Ipertrofia della Finanza o Problema di Misurazione?
Uno degli argomenti preferiti dai benpensanti moralizzatori dell’ordine economico – a partire dal popolo di Seattle fino agli attuali Indignados e Draghi Ribelli, passando per le voci dell’ultimo esaltato quindicenne in piazza, del politico anti-politico emergente, e dell’economista (o sedicente tale) santificato dai giornalisti – è quello dell’ipertrofia della finanza, ormai diventata un terribile multiplo del PIL mondiale.
Non è contestabile l’affermazione in sé (la confermo) quanto l’analisi delle cause, dal vulgo rintracciate semplicisticamente nell’avidità e nello strapotere della finanza ma austriacamente riconducibili all’inflazionismo delle Banche Centrali in quanto agenti monetari degli Stati; l’errore di analisi fa pensare che questo rapporto Finanza/PIL possa venir ridotto all’unità se non addirittura a meno… Ma ha senso? Che aspetto ha un mondo “equilibrato”?
Ho avuto una intuizione, ma prima di cercare i numeri ho pensato di valutare un modello di economia che girasse in modo “equilibrato”. L’esempio più semplice e chiaro mi è fornito dal modello di Wicksell del 1898. Questo modello riassume le classi di azioni nell’economia in quattro soggetti teorici e mostra i rapporti che tra loro intercorrono; Wicksell poi shocka variamente il sistema per studiarne le dinamiche inflazionistiche, ma questo oggi non ci interessa. L’attività bancaria – prestare denaro e tenere depositi – è riassunta nelle Banche; l’attività imprenditoriale – investimento e produzione – è riassunta nelle Imprese; i fattori produttivi – offerta di lavoro e consumo della relativa remunerazione – sono riassunti nei Lavoratori; l’attività capitalistica – commercio della produzione e risparmio – riassunta nei Commercianti. All’inizio di un periodo tipico si ha l’avvio della produzione ed il consumo della produzione già esistente; a fine del periodo si ha la realizzazione della nuova produzione, il suo risparmio per il successivo consumo, ed il saldo delle posizioni bancarie, come nello schema riportato qui sotto. Chiaramente il processo si ripropone subito dopo nel nuovo periodo. L’esempio considera una produzione di 101 unità del bene y (che è la dotazione iniziale di beni dei Commercianti), ottenuta dalle Imprese impiegando una data offerta di lavoro dei Lavoratori, pagati con un indebitamento presso le Banche per £ 100 all’interesse dell’1%.
Il semplice schema di Wicksell prevede quindi che le Imprese si indebitino presso le Banche a inizio periodo (nell’esempio, per £ 100) per investire in forza lavoro (il credito iniziale diventa quindi il monte-stipendi); i Lavoratori spendono tutto acquistando le merci messe a disposizione dai Commercianti (i 101 y in magazzino meno il corrispettivo dell’1% di interessi del fine-periodo precedente, qui pari a 1 y), che a loro volta risparmiano fino alla fine del periodo depositando il ricavato nelle Banche. A fine periodo i Commercianti ritirano depositi e interessi (£ 101) con cui acquistano dalle Imprese la nuova produzione (101 y); le Imprese possono così estinguere il debito iniziale più gli interessi. A inizio periodo sul mercato al consumo il prezzo è £ 1 (£ 100 contro 100 y), così come a fine periodo sul mercato alla produzione (£ 101 contro 101 y); le Banche pareggiano sempre entrate e uscite; a fine periodo i Commercianti ricostruiscono sempre l’intero magazzino necessario per il proprio consumo e per le vendite del periodo successivo; le imprese non hanno extra-profitti. Il sistema economico gira in modo perfetto ed equilibrato.
