Istituzioni e individualismo
Nutro mixed feelings verso il paper di Ahdieh “Beyond individualism in law and economics”, recentemente linkato da Giannino, perché da un lato dice una serie di cose che ho sempre pensato su alcuni temi che reputo molto importanti, e dall’altro sostiene che questi problemi siano causati dall’individualismo metodologico, diagnosi che mi pare erronea.
Credo ci sia un problema di mistaken identity: abbiamo l’individualismo dell’approccio economico standard, con i suoi limiti spesso gravi, e abbiamo approcci che conservano pienamente l’individualismo metodologico ma che non sono soggetti agli stessi limiti che Ahdieh giustamente denuncia. Non si può quindi che essere d’accordo con Giannino nel dire che bisogna stare “con Hayek“. A parte Hayek, però, come riconosce anche Ahdieh (che è però costretto ad interpretarlo come non-individualista), questa tradizione comprende tutta la Scuola austriaca, il neoistituzionalismo, la public choice e probabilmente altre scuole: Ahdieh imputa quindi all’individualismo problemi che sono di altra origine, e infatti “il suo pregio è di accontentare i nostri avversari solo nel titolo“, come ha scritto Giannino.
Il paper parla di moltissime cose, molte ampiamente condivisibili, e quindi farò una cernita. Mi concentrerò su quattro domande fondamentali:
1. L’assenza di istituzioni nell’analisi neoclassica è frutto dell’individualismo metodologico?
2. I giochi di coordinazione sono incompatibili con l’individualismo metodologico?
3. Che cos’è un’istituzione dal punto di vista individualistico?
4. Che ruolo hanno la stabilità e la esogeneità delle preferenze nell’individualismo metodologico?
1. L’assenza di istituzioni nell’analisi neoclassica è frutto dell’individualismo metodologico?
Se questo fosse vero, l’economia austriaca, l’economia neoistituzionalista, la public choice e molte applicazioni della game theory sarebbero in contrasto con l’individualismo metodologico, il che è però una forzatura interpretativa, soprattutto nel caso degli austriaci che dell’individualismo metodologico hanno fatto una bandiera.
Nel post precedente criticavo il banditore walrasiano come deus ex machina: l’equilibrio walrasiano è privo di istituzioni perché gli agenti sono supposti così illimitatamente razionali e perfettamente informati che non ne hanno bisogno. E’ naturale quindi che l’economia neoclassica sia deistituzionalizzata, ma questa è la conseguenza delle ipotesi su razionalità e conoscenza. Secondo Coase, le istituzioni servono per ottimizzare i costi di transazione: in assenza di costi di transazione, quindi, le istituzioni sono irrilevanti. I difetti dell’analisi neoclassica provengono dall’aver assunto via problemi che al contrario la Scuola austriaca e il Neoistituzionalismo considerano fondamentali.
Se consideriamo il fondamentale paper di Mises del 1920 sul calcolo economico, scopriamo che per Mises il sistema dei prezzi è un’istituzione necessaria affinché i problemi complessi della coordinazione economica vengano divisi in sottoproblemi epistemicamente semplici (Mises parla di “divisione intellettuale del lavoro). In Menger abbiamo una teoria istituzionalista della moneta già nel 1871, e nel 1884 espandeva la sua teoria al diritto, al linguaggio, al mercato e ad altre istituzioni. La struttura istituzionale della produzione (teoria del capitale) fu analizzata da Menger, sviluppata da Boehm-Bawerk e raffinata da Mises e Hayek. E che la struttura istituzionale della moneta e delle banche fosse fondamentale è un’idea che si trova in Mises (sin dal 1912) e negli scritti di Hayek degli anni ’30 sul ciclo economico. Al di fuori della Scuola austriaca, abbiamo Coase, che nel 1937 scriveva che la scelta tra mercato e organizzazione era dettata dai costi di transazione, e le analisi della struttura istituzionale della politica in Buchanan, Tullock, Wagner e tutta la public choice. Non di solo Walras vive l’individualismo.
Ahdieh sottolinea con precisione diversi problemi strutturali dell’economia contemporanea, ma trascura diverse teorie che non mostrano gli stessi difetti, oppure si vede costretto a considerarle non-individualistiche, quando in realtà sono solo non-deistituzionalizzate. L’individualismo non è atomismo.
2. I giochi di coordinazione sono compatibili con l’individualismo metodologico?
Se fosse così, la teoria della moneta di Menger (1871) sarebbe non-individualista, visto che è il primo esempio noto in letteratura di gioco di coordinazione, tanto che Menger è da molti considerato il padre del Neoistituzionalismo.
