Inflazione, attenti a leggere bene
Il dato dell’inflazione rilasciato oggi dall’Istat obbliga a una lettura distinta, rispetto a quello eurozona rilasciato da BCE. Apparentemente, lo 0,5% del nostro mese di giugno sembrerebbe più “sano”, dell’inflazione negativa al -0,1% rilevata nell’euroarea. Al contrario, è un segnale di allarme aggiuntivo. Il segno negativo dell’inflazione europea è un bias nei confronti della BCE. Basta leggere il comunicato rilasciato oggi da Francoforte per assistere a una nuova discesa degli impieghi finanziari a famiglie e imprese, e il dramma è che per la prima volta la componente famiglie e credito al consumo assume un segno negativo, rispetto all’anno precedente. L’andamento mese dopo mese dice che in Europa il rischio-deflazione è più che mai aperto. tradotto: i 325 punti base tagliati dalla Bce ai tassi d’interesse, e interventi come il rilascio straordinario di liquidità per 442 miliardi di euro al sistema bancario la settimana scorsa, non si rivelano sinora affatto in grado di stoppare la caduta in basso dei prezzi degli asset. La BCE dovrebbe forse reagire con qualche decisione imprevista, giovedì prossimo, invece di tenere tutto fermo come i mercati attualmente scommettono.
Quanto al dato italiano, non è affatto un segno di minor malattia. Anzi. Una lettura del dato scomposta per diverse componenti attesta che anche quando l’euroarea va a inflazione negativa, noi continuiamo a incorporare variazioni di prezzo che testimoniano la maggior improduttività delle nostre catene distributive ed energetiche, la nostra maggior vischiosità nel meccanismo intertemporale di traduzione dei prezzi dalla produzione al consumo. Tradotto: l’euroarea dovrebbe tagliare Stato e detassare, oltre che “spingere” con politiche monetarie più anticicliche; noi dovremmo, in più e oltre tutto questo, liberalizzare.