“Io sono mio?” Un contributo di Edoardo Ferrarese
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Qualche settimana fa Alberto Mingardi ha postato un articolo nel quale, in buona sostanza, si sosteneva la legalizzazione del commercio d’organi anche – è il tratto saliente della riflessione mingardiana – qualora prelevati da donatori volontari viventi. A conti fatti mi trovo d’accordo con molti dei punti di caduta individuati nel pezzo ma, come spesso mi capita confrontandomi con l’argomentare liberale “classico”, poco o niente con le premesse logiche del ragionamento svolto. Tralasciando lo scorrere sottotraccia dell’adesione alla libertà come “fine” politico, a non convincermi è proprio l’assunto concettuale che Mingardi dà banalmente per scontato e irrefutabile. Un individuo è davvero “proprietario del suo corpo” come lo può essere della casa, di un vestito o dell’automobile? A me non sembra affatto: un bene commerciabile, salvo impedimenti accidentali, si può – dove l’accezione semantica che informa tale predicato sta su un piano fenomenologico più che etico – comprare e vendere, mentre del nostro corpo possiamo disporre solo negativamente, risolvendoci per l’alienazione. E se il punto di partenza di un discorso è fallace, in generale altrettanto dicasi delle conclusioni che ne derivino: nella fattispecie l’auspicabilità dell’emersione del commercio d’organi dal mercato nero, la conseguente sottomissione del comparto economico così formatosi alla legge della domanda e dell’offerta, nonché il ruolo contestualmente giocato dal settore pubblico come volano di diritto negativo. Il nocciolo filosofico-politico della questione, ancora una volta, riguarda il rapporto tra il “concreto esistente” e i linguaggi che lo restituiscono, ovvero tra i principi morali e la loro “messa in opera” normativa. Se questa relazione è concepita in termini di perfetta identità, ricadiamo nella casistica ideologica dell’autoritarismo, non importa se di segno reazionario o progressista: vigente per una “cosa” un significante ottimamente adeguato al significato, qualunque scostamento dal paradigma ontologico così determinato è a un tempo indebito, illecito e illegittimo. Se, viceversa, si riconosce la natura metaforica dei codici espressivi, esplicitamente si ammette che le parole “stanno per” le cose ma non coincidono con esse. Quindi anche che i presupposti dell’architettura normativa esprimono delle ipotesi obbligate, delle chiusure convenzionali necessitate dall’impossibilità di attingere la Verità per via formale. In altre parole si fa casomai “come se” fossimo proprietari del nostro corpo. Non è il distinguo cavilloso che potrebbe sembrare al positivista provetto, bensì la consapevolezza teoretica che permette di applicare gli “assiomi” giuridici in maniera fluida, dialettica – catallattica, per usare un vocabolo caro appunto a chi positivista logico, liberalsocialista o costruttivista non è. Nello specifico l’autoproprietà, per non contrastare con i capisaldi sistematici di una filosofia morale coerentemente improntata alla libertà e, assieme, per non essere derubricata esclusivamente a “problema politico”, va temperata nel principio di non prevaricazione. Danneggia qualcun altro disporre del proprio corpo fino alle estreme conseguenze? Per quanto attiene all’usufrutto, operando un’analogia di merito col diritto reale, a meno di precisazioni relative al quadro clinico dell’interessato (vedi qui), è difficile rispondere negativamente a cuor leggero.
Com’è possibile, allora, che in fin dei conti io abbia a sottoscrivere le somme tirate da Mingardi nel suo pezzo? Me lo consente “solo” il carattere anche non fatale della deliberata cessione d’organi, cioè una circoscrizione dell’insieme di “pezzi di ricambio” ammissibili alla compravendita. Definito così il novero dei beni legittimamente mercificabili – quello che è e sarà sempre il problema fondamentale di ogni filosofia “liberista” – sarà la volta di stabilire il peso dell’intermediazione legislativa tra gli attori di mercato, laddove solo la rigorosa conservazione di certe basilari limitazioni permette di ridurla al minimo con cognizione di causa.
Bell’articolo…
Ma chi e’ l’autore?
Scusate, non avevo letto bene il titolo. L’autore e’ Edoardo Ferrarese.
spero di aver letto male.. spero che Mingardi non abbia scritto che la liberalizzazione del commercio d’organi anche se volontario è una cosa giusta…
se non l’ha scritto chiedo anticipatamente scusa..
se l’ha scritto x me è un Nazzista..
🙁
Riflessione interessante, e teoreticamente molto più raffinata di quella di Mingardi. Ma il fatto che arriviate alle stesse conclusioni partendo da argomenti parzialmente diversi non deve spaventare, anzi: dimostra che avete (abbiamo) una sensibilità comune, ma che uno dei due sta argomentando in modo fragile. La diatriba, tra l’altro, è indicativa dell’incontro/scontro di due concezioni libertarie che devono riuscire a trovare una sintesi. Non per nulla, fra l’IBL e le Università di Trento e Padova (fautrici delle basi teoriche a cui fai riferimento) è nata una collaborazione, che probabilmente sfocerà nella creazione di un think tank veneto ad hoc. Staremo a vedere.