Nel 1871, Menger scriveva che la moneta nasce dal baratto come soluzione (inintenzionale) ai tentativi di risolvere i problemi dell’inefficienza dello scambio diretto. Il meccanismo esplicativo di Menger è interpretabile secondo il linguaggio della teoria dei giochi come gioco di coordinazione: esistono vari equilibri più o meno equivalenti in cui se tutti fanno la stessa cosa stanno tutti meglio. Così, se tutti usano lo swahili per comunicare, stanno meglio che il giorno dopo la distruzione della Torre di Babele, anche se forse sarebbe ancora meglio usare l’inglese, che è un altro equilibrio possibile.
La teoria di Menger era totalmente individualistica: le persone si incontrano e, senza una moneta, possono scambiare solo se hanno bisogni compatibili, ad esempio se chi ha il latte non ha la crostata e chi ha la crostata non ha il latte. Pian piano però alcuni si rendono conto che alcune merci sono più smerciabili di altre, e allora cominciano ad accumulare una scorta di merci “smerciabili” per facilitare le proprie transazioni. Quando tutti adottano questa strategia, una merce diventa la controparte di tutti gli scambi, e nasce lo scambio monetario.
3. Che cos’è un’istituzione dal punto di vista individualistico?
A volte Ahdieh sembra considerare istituzione qualsiasi cosa che l’individuo non è in grado di modificare a piacere. Ma l’idea, che andrebbe chiamata volontarismo o costruttivismo, è aliena alla visione austriaca delle istituzioni (si pensi alle critiche di Hayek al costruttivismo), nonché all’analisi delle procedure politiche tipica della public choice. L’individualismo metodologico sembra interpretato da Ahdieh come una forma di approccio institution-making anziché institution-taking, analogo ai price-maker e price-taker della teoria dei prezzi ortodossa: il problema è che l’institution-taking è compatibile con l’individualismo.
Ogni individuo agendo dà per scontate determinate cose, nel breve termine, ma con le sue azioni contribuisce ad indebolire o a rafforzare nel lungo termine ciò che nel breve poteva dare per scontato. Ad esempio, ogni individuo contribuisce al sistema monetario con le sue transazioni, anche se nella sua vita di tutti i giorni i prezzi e la moneta sono considerati largamente dati. L’individuo è price-taking sul mercato tanto quanto è institution-taking sul piano sociale, ma se si prende la metafora del price-taking troppo alla leggera non si può capire, come giustamente sottolinea Ahdieh, la dinamica del cambiamento sociale. Le istituzioni sono date perché sono il risultato delle azioni individuali passate, esattamente come la dotazione di capitale è data perché è un costo sommerso; l’azione individuale influenza, intenzionalmente o meno, le istituzioni ed è il fattore che anima l’evoluzione istituzionale.
Il modello walrasiano vive al di fuori del tempo: su questo Ahdieh ha pienamente ragione. Ma è un problema dell’individualismo metodologico? “Human action” di Mises afferma esplicitamente che il tempo è una categoria fondamentale del ragionamento economico, senza il quale il processo del mercato sarebbe incomprensibile.
Ahdieh si chiede però cosa rimanga dell’individualismo se si considerano anche le istituzioni, ma il problema sembra nascere dalla definizione estremamente restrittiva che dà al concetto. L’istituzionalismo non è necessariamente individualista: le analisi marxiane in termini di classi sociali sono istituzionali e collettiviste, mentre l’analisi mengeriana della moneta è istituzionalista e individualista assieme. Posto quindi che dobbiamo comprendere come funzionano le istituzioni, la teoria delle istituzioni può essere o meno compatibile con l’approccio metodologico individualista: tutti gli esempi fatti da Ahdieh lo sono, ad esempio.
4. Che ruolo hanno la stabilità e la esogeneità delle preferenze?
Queste ipotesi sono giustamente criticate da Ahdieh, ma occorre chiedersi se sono critiche all’individualismo metodologico o a certi modi di teorizzare. Siccome si possono immaginare modelli di preferenze endogene totalmente individualistici, opterei per la seconda opzione, ma di questo argomento non so granché.
Nell’analisi economica le preferenze sono date, nel senso che l’analisi economica non si interessa dell’origine delle preferenze né le giudica (Wertfreiheit), ma si limita ad assumerne l’esistenza come dato ultimo. E’ in genere comodo considerare le preferenze anche come statiche, ma questa ipotesi mi sembra abbastanza priva di conseguenze. E’ possibile assumere le preferenze come endogene e dinamiche e rimanere metodologicamente individualisti?
