione di una moneta europea: l’euro. In un nuovo documento, il Trattato di Maastricht, egli stabilì i principi dell’Europa sociale e della moneta unica europea. Questo introdusse la tanto desiderata integrazione. Di fronte a Maastricht, la destra francese ebbe difficoltà a difendersi. Al governo sotto Jacques Chirac (con Mitterrand presidente fino al 1995), la trappola tesa da Jacques Delors non fu percepita e la destra votò per un’Europa centralizzata, giacobina e burocratica, che è esattamente ciò che l’Unione Europea è oggi.
Jacques Delors non esitò a utilizzare alcune disposizioni del Trattato per far valere le sue idee. In particolare – e questo è un aspetto importante agli occhi dei liberali – ha dato una curiosa idea di sussidiarietà. Naturalmente sapeva che questo concetto era stato introdotto nella dottrina sociale della Chiesa cattolica[2], ma sosteneva che la sussidiarietà consiste nel dividere la gestione dell’Europa in tre livelli: locale, nazionale ed europeo. In una concezione molto francese del decentramento, introdusse la “deconcentrazione”: ciò che conta è ciò che è europeo, anche se ciò significa che l’Europa delega poteri agli Stati membri o alle autorità locali!
Resta il fatto che, fatto salvo il verdetto del popolo, e nonostante il sostegno della destra francese, il progetto di Trattato di Lisbona venne respinto da francesi, cechi e irlandesi. In teoria, il progetto sarebbe dovuto arrestarsi, ma ciò che venne respinto dal referendum fu sottoposto al voto dei parlamenti: i parlamentari di tutti i Paesi presero la decisione respinta dal popolo, una forma di democrazia che da allora è di gran moda nell’Unione Europea.
Nel 2020 l’euro era in circolazione, la Banca Centrale Europea, con custode della moneta Trichet, è diventata, sotto Mario Draghi e Christine Lagarde, uno strumento di gestione del debito nazionale, i tassi d’interesse sono diminuiti e alla fine si è scatenata l’inflazione, e i bilanci europei e nazionali hanno continuato a crescere, tranne che nei pochi Paesi “frugali” che hanno capito che un’economia sana ha bisogno di finanze ben gestite e di uno Stato ridotto, la cui spesa dovrebbe rappresentare meno del 15% del PIL.
I liberali di oggi chiedono di rompere con l’Europa di Jacques Delors e si rivolgono agli elettori con un programma chiaro: ritorno al mercato comune, concorrenza istituzionale tra gli Stati membri (principio del mutuo riconoscimento delle regole), scomparsa del diritto europeo e dell’inflazione di norme, obbligatorie e burocratiche, fine delle politiche finanziate dal bilancio europeo – come la costosissima e inefficace transizione energetica. Il rispetto dei diritti individuali, della privacy e delle libere transazioni è una priorità.
[1] Cfr. il nostro articolo su Nouvelle Lettre, L’union européenne devient un cartel d’Etats Défense, commerce, écologie : la liberté est visiblement exclue, 16 febbraio 2023.
[2] Cfr. Jean Yves Naudet, La doctrine sociale de l’Eglise: Une morale économique et sociale, tomi 1-4, éd. Aix Marseille Université, 2020.