Infrastrutture e manovra: una luce e molte ombre
Corrado Passera ha ragione nella sua intervista odierna al Wall Street Journal, indicando in 250 miliardi di euro il fabbisogno finanziario necessario in cinque anni alle infrastrutture italiane, per sanare il gap che strozza l’economia italiana. Non dovrebbero essere né tutti né per lo più denari pubblici, naturalmente: ché gli abbondanti capitali privati alla ricerca di buoni rendimenti accorrerebbero, qualora vi fosse una certa e credibile regolazione di settore , e procedure rapide ed efficienti di realizzazione delle opere. Cioè esattamente le due condizioni che mancano all’Italia, e che hanno determinato il gap infrastrutturale. Alla luce di questo vale la pena dunque di chiedersi: – e di qui riprende la domanda iniziale – che effetto determina la manovra. Che impatto ha su infrastrutture e trasporti, la manovra di correzione dei conti pubblici per 1,6 punti di Pil varata dal governo? Ci sono sicuramente un paio di svolte positive, anche se bisognerà attentamene vigilare su come il Parlamento riscriverà o eventualmente anche respingerà le norme del decreto legge, visto che il segnale dato dal premier ai gruppi parlamentari è di un’ampia autonomia da Tremonti, sia pur nel rispetto dei saldi complessivi ma per impedire che la faccia prevalente, per così dire, sulle misure sia quella del ministro dell’Economia invece che del premier. Accanto poi alle novità potenzialmente buone, vi sono anche delusioni vere e proprie. Tanto che nel bilancio complessivo prevalgono le ombre sulle luci, rispetto alle aspettative del settore.
In cima alle buone sorprese, l’articolo 49 con la nuova disciplina delle conferenze di servizio, che afferma il principio che le determinazioni in base alle quali l’intervento oggetto della conferenza ha ottenuto la VAS non possono essere ulteriormente modificate, facendo tornare tutto daccapo, in vista della VIA, e che introduce positive novità come l’esplicita assunzione del mancato rispetto dei tempi ordinatori per i previsti pareri in capo al dirigente pubblico responsabile, per valutarne retribuzione e avanzamenti. Soprattutto, in caso di dissensi di amministrazioni regionali o provinciali su opere d’interesse statale, afferma il diritto comunque del Consiglio dei ministri a decidere entro trenta giorni. La norma nasce da una forte pressione di Confindustria e dell’ANCE. C’è da sperare che il PD dia una mano nell’approvazione, visto che al seminario riservato organizzato proprio dall’ANCE a Ischia lo scorso primo giugno Luciano Violante, presidente di Italiadecide, la fondazione che ha dedicato una monografia alle regole per rilanciare le infrastrutture, ha riscosso un bell’applauso proponendo un tempo limitato concesso alle amministrazioni per assumere decisioni: passato il termine, il potere di decidere tornerebbe ai singoli cittadini o imprese, liberi di agire ma tenuti comunque al rispetto delle leggi. Altri applausi, quando Violante ha proposto che alle opere in corso di contratto si applichino le disposizioni vigenti al momento dell’avvio del procedimento, sterilizzando tutte le norme successive.
Ma una cosa è sicura: la svolta complessiva sul CIPE, nell’intervento governativo non c’è ancora. Eppure, è sotto gli occhi di tutti il bilancio decennale dalla Legge Obiettivo, e la differenza tra a annunci e fatti concreti i quest’ultimo anno e mezzo di crisi profonda delle infrastrutture. Non c’è la scelta dell’appalto integrato sul progetto definitivo, manca l’estensione dell’esclusione automatica delle offerte anomale fino alla soglia comunitaria, niente ancora per quanto riguarda l’eliminazione del vincolo al subappalto, o almeno l’aumento della quota subappaltabile dal 30 al 50%.
Senza l’accoglimento di queste richieste, è praticamente certo che il governo non darà risposta positiva alla richiesta pressante che Emma Marcegaglia ha ribadito a Berlusconi nella sua assemblea annuale, quella di destinare 2,5 punti di Pil “veri” alle infrastrutture antro il 2014. E forse è proprio per evitarlo, che l’Economia si guarda bene dal dare il suo ok a tali proposte. E’ più che comprensibile, in questo quadro, che per esempio il gruppo Autostrade per l’Italia prenda per così dire atto anticipatamente della mancata svolta, e lavori all’accelerazione in house invece che in appalto al più dei lavori per accelerare la cantierizzazione dei lavori.
Anche perché, dall’altra parte, lo Stato aumenta per i concessionari autostradali gli oneri di concessione a favore dell’Anas, all’articolo 15, al fine di dare una mano ai conti del gruppo pubblico. La norma attenderà un DPCM entro 45 giorni dalla definitiva approvazione del decreto, ma in coerenza alle norme esistenti i concessionari si rivarrano sugli utenti, con un aumento tariffario nell’ordine del 5% .
Inoltre, Tremonti si riserva al’articolo 46 del decreto – questa volta con decreti propri di natura non regolamentare, dunque non concertati per nulla con il ministro delle Infrastrutture – una sorta di “ghigliottina centralizzata” per tutti i mutui infrastrutturali accesi da Cassa depositi e Prestiti entro fine 2006 e già interamente non erogati ai soggetti beneficiari. Inoltre, ove non siano stati già affidati gli appalti per i lavori finanziati, i mutui a giudizio insindacabile dell’economia potranno comunque essere revocati e devoluti ad altro scopo. Il fine è quello di rimediare almeno 400 milioni di euro da destinare a finanziamento delle infrastrutture strategiche finora non coperte, cion priorità al Mo. S. E. di Venezia sino a 400 milioni. Ma è ovvio che, con un tempo medio di realizzazione delle opere che in media in Italia sta purtroppo tra i 9 e i 14 anni, la scelta concreta dei mutui da revocare potrebbe essere molto dolorosa, per porti e infrastrutture italiane che – nella penuria generalizzata di finanziamenti e nella negazione sin qui ostinata dall’Economia di quote bancabili di flussi fiscali futuri – sinora contavano almeno sulle magre risorse assegnate e mutuiate da CDP, per il resto non potendo che scontare i tempi lunghi effetto delle farraginose procedure della PA nazionale.
..”ché gli abbondanti capitali privati alla ricerca di buoni rendimenti accorrerebbero, qualora vi fosse una certa e credibile regolazione di settore , e procedure rapide ed efficienti di realizzazione delle opere….” ; ma anche certezza del diritto, aggiungerei, che consiste in norme chiare e tutela giuridica certa e veloce. Insomma roba da Europa.
Quanti anni luce dovremmo aspettare per avere questo?