In questo mondo perfetto, per ogni intero periodo, il PIL è pertanto £ 101 (101 y prodotti al prezzo unitario di £ 1), le Banche creano credito per £ 100, rimborsano £ 101 di depositi ed intermediano in totale £ 100+ £ 101 di flussi in entrata e £ 100 + £ 101 di flussi in uscita, si ha un servizio del debito (interessi) pari a £ 1, ed infine scambi reali di merci e lavoro per £ 100 + £ 100 + £ 101. Cioè:
Credito creato | £ 100 |
Servizio del debito | £ 1 |
Flussi di uscita dalle Banche | £ 201 |
Intermediazione bancaria totale | £ 402 |
Transazioni reali | £ 301 |
PIL | £ 101 |
Il mondo della finanza quindi conta per £ 402, quasi 4 volte il PIL; evitando il doppio calcolo di entrate ed uscite il rapporto è comunque quasi di 2; se anche le transazioni reali venissero intermediate dal sistema bancario si avrebbe (al netto del doppio calcolo di entrate e uscite) un valore del mondo della finanza di £ 502, quasi 5 volte il PIL. In altre parole, a seconda del criterio di misurazione e del grado di intermediazione bancaria, in un mondo “sano ed equilibrato” la finanza pesa dal doppio (le sole uscite bancarie) a dieci volte (tutti i movimenti finanziari in un mondo totalmente bancarizzato) il PIL. Come si spiega che questi numeri siano relativi a un mondo equilibrato e non ad una finanza ipertrofica?
Anzitutto è evidente che la misurazione “mondo finanziario” è prona al doppio conteggio dei flussi: se un’istituzione fa da mero intermediario finanziario, come nel modello, contare ciò che entra e ciò che esce significa contare due volte il transito di una sola somma. Ma soprattutto deve esser evidente che le dimensioni del mondo finanziario qui rappresentano non uno stock bensì lo svolgimento di un flusso di denaro/credito attraverso l’economia da chi ne ha in eccesso a chi ne è in difetto, e che quanti più passaggi si vogliono distinguere quanto più grande appare questo mondo, appunto perché si tratta in realtà di “fotografare” più volte sempre la stessa cosa. L’economia reale, qui riassunta nella ricchezza creata (PIL), viene invece “fotografata” solo nel suo momento finale e non in tutto il processo di trasferimento di risorse e fattori produttivi da chi ne è in eccesso verso chi li richiede per la loro composizione in vista della produzione finale. In tal senso tutto il processo produttivo reale comprenderebbe – come flusso – l’acquisizione da parte dei Commercianti delle merci necessarie al sostentamento loro e dei Lavoratori, mentre questi ultimi cedono il proprio lavoro alle Imprese da cui origina la produzione finale. Nella tabella sopra, questo è pari alla voce “Transazioni reali”, cui va aggiunto il Servizio del debito poi consumato dai Commercianti.
Allora, considerando i passaggi intermedi, l’economia reale vale in modello £ 302 e quella finanziaria £ 402 (£ 201 se si evitano i doppi conteggi); se invece si considera il solo “risultato” finale, l’economia reale vale il solo PIL di £ 101 e l’economia finanziaria ugualmente £ 101, cioè il credito creato inizialmente (£ 100) più il valore del servizio bancario di deposito, cioè di trasferimento nel tempo delle somme riassunto negli interessi (£ 1).
Questa ricostruzione ci dice che è inevitabile che le statistiche, per come formulate, mostrino un’enorme economia finanziaria rispetto a quella reale, perché si confronta un intero processo con un risultato finale. Ci dice anche che omogeneizzando i punti di vista su finanza e economia reale le differenze non possono esser enormi (in modello la finanza come processo vale da 4/3 a 2/3 dell’attività reale, mentre come risultato finale le due sono uguali); questo è chiaro se si pensa che la finanza in fondo esiste come supporto dell’economia reale.
Un altro messaggio è che la finanza non crea nulla, salvo gli interessi che misurano il contributo dato nella gestione temporale delle risorse (pagati comunque attraverso una partita di giro); ma allora da dove viene l’ipertrofia della finanza? Se pensiamo che il sistema bancario può elargire credito a piacere, si può capire subito come potrebbe raddoppiare l’offerta di credito e permettere l’esistenza di tutta una serie di istituzioni che si limitano a far girare il denaro attorno all’economia reale; maggiore è la creazione e maggiore è questo mondo. Ma le singole banche possono far questo nei limiti di un multiplo (il moltiplicatore dei depositi che nasce dalla riserva frazionaria) applicato alla moneta in circolazione, che in realtà è emessa dalla Banca Centrale! L’ipertrofia della finanza quindi non può discendere che dalle politiche monetarie espansive, anzi continuamente espansive in modo che i prezzi non riescano mai a incorporare perfettamente l’inflazione monetaria.