E’ possibile affermare che certi valori individuali siano incentivati o disincentivati dalla struttura sociale (e viceversa) e che la dinamica sociale sia il risultato del complesso interagire di questi fenomeni. E’ possibile immaginare un modello (ad esempio un modello ad agenti, ABM: agent based model) in cui determinati individui nascono con certe idee, interagiscono in un certo modo, e il risultato dell’interazione influenza le idee professate dagli individui. Si va forse fuori dall’individualismo? Come dice il nome, un modello ad agenti è basato sugli agenti, cioè sugli individui. I teorici dell’ABM, infatti, fanno al computer quello che gli austriaci facevano oltre un secolo fa a mani nude.
In conclusione, l’approccio economico standard ha dei problemi, anche se forse meno di quanti Ahdieh sostiene (ad esempio, la teoria degli equilibri multipli non mi sembra avere nulla di eterodosso: sta nei libri di testo standard). Il problema non è però nella diagnosi, che è corretta, ma nella terapia: non è l’individualismo il problema, ma il costruttivismo, l’atomismo e il razionalismo. Le critiche di Ahdieh valgono per Walras e non per Menger: siccome erano entrambi individualisti, non può essere questo il problema.
Ma parla italiano!
Preciso che non ho ancora letto il paper di Abdieh (ma spero di farlo al più presto) ma vorrei sottolineare alcune questioni aperte nel post.
Primo, si dice che “l’equilibrio walrasiano è privo di istituzioni perché gli agenti sono supposti così illimitatamente razionali e perfettamente informati che non ne hanno bisogno”.
Tralasciando il fatto che se gli agenti fossero illimitatamente razionali e perfettamente informati il ruolo del banditore walrasiano sarebbe ridondante, ma cos’è il banditore walrasiano se non un’istituzione (impersonificata)?
Secondo, a ragione si dice che per Coase le istituzioni servono per ottimizzare i costi di transazione: “in assenza di costi di transazione, quindi, le istituzioni sono irrilevanti”.
Il termine “irrilevante” mi è ambiguo; si intende ininfluenti (l’una o le altre istituzioni è uguale per il risultato finale) o inutili (nel senso che non hanno senso di esistere; “In an economic theory which assumes that transaction are nonexistent, markets have no function to perform” Coase, 1988:7)?
“L’individualismo non è atomismo.” D’accordo. A mio modo di vedere, l’errore sta nell’accostare l’individualismo al paradigma della concorrenza perfetta (che è atomista).
“L’istituzionalismo non è necessariamente individualista: le analisi marxiane in termini di classi sociali sono istituzionali e collettiviste, mentre l’analisi mengeriana della moneta è istituzionalista e individualista assieme.”
D’accordo, lo stesso Coase (1937) è istituzionalista-individualista quando parla di mercato e istituzionalista-collettivista quando parla di impresa.
“E’ possibile assumere le preferenze come endogene e dinamiche e rimanere metodologicamente individualisti?”
Domanda molto interessante. Io penso di sì; a mio parere, basta non confondere individualismo con egoismo (come già aveva evidenziato Hayek), perchè una volta che si ammettono preferenze endogene (derivabili ad esempio dal contesto, o dall’esperienza di interazioni con gli altri) ritengo che qualche other-regarding concerns emerga negli individui, come mostrato da alcuni esperimenti di economia sperimentale (ultimatum game e public good game).
In un modello walrasiano non ci sono istituzioni: infatti c’è il banditore walrasiano che gioca il ruolo di Dio. Il banditore walrasiano è un’entità destrutturata che sostituisce ciò che nel mondo reale sono le istituzioni: non c’è bisogno di prezzi ma di shadow prices, non c’è bisogno di moneta, e tutte le scelte portano a indifferenza perché ciò che non è reale (tecnologie, preferenze, endowments) è irrilevante (teorema di Modigliani-Miller, equivalenza ricardiana, neutralità monetaria sono la conseguenza delle ipotesi di irrilevanza della struttura istituzionale).
Per irrilevante intendo sia ininfluente che inutile. La moneta in un sistema walrasiano non serve a nulla (è inutile) ed è neutrale (è ininfluente), e il motivo è che non c’è veramente bisogno di scambiare in un modello del genere.
@Articioch
😀
Errori ortografici o troppa cultura? In genere non rileggo granché quello che scrivo, quindi non mi stupirei dei primi. 🙂
Da non economista, mi sembra che il paper di Ahdieh attacchi un obiettivo costruito apposta: voglio dire, che rappresenti l’individualismo metodologico come una teoria astratta, incapace di comprendere il mondo reale, senza contatti con altre teorie. Allora è facile mostrare che, se l’individualismo metodologico trascura tanti aspetti del reale, non è un buon metodo: però nelle conclusioni l’autore sembra rivalutarlo, forse spaventato dal suo ardimento.
Vorrei aggiungere un’altra considerazione, pure essa dubitativa: Ahdieh parla ufficialmente della capacità esplicativa e predittiva del movimento di law and economics, quasi che questo ignorasse l’economia istituzionale, la public choice, la teoria dei giochi, ecc., per poi proporre alcuni cambiamenti di prospettiva nella regolazione che mi sembrano troppo vaghi per essere presi sul serio. Più che altro, mi sembra che abbia cercato, senza esito, di introdurre elementi di behavioral law and economics nell’orientamento mainstream, trascurando la circostanza che questa non ha ancora prodotto, che io sappia, univoche conclusioni normative.
@Luciano Pontiroli
Concordo sulle prime due cose ma non sulla terza.
Sì, la definizione di Ahdieh è fondamentalmente uno strawman. Però uno la vede così perché ha letto Mises: se uno avesse letto la letteratura accademica degli ultimi 50 anni probabilmente sarebbe autorizzato a credere che l’individualismo metodologico è veramente così come lo si descrive.
Quello che è strano è che Ahdieh non solo non sembra conoscere l’economia austriaca, tanto che dice che è uscita dall’individualismo metodologico con Hayek (cosa doppiamente erronea, perché l’attenzione alle istituzioni è caratteristica di tutta la Scuola sin dalle origini, e perché Hayek non è mai uscito dall’individualismo metodologico rettamente inteso). Il problema è che ci sono una miriade di altre scuole che non fanno gli errori dei walrasiani e rimangono individualiste: Ostrom, Williamson, Coase, Buchanan, Tullock, Wagner, Axelrod… io non mi intendo di queste scuole, ma in tutti questi casi ciò che Ahdieh critica dell’individualismo non si può applicare. Rimane quindi un errore di mistaken identity: si pensa che i problemi dei walrasiani siano legati all’individualismo, e quindi si attacca l’individualismo, citando però temi e problemi analizzati già da tempo da diverse scuole metodologicamente individualiste.
Non concordo invece con la chiosa. Una teoria non deve produrre univoche conclusioni normative: questo è un problema morale e non scientifico. Una teoria deve proporre temi, problemi, metodi e soluzioni, e da questo punto di vista credo che la behavioral economics sia già giunta ad una certa maturità, anche se non conosco granché l’argomento.
Il paper va in definitiva visto come un sunto di problemi già noti che però erano stati taciuti nella letteratura mainstream: avrebbe dovuto dire “usciamo dall’atomismo neoclassico” e invece ha colpito il bersaglio sbagliato. Ciononostante, i problemi discussi esistono veramente e probabilmente rappresentano il paradigma dominante.
Nei miei precedenti articoli dicevo che i liberali devono cambiare scuola, e passare da Walras a Menger come base concettuale (in realtà esistono varie altre scuole che andrebbero bene, ma sono tutte molto più affini a quella austriaca che non la teoria economica standard). Credo che Giannino intendesse una cosa non dissimile quando affermava che la Scuola di Chicago deve trovare una nuova identità nella riformulazione dell’individualismo se vuole rimanere rilevante. In pratica, deve GMU-zzarsi (la George Mason University è un laboratorio di tutto: economica austriaca, comportamentale, public choice, neuroeconomia, economia computazionale…).
@Pietro M.
Nel mio intervento non lamentavo un’insufficienza della behavioral economics sul piano etico: da giurista, rilevavo che la critica portata all’ipotesi del mercato efficiente si accompagnasse all’indicazione – da parte di studiosi di law & economics – di conclusioni normative divergenti ma, in generale, piuttosto incerte.
La regolazione dei mercati finanziari, in particolare, si basa sul presupposto che la diffusione dell’informazione ne assicuri l’efficienza: presupposto che mi sembra del tutto coerente con l’EMH.
Gli scritti in materia di behavioral law and economics non riescono a proporre un modello di regolazione alternativo: cfr. Parisi & Smith (ed.s), The Law and Economics of Irrational Behavior. Se la teoria è matura, come sembra ritenere, allora dovrebbe proporre soluzioni ai problemi di regolazione che siano diverse da quelle proprie della teoria opposta: mi pare che manchino, finora.
Credo che alcuni termini stranieri che impiegate volendo si possano tranquillamente tradurre. Per esempio:
“behavioral economics”->economia comportamentale
“law & economics”->legge ed economia
“paper”->scritto, opera
“mixed feelings”->sentimenti misti
“game theory”->teoria dei giochi
Usare termini stranieri a muzzo come fanno i bancari non è cultura…
Questione di gusti. Fa sempre bene ampliare il vocabolario, poi…