Se si considerassero tutti gli scambi nell’economia reale, il mondo finanziario sembrerebbe meno enorme, però se guardiamo a che tasso è cresciuta rispetto al PIL la base monetaria negli ultimi venti anni, si capisce che la finanza non può comunque essere che ipertrofica. Però misuriamola per bene.
Giusto! e infatti nel medio periodo bisognerebbe lasciare che i prezzi crescano senza stampare nuova moneta. Se a questo si affiancasse una sana deregulation, l’inflazione verrebbe mitigata dalla concorrenza.
Una politica di questo tipo, oltre a permettere di incorporare parte dell’inflazione monetaria, drenerebbe le risorse proprio dai settori meno efficienti (per esempio i dipendenti pubblici conserverebbero il valore nominale del loro stipendio, ma non quello reale).
Nel lungo periodo invece, alle monete messe in circolazione dagli Stati, si affiancheranno le monete battute direttamente dai più grandi e seri istituti finanziari privati.
” nel medio periodo bisognerebbe lasciare che i prezzi crescano senza stampare nuova moneta” … come?
“monete battute direttamente dai più grandi e seri istituti finanziari privati” … come, segli Stati hanno il monopolio dell’emissione? A meno che tu non indichi il credito come moneta diversa.
Comunque mi pare un commento non proprio sull’argomento del pezzo.
Ho capito ora la tua osservazione.
Con prezzi intendevo i prezzi al consumo; la creazione di moneta intanto passa per il gonfiamento di altri asset, tipo le materie (alimentari, energetici, preziosi… e quando non lì resta il parcheggio presso le banche centrali), che torneranno sui prezzi non immediatamente. L’offerta andrebbe lasciata ferma (non dico ridotta, ma ferma, ghiacciata), e lasciare che la catallassi faccia il suo lavoro che non può non passare anche per un rialzo dei prezzi al consumo (i prezzi relativi sia orizzontalmente – tra beni di consumo – che verticalmente – lungo il processo produttivo – devono riequilibrarsi). Nel frattempo si dovrebbero avere anche spinte deflazionistiche attraverso il deleveraging (riduzione del credito, multiplo della moneta centrale); il saldo netto al nadir della crisi sarà il calo dei prezzi che incrementerà il potere di acquisto di chi è rimasto liquido (ha risparmiato) e che potrà guidare la ripresa. Certo, nel frattempo occorrerà che i servizi submarginali escano dal mercato, compresi alcuni servizi statali, ma è un altro discorso.
Già.
Tra l’altro si fa confusione tra quattro cose diversissime:
1. il valore della produzione annuale (flow)
2. il valore dei beni capitali (stock), che è molte volte il PIL perché è frutto della parte di PIL risparmiata in passato
3. il valore delle posizioni finanziarie (stock), che è molte volte il valore dei beni capitali perché c’è un’enormità di credito e debito finanziario che si cancella (inside assets vs outside assets)
4. il valore delle transazioni finanziarie (flow), che può essere molte volte il valore capitale se ogni asset viene scambiato di mano in un certo anno.
Ricordate l’europarlamentare greco che disse di poter ottenere centinaia di miliardi di euro di entrate con una Tobin tax ottenuta moltiplicando (4) per il costo di una transazione e dividendo per il (1)? Beati loro, che non capiscono un tubo…
Rimangono comunque due problemi reali:
1. il peso della finanza misurato bene rispetto al PIL, che non è il valore degli inside assets e neanche il valore delle transazioni, ma il valore aggiunto delle imprese finanziarie (5-10% del PIL) è reso eccessivo dalle protezioni pubbliche che aumentano artificialmente la profittabilità dell’intermediazione.
2. la fragilità strutturale della finanza è ingigantita dall’enorme rapporto tra inside assets e outside assets: a furia di trasformare in moneta attraverso dieci passaggi un mutuo insolvente, si è creato un sistema finanziario incomprensibile, fragile, e in larga misura insolvente. anche questo ovviamente è la conseguenza in larga parte delle protezioni pubbliche.
Complimenti!! veramente molto interessante, il tutto supportato dallo “matematica” e da un “ragionamento” logico-deduttivo,proprio le caratteristiche che non sono richieste per far carriera in ambito economico:)
Complimenti!! veramente molto interessante, il tutto supportato dalla “matematica” e da un “ragionamento” logico-deduttivo,proprio le caratteristiche che non sono richieste per far carriera in ambito economico:)